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WILLIAM KENTRIDGE-REFUSE THE HOUR E VERTICAL THINKING

di Ilaria Faraoni

Due eventi a Roma celebrano l’artista William Kentridge: Fondazione Romaeuropa, MAXXI e Teatro di Roma hanno lavorato per presentare la figura di Kentridge a 360°.

Si parte dal debutto, il 15 novembre, di Refuse The Hour al Teatro Argentina, uno spettacolo tra musica (di Philip Miller) eseguita dal vivo, danza, macchinerie e molto altro, incentrato sul concetto di “Tempo”: in scena, fino al 18 novembre l’artista stesso e la coreografa sudafricana Dada Masilo.

Si prosegue, il 17 novembre, con la mostra Vertical Thinking al Maxxi Arte, dove rimarrà fino al 3 marzo: i visitatori verranno avvolti da atmosfere fiabesche; al centro l’istallazione The Refusal of Time; si ritorna dunque sul tema del Tempo, cui Kentridge ha dedicato lunghi studi insieme al fisico e storico della scienza Peter L. Galison. In mostra anche serigrafie inedite e i bozzetti preparatori per The Refusal of Time.

Seguono comunicato stampa e info dettagliate:



KENTRIDGE A ROMA

Fondazione Romaeuropa | MAXXI | Teatro di Roma

rendono omaggio al poliedrico, geniale artista con due appuntamenti

uno spettacolo di teatro, danza, musica, animazione

una mostra e una installazione epica e fiabesca


REFUSE THE HOUR

con William Kentridge e Dada Masilo, musiche di Philip Miller

Teatro Argentina, 15 – 18 novembre 2012

nell’ambito del Romaeuropa Festival

VERTICAL THINKING

in mostra opere mai esposte della collezione MAXXI Arte

bozzetti preparatori, serigrafie inedite e per la prima volta in Italia l’installazione

THE REFUSAL OF TIME

MAXXI, 17 novembre 2012 – 3 marzo 2013

www.teatrodiroma.net | www.romaeuropa.net | www.fondazionemaxxi.it


Roma, 13 novembre 2012. Tre prestigiose istituzioni per un genio della scena artistica contemporanea. Fondazione Romaeuropa, MAXXI, Teatro di Roma, presentano KENTRIDGE A ROMA: un omaggio al grande artista e un’occasione per conoscere a 360 gradi la sua opera inconfondibile, complessa, originale.

Il progetto parte il 15 novembre con lo spettacolo in prima italiana Refuse the Hour, in scena fino al 18 novembre al Teatro Argentina nell’ambito del Romaeuropa Festival 2012 in coproduzione con Teatro di Roma, e prosegue al museo MAXXI dal 17 novembre al 3 marzo 2013 con la mostra Vertical Thinking, con l’installazione The Refusal of Time, per la prima volta in Italia, bozzetti e serigrafie inedite, opere della collezione del MAXXI Arte.

TEATRO ARGENTINA, Refuse the hour (15 – 18 novembre 2012)

Danza e musica dal vivo, teatro, animazione, stravaganti macchinerie, video in tempo reale: il nuovo lavoro di William Kentridge è un’opera da camera che lo vedrà protagonista sul palcoscenico assieme alla danzatrice e coreografa Dada Masilo. Artista visivo, disegnatore, regista teatrale, operistico e di film d’animazione, il sudafricano Kentridge è una figura artisticamente tanto complessa e inafferrabile quanto inconfondibile nell’originalità che lo ha reso celebre nel mondo. Con Refuse the Hour, avvalendosi anche della collaborazione di uno storico della scienza come Peter Galison, affronta il tema del tempo, creandone una sua concezione personalissima, che supera l’idea di linearità e progressività, attraverso un viaggio peculiare nella visione del tempo dalla Grecia classica alla velocità della luce, dal cinema alla fotografia, dal colonialismo a Einstein. Accanto a lui, oltre all’équipe che lo segue da quando, nel 2005, ha realizzato Il flauto magico di Mozart per i Teatri La Monnaie di Bruxelles e San Carlo di Napoli, ha voluto Dada Masilo, affascinante danzatrice e coreografa sudafricana che si è rivelata in questi ultimi anni per il suo eclettismo nel reinterpretare i classici del balletto. Protagonista sul palcoscenico, Kentridge conduce personalmente questo viaggio tra recitazione, danza, canto, letture, teatro di figura e la musica originale per tre voci femminili e un piccolo ensemble creata da Philip Miller.

