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LA DONNA DEL LAGO

di Rino Alessi

Coproducendola con il Covent Garden e la Scala, dove l’opera approderà nella stagione prossima, l’Opéra National di Parigi ha riportato alla luce uno dei capolavori seri del periodo napoletano di Gioachino Rossini: La donna del lago (1819).

L’attesa, a Parigi, era notevole: era l’ultima nuova produzione dell prima stagione del neodirettore Nicolas Joël. Radunava una compagnia di belcantisti difficilmente uguagliabile e presentava, per la prima volta nella Ville Lumière in epoca moderna, uno dei lavori più ammirati del pesarese Girls Air Jordan 11. Che, va detto, quando affronta – come in questo caso – l’opera seria e la desume da un poema di Walter Scott The Lady of the Lake, sembra non avere mano felice sotto il profilo strettamente drammatico. La durata dei due atti del melodramma rossiniano basato su un libretto non particolarmente memorabile di Andrea Leone Tottola parlano chiaro: un’ora e quaranta minuti il primo, un’ora abbondante il secondo.

Un eccesso di musica, spesso sublime, e di note per un’azione per lo più statica. Le rivalità tra clan nella Scozia cinquecentesca narrate da Scott interessano poco a Rossini e al suo librettista che sono molto più attratti dal sentimento della natura cantato dalla protagonista Elena, dagli affetti contrastanti che muovono i tre guerrieri innamorati di lei, due tenori e un mezzosoprano «en travesti» e che se ne contendono i favori, dalla clemenza regale, tema caro a tanta opera seria sette-ottocentesca, che, alla fine porta il sovrano Giacomo V a rinunciare alla donna amata in favore del rivale Malcolm, di cui Elena è effettivamente innamorata, e che conduce al momento più atteso (e più noto) dell’opera, il rondò finale della protagonista «Tanti affetti».

Il tutto raccontato con tempi dilatati e un eccesso di staticità impensabili in un autore, Rossini, che nel genere comico non sbaglia un colpo e ci consegna, negli stessi anni de La donna del lago, i capolavori che tutti conosciamo e amiamo.

Detto questo il fascino un po’ malinconico de La donna del lago non si discute. È l’opera rossiniana che prefigura il suo capolavoro estremo Guillaume Tell, è l’opera che mosse a commozione Giacomo Leopardi quando l’ascoltò alla sua ripresa romana (Teatro Argentina, 1823), è l’opera che – sparita dal repertorio nel 1860 o giù di lì – a ogni sua riproposta, a partire da quella storica del Maggio Fiorentino nel 1958 diretta da Tullio Serafin, desta ammirazione.

Certo, pone problemi in fatto di messa in scena che lo spettacolo parigino di Lluis Pasqual (regia), Ezio Frigerio (scene), Franca Squarciapino (costumi) e Vinicio Cheli (disegno luci) non risolve Nike Air Yeezy Sale. Pasqual e collaboratori immaginano per questa Donna del lago vista al Palais Garnier una struttura teatrale che accoglie gli ambienti lacustri e i boschi scozzesi che fanno da cornice alla scarna azione, il coro è diviso tra spettatori ottocenteschi e sodali dei protagonisti che vestono panni consoni all’epoca in cui il compositore l’ha immaginata, le figure centrali si sdoppiano e i doppi appaiono e scompaiono tra i palchi del teatro per ricomparire sul palcoscenico e materializzarsi, danzanti, a dare vivacità al tutto eseguendo coreografie, tutto sommato banali, di Montse Colomé, che nulla aggiungono a Rossini e che anzi, alla recita cui abbiamo assistito, hanno provocato reazioni di dissenso da parte di un pubblico per il resto entusiasta. Insomma, uno spettacolo poco indovinato che, in certi momenti, ci ha fatto desiderare un’esecuzione in forma di concerto de La donna del lago.

C’era, sul palcoscenico, la compagnia stellare radunata da Nicolas Joël a rimettere le cose a posto e dare a Rossini quello che a Rossini spetta.

Difficile desiderare un’Elena più concentrata, musicale, intensa di Joyce DiDonato, fresca di debutto in un ruolo cui si è preparata con lo scrupolo e la professionalità dell’eccellente musicista che da sempre ammiriamo. La purezza del legato, la cura «cameristica» del fraseggio, la tornitura della vocalizzazione, la felicità delle variazioni, la scansione della parola «cantata» sono quelle di una grande belcantista che, con il belcanto, sa fare non solo musica, ma teatro.

In Malcolm Daniela Barcellona non le è da meno. I ruoli «en travesti» del Rossini serio non hanno più segreti per questa artista in costante maturazione e in continuo progresso. E se la vocalizzazione rapida stupisce per esattezza ed espressività, non possono non colpire il timbro ambrato e il colore vellutato di una voce ricca e privilegiata Cheap Girls Air Jordan 11. Non a caso l’applauso più sostanzioso della serata è venuto dopo un’esecuzione particolarmente riuscita di «Mura felici».

Juan Diego Florez tornava a misurarsi con la tessitura impervia di Giacomo/Uberto e lo faceva con la classe che ormai gli conosciamo e che, in questi ruoli rossiniani, ha oggi ben pochi rivali. Difficile desiderare un’esecuzione migliore dell’aria che apre il secondo atto «O fiamma soave».

A contendergli la volata in una gara all’ultimo acuto era il Rodrigo di Dhu del tenore sudafricano Colin Lee, anche lui artista in continua ascesa e di grande affidabilità musicale.

L’eccellenza di un quartetto di belcantisti di tale livello ci portava a sorvolare sulle durezze di emissione e su una certa rigidità scenica del basso-baritono Simon Orfila nel ruolo paterno di Douglas d’Angus, la cui aria e i cui recitativi, del resto, non sono di Rossini, e che era l’anello debole di una compagnia che poteva contare anche sulle buone prove di Diana Axentii (Albina), Jason Bridges (Serano), Philippe Talbot (Bertram) e del Coro stabile dell’Opéra National preparato da Alessandro Di Stefano.

Dal podio Roberto Abbado eccedeva, inizialmente, in sonorità e tendeva un po’ a far prevalere l’orchestra sul palcoscenico. Nel corso della serata, però, il maestro milanese ha saputo rettificare il tiro ed è stato in grado dare giusto risalto non solo all’aspetto belcantistico, prevalente, de La donna del lago, ma alla sua timbrica orchestrale così particolare e singolare che, fanno di questo suo lavoro serio, un «unicum» nella produzione rossiniana.

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