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INTERVISTA A VITTORIO GRIGOLO

di Nicola Salmoiraghi

I critici inglesi, dopo la Manon al Covent Garden, gli hanno dedicato recensioni entusiastiche, il pubblico londinese lo ha adottato tributandogli ad ogni recita un successo trionfale sale air max. Non canta da ora, Vittorio Grigolo, e ha già alle spalle, a 33 anni, una carriera di rilievo, ma non v’è dubbio che con questa produzione dell’opera di Massenet diretta da Antonio Pappano e al fianco di Anna Netrebko, sia definitivamente nata una stella. Bello, voce da tenore all’italiana di cui si sentiva un forte bisogno, comunicativo e abilissimo in scena, ha tutte le carte in regola per conquistare le ribalte internazionali.

L’abbiamo incontrato dopo la recita pomeridiana di Manon del 4 luglio e questa è la nostra chiacchierata

Come le è nata la passione per il canto?

«È nata insieme a me, con tutto quello che mi ha circondato fin da piccolo e la cultura per la musica che aveva la mia famiglia, di origine veneta, e in Veneto l’opera è molto amata».

I primi passi… ?

«A quattro anni già cantavo! Sentivo la musica in macchina air max run lite, arie d’opera, e ci cantavo sopra! A studiare seriamente ho cominciato a diciassette anni».

Nessun dubbio, sin dall’inizio, sulla tua vocalità tenorile?

«Nessuno. Grazie al mio maestro Danilo Rigosa che tuttora mi segue».

Qual è stato il suo repertorio iniziale?

«Ho iniziato con la “Petite Messe Solennelle”, “Il Barbiere di Siviglia”, “L’elisir d’amore”. Ho studiato “L’Italiana in Algeri”, “Il Turco in Italia”, “I Capuleti e i Montecchi”, “Così fan tutte”, “Don Giovanni”, un repertorio da tenore lirico-leggero, insomma… ».

Quando la voce ha subito un’evoluzione?

«Si è sviluppata gradualmente attraverso le opere che affrontavo, maturando via via sia la vocalità, che l’espressione che la fisicità per ruoli diversi. Ho amministrato, credo con saggezza, il “capitale”, sempre grazie al mio maestro. Così sono arrivato, da lirico-leggero, a ruoli da lirico “pieno”».

Qual è stato il momento della svolta?

«Sono stati due i momenti importanti: il primo a Roma, quando ho interpretato “Romanza”, una commissione del Teatro dell’Opera al maestro Sergio Rendine, dove io avevo il ruolo principale. L’opera era stata scritta originariamente per José Carreras. La mamma di Sergio Rendine, che era poi la moglie del Rendine autore di celeberrime canzone napoletane cone “La pansè” o “Vurria”, mi diceva sempre “Vittorio, tu tieni ‘a voce du lione”. Mi voleva bene la signora Rendine, mi aveva preso sotto le sua ali, come si dice, e Sergio mi propose di fare il ruolo. Per me è stato un momento molto importante. Il ruolo è scritto benissimo ed è anzi un peccato che “Romanza” non venga rappresentata, perché è la rivisitazione in chiave moderna di tutti gli stili operistici, con un bagaglio di conoscenza musicale che Rendine ha saputo impiegare al meglio new balance 790. Il secondo momento fondamentale penso sia stato il “Faust” che ho cantato a Valencia, debuttando nel ruolo del protagonista, perché mi ha fatto capire molte cose: ad esempio come usare diversamente il mio strumento da tenore lirico, usando molto di più le “nuances”, ricercando molti più colori. Il repertorio francese ti spinge a farlo ancor di più che il repertorio italiano; è stilisticamente fondamentale».

Devo dire che in questa Manon è un tipo di ricerca che si nota in maniera netta, con ottimi risultati…

«È un ricerca che comporta anche dei rischi per un cantante, soprattutto se canti praticamente di mattina, come oggi! Ma è un rischio che il pubblico percepisce e gradisce. Se rischi un po’ ti amano di più. Mettersi in gioco e vincere significa poi avere un successo come questo. La generosità viene premiata».