MAXXI, Vertical Thinking (17 novembre 2012 – 3 marzo 2013)

Il MAXXI Arte, diretto da Anna Mattirolo, presenta Vertical Thinking. La mostra, a cura di Giulia Ferracci, ruota intorno all’installazione The Refusal of Time, realizzata per Documenta 13 di Kassel e presentata al MAXXI in prima italiana. Ripensata per gli spazi della Galleria 5 del museo, l’installazione – forte, avvolgente, suggestiva – è un’esplosione di musica, immagini, ombre cinesi con al centro una macchina pulsante di leonardesca memoria. I visitatori vivono un’esperienza totale, trasportati in un dimensione epica e fiabesca, dove il tempo si annulla.

Il lavoro nasce da una riflessione pluriennale sul concetto di tempo, sviluppata da Kentridge insieme con il fisico e storico della scienza Peter L. Galison. E’ stato realizzato in collaborazione con il compositore Philip Miller e con Catherine Meyburgh per l’elaborazione video e l’editing. Dada Masilo ha lavorato alle coreografie.

In mostra al MAXXI anche 14 serigrafie inedite, tra cui Vertical Thinking, da cui trae ispirazione il titolo stesso della mostra. E poi bozzetti preparatori per The Refusal of Time, una maquette della messa in scena di Refuse the Hour e sei opere della collezione permanente del MAXXI Arte, cuore pulsante del museo, tra cui esposte

per la prima volta: Flagellant,1996-1997; Cemetery with Cypresses (Drawing from Il ritorno di Ulisse), 1998; Untitled (Large Drawing – Standing Man), 2001; il video Zeno Writing del 2002. Esposti inoltre il grande arazzo North Pole Map del 2003 e l’installazione Preparing the flute del 2004-2005.

Refuse the hour sarà trasmesso in streaming live giovedì 15 novembre e rimarrà disponibile on demand fino a giugno su telecomitalia.com.

Lo spettacolo è presentato nell’ambito della rassegna Metamondi di Telecom Italia

La mostra Vertical Thinking è stata realizzata con il contributo di Camera di Commercio di Roma.

Si ringrazia la Galleria Lia Rumma


INFO SPETTACOLO

Fondazione Romaeuropa

info: + 39 06.45553050, promozione@romaeuropa.net | www.romaeuropa.net


Teatro di Roma

info: 06.684000308;  www.teatrodiroma.net

orari spettacolo: giovedì e venerdì ore i 21, sabato ore 19, domenica ore 17 | biglietto: da €35,00 intero a € 14,00 ridotto


INFO MOSTRA

MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo

info: + 39 06.399.67.350, info@fondazionemaxxi.it | www.fondazionemaxxi.it – www.romaexhibit.it

orario di apertura: 11.00 – 19.00 (martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, domenica) |11.00 – 22.00 (sabato)

giorni di chiusura: chiuso il lunedì, il 1° maggio e il 25 dicembre | biglietto: €11,00 intero, € 8,00 ridotto

CONVERSAZIONI:

INTRODUZIONE, WILLIAM.

Una proiezione su un soffitto: gli spettatori possono vedere le immagini reclinando la testa all’indietro e rivolgendo lo sguardo verso l’alto; oppure possono scegliere di guardare nei piccoli specchi che gli sono stati forniti. L’archivio di immagini sospese nell’aria viene così canalizzato verso il basso e ricondotto a una visione individuale.

Fu questo il punto di partenza del nostro progetto. In seguito, abbandonammo l’idea della proiezione sul soffitto (non ne trovammo uno adatto), confinandola nella “stanza dei fallimenti” – anch’essa ancora tutta da costruire.

Un altro punto di partenza: un invito ricevuto da Laboratoire, istituzione parigina nel campo delle esposizioni artistiche, a sviluppare un progetto con uno scienziato. Fu così che iniziai una serie di conversazioni, tutt’ora in corso, con Peter Galison. Il progetto, partito con l’intento di illustrare una pre-(i)storia della teoria della relatività, si trasformò in una riflessione più ampia sul tempo.

