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BORIS GODUNOV AL REGIO DI TORINO

di Alessandro Mormile

A Torino, il Regio sembrerebbe essere l’unico teatro d’opera del Belpaese – Scala a parte s’intende – a varare un nuovo cartellone con titoli capaci di attrarre attenzione e prestigio internazionali sul teatro del capoluogo piemontese.
Uno di questi è certo il Boris Godunov di Modest Musorgskij che, con il benemerito sostegno del Gruppo Fondiaria Sai, ha inaugurato la stagione 2010-2011. Boris è opera complessa, tormentata nella sua genesi e nel succedersi delle molte versioni che sappiamo nacquero dopo la morte del compositore stesso. Abbandonata la lussureggiante orchestrazione di Nicolaj Rimskij-Korsakov, un tempo famosa ed in anni recenti sempre meno utilizzata, per l’attuale esecuzione torinese si è tornati alla versione originale, il cosiddetto Ur-Boris, seppure con qualche scelta arbitraria rivelatasi teatralmente pertinente ed in linea simbiotica perfetta fra la concertazione di Gianandrea Noseda e la visione registica spoglia del nuovo spettacolo di Andrei Konchalovsky, in coproduzione con il Palau de les Arts Reina Sofia di Valencia e il Teatro Petruzzelli di Bari retro jordan sneakers.
La versione proposta è dunque, in linea di massima, quella del 1869, quindi senza l’atto polacco, ma con la reintroduzione del quadro della foresta di Kromy (che appartiene all’edizione del 1872 ed è concluso con il lamento dell’Innocente, il «puro folle» che, da novello redentore, diviene, con il suo «Sgorgate, sgorgate, lacrime amare, piangi, piangi, anima ortodossa», voce dell’altissimo capace di ergersi sopra le miserie umane dopo averne sperimentato sulla sua stessa pelle la pochezza), collocato però prima del quadro della Duma, così da far finire l’opera con la morte di Boris Air Jordan XXX1.
La scelta non è forzata se rapportata al senso cronologico degli accadimenti storici e, soprattutto, alla volontà di comprendere tutta la forza simbolica che questo monumentale affresco storico-musicale intende trasmettere, sia esplicando la coralità più litigiosa che sofferta del rivoltoso popolo russo, sia comunicando, attraverso l’interiorità lacerata dello zar Boris, la fragilità del tiranno dinanzi ai fatti politici che opprimono la coscienza dell’uomo e lo rendono incapace di dominare gli eventi dinanzi ad un potere che logora chi non è in grado di dominarlo…

[continua a leggere l’articolo sul numero 253 (dicembre 2010) di L’Opera]

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