Lei ha frequentato anche il cosiddetto genere «crossover», no?

«Non proprio. Io ho cantato per nove/dieci anni esclusivamente opera, dai diciassette ai ventisette anni, dopodiché ho deciso di comunicare con la gente anche in un altro modo, accettando ad esempio di fare esperimenti come “La Traviata” alla stazione di Zurigo o il film-tv che ci sarà tra poco, “Rigoletto” a Mantova con Placido Domingo che debutta il ruolo del protagonista. Portare l’opera fuori dal luogo in cui è nata, in altri per cui non sembrerebbe adatta; così facendo però si attira tutto un nuovo pubblico che non ha mai avuto la possibilità di andare in un teatro. Sono operazioni utili, se fatte in maniera giusta, come ogni cosa. Ad esempio, se canti il “pop” non puoi farlo con un’impostazione tecnica troppo “lirica”; la voce deve essere più spontanea, naturale. Io preferisco definirmi un cantante di “pop-opera”, non “crossover”. Posso cantare il pop, poi andare in teatro e fare la mia recita».

Lei crede che questo nuovo modo di affrontare «registicamente» il repertorio lirico possa avvicinare ancora maggior pubblico all’opera?

«No. Io credo che l’opera sia stata scritta in un determinato momento, abbia un determinato libretto, debba essere classica e rispettare assolutamente quello che è scritto nel libretto. Se poi ci vogliamo inventare cose strane si possono anche fare ma io adoro rappresentare ciò che è stato scritto perché ti porta a capire ancora di più il significato di ciò che compositore e librettista volevamo esprimere. Se poi si vuole abusare di nudi in scena o ambientare “Così fan tutte” nella seconda guerra mondiale, ah certo, tutto si può fare! Bisogna decidere se si è in teatro per dare valore e importanza al palcoscenico e alla regia o per ascoltare le voci Air Jordan Future Sale. Io ritengo che il teatro d’opera si stato creato per ascoltare le voci e non per vedere solo immagini. L’opera è un lavoro di gruppo, di squadra, in cui ognuno deve rispettare il lavoro dell’altro. Bisogna calcolare ciò che un cantante desidera, e quando un cantante è a proprio agio può dare ad un direttore anche molto di più di ciò che desidera».

Mi perdoni, ma nel teatro d’opera di oggi l’immagine e ciò che di vede in palcoscenico hanno una grande importanza. Nel suo caso, ad esempio, c’è certamente la voce ma c’è anche l’immagine…

«Vuole dire che l’abito fa il monaco? Diamolo per buono… allora Vittorio, nel suo Des Grieux, monaco lo è stato per pochi minuti, perché poi Anna mi ha corrotto… !».

Lei ha da poco firmato un importante contratto in esclusiva con la Sony; fatto insolito per un cantante italiano, oggi, riuscire ad entrare in una multinazionale del disco. Che progetti sono previsti?

«Io ho sempre avuto case discografiche che hanno creduto in me. Probabilmente sono fortunato perché possiedo una certa fonogenia. Io sono un perfezionista, sono una persona che ama lavorare e incidere. Le volte che l’ho fatto è perché ho creduto in un team discografico forte. Ho iniziato con la Polydor, che è la casa discografica degli U2, di Elton John, di importanti gruppi rock, una struttura, insomma, che averebbe potuto garantirmi un successo, promuovendo un persona che allora non era nessuno. Io a Londra sono stato nelle classifiche al terzo posto, ho avuto l’album di platino, anche in Australia. Ora mi sono sentito pronto per registrare qualcosa di “classico” ed è stata comunque una sfida, con il calendario fitto di impegni che avevo, riuscire a registrare l’album. Una sfida che ho vinto insieme alla Sony, al direttore Piergiorgio Morandi, all’Orchestra e al Coro del Regio di Parma. Il contratto con la Sony prevede sei Cd. In questo primo Cd solo arie italiane e ho scelto Verdi, Donizetti e Puccini. Il Cd si intitola “The Italian Tenor”, per rispecchiare un vero e proprio “modo” di cantare; io dico che è come aprire una finestra sul mare… il nostro stile, il nostro modo di esprimere, con la facilità nel porgere, nell’emissione, nel far comprendere la dizione: ho lavorato tantissimo per far capire ogni singola parola. Due bellissimi complimenti ho ricevuto qui a Londra: il primo è che il mio francese cantato, come il mio italiano, era assolutamente intelligibile e il secondo per una voce che si mantiene fresca dall’inizio alla fine dell’opera, il più bel complimento che si possa fare ad un cantante…» Mens New Balance 990.