Un terzo, ulteriore punto di partenza: un invito a partecipare alla mostra Documenta 13 di Kassel e un bellissimo teatro bombardato. Era il posto giusto per ampliare la riflessione e la realizzazione di un progetto sul tempo. (Il bellissimo teatro bombardato scomparve, lasciando il posto all’impianto di climatizzazione di un nuovo hotel).

Un quarto punto di partenza: l’interesse a collaborare con la danzatrice Dada Masilo. Il desiderio e l’intenzione necessitavano di un argomento. Una collisione di particelle. La conversazione con lo scienziato si trasformò in un duetto per movimento e voce.

Un quinto punto di partenza: dalle conversazioni con Peter Galison, emersero una serie di idee e metafore che avevano bisogno di prendere forma. La sincronicità si trasformò in dei metronomi proiettati. Il tempo in suono. Sentivamo il bisogno di lasciarci trasportare dalle metafore e di renderle visibili, udibili.

Un sesto punto di partenza: la formazione di un team creativo. Philip Miller (compositore), per trasformare il tempo in suono. Catherine Meyburgh (montaggio video), per orchestrare le immagini proiettate. Jonas Lundquist, per rendere sotto il profilo meccanico i principi della dinamica, attraverso la realizzazione di un mantice e di una ruota di bicicletta. Christoff Wolmarans e Louis Olivier, che hanno svolto lo stesso compito costruendo una ruota di bicicletta e un megafono. Sabine Theunissen (scenografa), che ha realizzato la cornice scenografica per tutti i macchinari, per la danza, la musica e le proiezioni. Greta Goiris (costumista), che ha creato una lingua fatta di stoffe e costumi, visto che ormai il progetto si era trasformato in un’opera. Luc de Wit, che ha armonizzato i movimenti scenici di attori e musicisti. E poi, una squadra ausiliaria composta da musicisti, cantanti e organizzatori.

Fino ad arrivare al punto in cui la squadra è diventata più corposa del progetto stesso – e il progetto ha finito per colmare i vuoti.

WILLIAM/CATHERINE

Edit Suite,

Sylvia Pass

WK: In Anti-Mercator, per spostare tutto l’insieme abbiamo utilizzato l’espediente di grandi soffi d’aria che si percepivano molto chiaramente; inoltre, abbiamo lavorato su un unico schermo. Questa volta abbiamo cinque schermi diversi. Potremmo realizzare qualcosa di simile a una sincope, con le immagini che arrivano, per poi essere soffiate via sotto forma di coriandoli.

CM: Non è poi così lungo. Non ci saranno tante immagini in più rispetto a quelle che abbiamo attualmente.

WK: Be’, il punto è che se proiettassimo tante immagini diverse sui vari schermi, anche se ognuna dovesse comparire una volta sola, avremmo a disposizione cinque o sei nuove possibilità. Secondo me il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di suscitare nello spettatore una sensazione che gli faccia pensare: «questa cosa potrebbe essere diversa». Il mondo potrebbe essere diverso, la caffettiera potrebbe essere una macchina da scrivere, la macchina da scrivere potrebbe essere un mappamondo. Basta vederlo accadere una volta sola per capire il concetto.

….A volte ci capita di discutere su come realizzare una determinata sequenza, oppure succede che tu, col materiale a disposizione, ti immergi in un silenzio imperscrutabile: siete solo tu e la macchina. Vorrei sapere cosa scatta nella tua mente durante quei silenzi. Che genere di dialogo fai con te stessa?

CM: Rimonto tutte le immagini cinquecento volte contemporaneamente.

WK: Raccontami cosa succede mentre rimonti le immagini nella tua mente.

CM: Osservo, penso, mi dico: «Ok, se metto il gatto qui e subito dopo il mappamondo là, e poi da quest’altra parte c’è la sequenza in cui il mantice si trasforma in coriandoli… ok, no, non mi piace così. Ok, proviamo con: mappamondo, gatto, mantice… no, spostiamo la macchina da scrivere là e proviamo col gatto qui, facciamo muovere il mantice lentamente e i coriandoli velocemente e poi questo e poi… no…». Vado avanti così fin quando non arrivo a un punto in cui penso che valga la pena condividere il risultato…

WK: Quindi non si tratta affatto di un monologo, anzi: è corretto dire che ci sono diverse possibilità che vengono valutate su una sorta di schermo virtuale nella tua testa?

