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AIDA AL REINA SOFIA DI VALENCIA

di Davide Garattini

La stagione lirica del Palau des Arts Reina Sofia di Valencia si apre «apparentemente» alla tradizione con Aida, uno dei titoli più celebri del mondo del melodramma. A parte il titolo e poco altro questa coproduzione, tra il Teatro spagnolo, Covent Garden di Londra e l’Opera di Oslo, ha parecchie novità rispetto al consueto. Dimentichiamoci completamente le piramidi e l’Egitto e concentriamoci maggiormente sul dramma della schiavitù, perché è questo che abbiamo visto in definitiva nella messa in scena.
David McVicar abbandona le solite idee turistiche per affrontare l’opera nel profondo, un melting pot di razze e «folklore» per descrivere al meglio una vicenda ancora di forte attualità. Usi e costumi di civiltà passate, l’una con l’altra distanti secoli e chilometri, vengono mescolati tra loro per raccontare l’opera di Verdi e la sacralità di un rito che si avvolge al suo aspetto più tribale senza perdere di umanità. La regia si basa prevalentemente, e a nostro parere con intelligenza e consapevolezza, sul lavoro dei mimi, mentre coro e solisti si limitano a mantenere un certo rigore nei movimenti e una millimetrica precisione per gli spostamenti sul palcoscenico. I cantanti sono il quadro di una grande cornice che si muove; il regista scozzese dimostra di avere una profonda conoscenza del mondo operistico e delle sue «brutte» abitudini, ma non aggira il problema, come per molti può sembrare, ma lo affronta valorizzando al meglio le capacità di ognuno; educa dall’interno alla consapevolezza delle proprie caratteristiche…

[continua a leggere l’articolo sul numero 255 (febbraio 2011) di L’Opera]

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