Donizetti, Verdi e Puccini, quindi, ma il suo cuore di musicista per chi batte maggiormente?

«Il mio cuore di musicista è come quello di una mamma, che non può certo scegliere tra i suoi figli, ma darebbe amore a tutti»

Come crede che evolverà la sua voce negli anni a venire?

«Speriamo che innanzitutto rimanga dov’è! Intanto mi aspettano nuove opere: “Roméo et Juliette” in cui debutterò il ruolo del protagonista la prossima stagione alla Scala, e poi “Werther”. Tra sette o otto anni vorrei cantare Riccardo in “Un ballo in maschera”. Subito mi piacerebbe cantare Nadir nei “Pescatori di perle”, ma è un’opera che si rappresenta talmente poco!».

Una provocazione… Manrico nel Trovatore?

«Ecco, quello tra quindici anni… un regalo per i miei 48!»

In coppia con Anna Netrebko, sulla scena, si intuisce un grande affiatamento, anche vocale…

«In effetti c’è, esiste una grande alchimia. Lei è una  artista straordinaria. Se posso dirlo, la squadra Pappano-Grigolo-Netrebko funziona benissimo ed è una formazione vincente che suggerirei per i Mondiali dell’opera, se ci fossero!»

Una formazione che si ripeterà?

«Ne abbiamo parlato. C’è stato Peter Gelb, che porterà questa produzione di “Manon” al Met, vedremo… ».

Dove la ascolteremo prossimamente?

«A Tel Aviv sarò il Duca di Mantova accanto al Rigoletto del grande Leo Nucci, diretto da Zubin Mehta. Accanto a Domingo realizzeremo il film-tv su “Rigoletto” cui accennavo prima, e poi il debutto al Met con “La Bohème” in concomitanza con l’uscita dell’album che sarà a settembre. Alla Scala, dopo “Roméo e Juliette” tornerò nelle stagioni successive con “La Bohème” e “Rigoletto”. Sono onorato di essere presente continuativamente alla Scala, che è uno dei più grandi teatri nei quali io abbia mai cantato, sperando che la situazione in Italia migliori» where to find jordans cheap.

Cosa si augura per il suo futuro professionale?

«Nulla. Sono felicissimo. Amo le metafore sportive e per me ciò che ho conseguito sino ad ora è come avere vinto il torneo di Wimbledon – conclusosi lo stesso giorno dell’intervista, con la vittoria di Nadal. n.d.a. -. Oggi ha vinto Nadal, che è un mio amico, e ho vinto anch’io il mio grande slam!».

Il giovane Vittorio ha avuto una voce che più di altre l’ha ispirato?

«Tante. Mio padre ascoltava soprattutto tenori e io li ho sentiti tutti. Cosa posso dire? Mi piace la solarità di Pavarotti, la passionalità di Domingo, il colore di Carreras, la morbidezza di Gigli, i filati di Fleta, il temperamento di Del Monaco, lo squillo di Corelli e la sua sicurezza-insicurezza. che hanno fatto la sua forza…»

E di Vittorio Grigolo cosa le piace?

«Vittorio!».

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