CM: Esatto.

WK: E tu le vedi?

CM: Sì. Le vedo nella mia mente, vedo la costruzione della timeline, il modo in cui apparirà e come risulterà, e poi ovviamente visualizzo anche la musica e il relativo impatto che susciterà, immagino gli accenti musicali e il punto in cui vorrei che cadessero quando sullo schermo compare una determinata sequenza o si vede una certa immagine; e poi cerco di fare il punto della situazione: «Ok, questo non durerà abbastanza da potersi godere il momento, quindi forse bisognerebbe strutturarlo diversamente. Forse dovrei metterci qualcos’altro.»

WK: E quando infine lo realizzi, quando lo digiti sul computer e vedi la sequenza sullo schermo, noti qualche differenza, oppure il risultato che hai di fronte ti riconduce a immagini che avevi già immagazzinato nella tua mente?

CM: A volte sì. Il rendering complica le cose perché il risultato non è immediatamente visibile e quindi non si può stabilire in tempo reale se una determinata sequenza funzionerà o meno. È importante visualizzare tutto nella mente prima di passare alla realizzazione effettiva, perché una volta che ho preso una decisione, la maggior parte del tempo viene impiegato dal computer per processare le informazioni nel corso della notte. Ogni volta spero di aver preso la decisione giusta, perché il giorno successivo, quando guardo il risultato, mi auguro che funzioni.

WK: È molto diverso dal montaggio cinematografico in cui, avendo a disposizione il materiale fisico, è possibile vedere un abbozzo del risultato finale già mentre si sta lavorando per ottenerlo, anche se le dissolvenze sono ancora imperfette.

CM: Be’, sarebbe così anche in questo caso se non ci fossero tanti piani sovrapposti. Se ci fosse un’unica timeline con dei fotogrammi in successione non dovrei fare altro che inserirli, giustapporli in vari modi e provare una serie di sequenze; di fatto potrei operare direttamente sulla timeline e non avrei neanche bisogno di realizzare tutto nella mia mente prima, potrei sperimentare in modo più concreto, più fisico. Ma con tutti questi piani diversi, le cose si complicano. Per la sequenza della caffettiera, ad esempio, ho uno piano sullo sfondo, un altro costituito da pezzettini di carta che vorticano senza sosta, poi ho la caffettiera o un altro oggetto qualsiasi, e infine in altre parti ho un piano aggiuntivo con dei punti vuoti in cui vorrei inserire una determinata sequenza di coriandoli che volano.

WK: Quindi il volo “casuale” dei coriandoli in realtà è costruito?

CM: Cerco di farlo sembrare il più casuale possibile e per riuscirci ci vogliono molti piani aggiuntivi…

WK: È come se nella stanza ci fossero diverse zone temporali, solo che non si tratta dei ventiquattro fusi orari in cui è suddiviso il globo terrestre, bensì delle cinque diverse zone temporali degli schermi, e ogni tanto si sente il segnale orario del Big Ben che suona nel medesimo istante in tutto il mondo per segnalare a tutti di sincronizzare i propri orologi; la stessa cosa avviene con le proiezioni che si muovono tutt’attorno. Tu sei come la stanza dell’orologio dell’Osservatorio di Greenwich, dai a tutti noi il segnale del mezzodì…


ASSEMBLARE I SUONI E FAR RESPIRARE L’OGGETTO

Philip Miller e William Kentridge, 7 maggio 2012.

WK: Parliamo della componente sonora di The Refusal of Time – degli ottoni, dei tempi rallentati, del lavoro svolto precedentemente sui metronomi e sul suono della ghironda, particolarmente in voga durante la Belle Époque.

PM: Ho riflettuto sul trattamento acustico del suono, sul modo e il processo per realizzarlo. Da un punto di vista più concettuale, ho meditato sul mistero insito nel suono, e su come esso influisce sulla percezione dell’immagine. Hai citato una conversazione avuta con Walter Murch sulla natura astratta del suono. Mi sono domandato perché, quando inizio a comporre, mi accada così raramente di avere già in testa un’idea del movimento musicale, la stessa idea che poi trascriverò e che costituirà la base della composizione che verrà realizzata in seguito. Di solito parto da un suono, o dall’idea di un suono, o da un pensiero. Una delle prime cose di cui abbiamo parlato è stata il tempo del respiro delle pompe pneumatiche che si trovavano sotto le strade di Parigi nel 19mo secolo.

WK: E in che modo tutto ciò si è trasformato in suono nell’ambito del progetto?

PM: Lavoro molto con i cantanti; coi suoni “non-cantati” che fuoriescono dalla bocca, coma ad esempio lo schioccare della lingua o il rumore dei denti; Ann Masina utilizza schiocchi e suoni secchi, oppure il respiro e il rantolo. Mi interessano i suoni tra una vocale e l’altra. Poi c’è il concetto del respiro, la natura della voce, delle componenti di quella che potremmo definire la “macchina di un cantante”: i polmoni che pompano aria nella trachea, l’aria stessa che fa vibrare le corde vocali. Si tratta di una vera e propria macchina, la semplice idea dell’aria che esce dal corpo è molto suggestiva.

WK: Il corpo diventa una macchina, ma è anche la macchina a essere antropomorfizzata. La natura astratta del tempo viene trasferita nel corpo. Ma hai anche portato il polmone, l’organo deputato al respiro, fuori dal corpo, per trasferirlo negli ottoni.

PM: Stare nel corpo, nel momento: il suono che esce dal corpo può risultare più suggestivo dal punto di vista emotivo, rispetto al suono di uno strumento che viene suonato in quanto oggetto esterno, a sé stante. Il suono che proviene dall’interno del corpo contiene in sé qualcosa di speciale. Oggetti del tutto inanimati, come ad esempio gli strumenti a fiato, prendono vita e assumono una corporeità sonora grazie al respiro; invece di sentire una nota musicale ben eseguita emessa da una tuba o da un trombone, sentiamo un soffio d’aria, un rantolo.


IL LIBRO

William Kentridge, artista poliedrico, noto al pubblico negli ultimi trent’anni per i suoi disegni a carboncino, le animazioni video e le installazioni che denunciano l’apartheid e il colonialismo, attualmente lavora in una zona di confine tra arte e scienza.

L’artista ripensa il processo creativo esaminando la percezione e la comprensione della nozione di tempo. Il tempo nelle sue varie declinazioni (narrativo, frammentato, rallentato o accelerato), la distorsione dello spazio-tempo e la simultaneità, sono alcuni dei temi rivisitati e riproposti in quest’opera d’arte totale. Kentridge utilizza diverse forme di comunicazione (danza, musica, film, narrazione, metronomi), al fine di esplorare una nozione che suscita una certa inquietudine a livello globale. Un vero e proprio work in progress, The Refusal of Time rappresenta la prosecuzione e l’approfondimento dell’opera polimorfica, onirica, politica e umanista che Kentridge ha sviluppato fin dagli albori della sua carriera.

In accordo con lo spirito di questa performance teatrale in continua evoluzione, il libro costituisce un’opera d’arte autonoma che porge lo specchio all’opera d’arte in scena: include estratti significativi dello spettacolo, disegni appositamente creati dall’artista per il libro stesso, numerosi schizzi e appunti, e tutti i testi letti durante lo spettacolo, oltre a interviste con Peter Galison e fotografie scattate durante il workshop.

Questo libro artistico, una sorta di diario di bordo di The Refusal of Time, può essere vissuto come un work in progress, un’ immersione nel processo creativo di William Kentridge.


PETER/WILLIAM

Peter Galison: Abbiamo pensato di iniziare dal titolo dello spettacolo, spiegando cosa intendiamo con la parola «refusal» («rifiuto»). Cos’è che viene rifiutato?

William Kentridge: Uno degli spunti iniziali è stato il contrasto con l’espressione «seize the day» («afferra il giorno» o «cogli l’attimo»). La frase «Rifiuta l’ora», così come i motti «afferra il giorno» o «cogli l’attimo», contiene ed esprime implicitamente la fiducia e la certezza tipiche di una massima rivoluzionaria; dire «Rifiuta l’ora» e parlare di «rifiuto del tempo» significa però anche rifiutare quella certezza. A un certo punto il progetto avrebbe dovuto intitolarsi Three Times Table (Tre volte tavolo), e trattare il tema di tre diverse concezioni del tempo: il tempo newtoniano, quello di Einstein e poi la dissoluzione del tempo nei buchi neri. Tuttavia, man mano che procedevamo, il nostro interesse si è spostato sempre di più sul tentativo di resistere all’imposizione di un ordine che il tempo stesso implica, e ha iniziato a riferirsi ad altre forme di rifiuto.

PG: Per i fisici, il tempo ha sempre rappresentato qualcosa di più di una mera nozione tecnica. Si chiedevano se la proprietà della parità si potesse annoverare tra i principi della fisica fondamentale: era possibile che ogni fenomeno naturale si verificasse anche nella propria immagine speculare, che si ripetesse immutato in seguito a un’inversione delle coordinate spaziali? Ma la nozione di parità non ha mai acceso le passioni. Il concetto di tempo ha una presa decisamente più immediata sulle persone, sulla gente comune, ma anche su Newton, Einstein, e sui loro successori.

WK: E io che credevo passaste il tempo a domandarvi se la parodia, come forma d’arte, ha una base scientifica…

PG: (ride) Chissà, può darsi… l’enorme sconvolgimento emotivo e politico causato dalle modificazioni della nozione di tempo, ci fa capire che esso non è mai stato esclusivamente una questione di tecnica, ingegneria o fisica: il tempo, da sempre, riguarda la questione della mortalità, o quella del controllo dell’individuo.

WK: È stato proprio durante le nostre conversazioni, nell’atto di ascoltarci e risponderci a vicenda, che sono emerse le idee per le possibili trasformazioni materiali del concetto astratto di tempo, a cui avremmo dato forma, di volta in volta e a seconda dei casi, attraverso un’installazione, una performance, o un film. La conversazione scientifica e quella artistica sono avvenute di pari passo, non in momenti distinti.


L’UOMO È UN OROLOGIO CHE RESPIRA.

PG: Questo è un punto fondamentale. Ricordo un particolare che ci colpì e che abbiamo seguito come una traccia: ha finito col diventare un elemento ricorrente dello spettacolo, sotto varie forme. Trovo incredibilmente divertente l’idea che ci fossero delle tubature che correvano sotto il suolo di Parigi, collegate a un orologio a aria compressa che “pompava” il tempo, pompava dell’aria al fine di sincronizzare degli orologi-satellite. Abbiamo iniziato a rifletterci su, a chiederci cosa significasse prendere una nozione astratta come quella del tempo e “pomparla” attraverso una tubatura, e poi abbiamo cercato di trovare delle associazioni con quel significato.

ODE AL QUADRO DI CONTROLLO

WK: Ci interessava la tecnologia meccanica del diciannovesimo secolo: un quadro di controllo meccanico, una tubatura all’interno della quale si poteva sentire e ascoltare il pulsare dello spostamento d’aria. La tecnologia del diciannovesimo secolo rendeva visibili quelli che nel ventesimo secolo sono diventati fenomeni invisibili. Oggigiorno, l’invio di messaggi avviene in modo invisibile, è uno scambio di informazioni tra due chip nascosti, in contatto tra di loro attraverso i telefoni cellulari. Il metronomo meccanico del diciottesimo secolo sta all’orologio atomico di oggi,

fanno la stessa cosa, contano, solo che il primo è un oggetto visibile e il suo meccanismo ci è comprensibile.

La conversazione dà il via a una serie di immagini, macchinari, storie, e strategie di pensiero: ogni idea prende forma e viene trasformata in una manifestazione, che sia un testo scritto, un testo parlato, un pezzo musicale, uno strumento, una decisione che riguarda oggetti meccanici. Con questo vocabolario di immagini e macchine a nostra disposizione, si trattava semplicemente di assemblare ciò che poi è diventato The Refusal of Time.

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