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ANCORA SU "DON CHISCIOTTE – OPERA POP"

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Qualche giorno fa Central Palc vi aveva annunciato l’opera pop dedicata a Don Chisciotte, diretta da Emilio Russo (per leggere l’articolo con tutti i dettagli cliccare QUI),  in scena dal 7 al 28 novembre 2013 al Teatro Menotti di Milano, con Alarico Salaroli e Marco Balbi.

Ecco cosa scrive il regista per presentare lo spettacolo:

Don Chisciotte – Opera Pop

NOTE DI REGIA

di Emilio Russo

Cercare di capire l’universo Don Chisciotte non solo è impossibile: è assolutamente inutile. Se ti illudi di averne afferrato qualche significato profondo, questo scappa via da tutte le parti, si contraddice e non si fa afferrare. Lo stesso Cervantes è così stupito di ciò che stava scrivendo che ne ha dovuto prendere le distanze, inserendosi all’interno dell’opera come personaggio: una specie di trascrittore, traduttore, che ha il compito di tramandare l’opera. E non è da escludere che la verità sia proprio questa, come dice Miguel de Unamuno nel suo Vita di Don Chisciotte e Sancio Panza:

“Ed è perciò da credere che lo storico arabo Cide Hamete Benengeli non sia un puro e semplice espediente letterario, ma che sotto la finzione poetica si celi una profonda verità; ossia che questa storia fu dettata al Cervantes da un altro che a sua insaputa si nascondeva dentro di lui…uno spirito che dimorava nelle profondità dell’anima sua…”

A noi resterebbe la possibilità di creare il “nostro” Don Chisciotte, ma la forza di quelle parole e di quel mito non può essere dribblata, come hanno tentato in molti. Lasciarsi trasportare? chissà. Io ci ho provato…

Credo che Don Chisciotte sia sopratutto una grande storia d’amore, la più grande, perché la più pura, non contaminata da aspettative carnali, nemmeno dagli sguardi. Un amore verso chi non c’è e non ci sarà probabilmente mai. Un amore che Don Chisciotte sublima inventandosi un altro nome e un altro rango per la sua Aldonza, che probabilmente è il vero “oggetto” di questo amore, così grande, nato dalla sua stessa follia e naufragato tra i libri di cavalleria

“In dodici anni che l’amo l’avrò vista si e no quattro volte e di queste quattro volte poi nemmeno una lei si è accorta che la guardavo…” dice candidamente il cavaliere. E infatti Dulcinea/Aldonza non compare mai nei 126 capitoli del romanzo, ma è presente in maniera ossessiva, quasi un mantra, nei pensieri di Don Chisciotte.

È poi una storia di amicizia tra due persone, le più diverse che ci possano essere, perlomeno in apparenza. Don Chisciotte e Sancio Panza, la luna e la terra.

Nella mia idea dei due personaggi c’è un percorso più netto in Sancio, una sua donchisciottizzazione più evidente della parziale sanciopanzzizazione di Chisciotte. Ci ho provato sottolineando nella parte iniziale gli aspetti carnali e a volte volgari di Sancio, verso una sua maggiore consapevolezza (o inconsapevolezza) del suo ruolo. A un certo punto non può staccarsi, non può vivere senza il suo padrone. Addirittura, in una possibile lettura del finale, continuerà a incarnare gli ideali erranti, mentre il suo padrone viene definitivamente sconfitto dal Cavaliere della Bianca Luna (qui solamente la Luna).

Don Chisciotte invece non cambia, solo verso la fine del romanzo sembra rinsavire, quando la locanda Barcellona viene riconosciuta come tale e non più come castello. Ha dei barlumi di coscienza e sembra consapevole della sua sconfitta.

Non ho voluto rappresentare la morte del cavaliere, ma, solo almeno parzialmente quella del personaggio: quando rinchiuso nella gabbia si spoglia e si strucca recitando il monologo della sua morte. Nel finale ho voluto sia sottolineare quanto detto dal notaio al capezzale di Don Chisciotte: “in nessun romanzo cavalleresco aveva letto che un cavaliere errante morisse nel proprio letto”, sia la possibile missione di Sancio nel continuare l’avventura.

Struttura e ambientazione. Ho suddiviso il testo nei tre viaggi, come il romanzo originale. Ho voluto collocare temporalmente la vicenda la notte del 21 luglio 1969, quando l’uomo, forse, ha messo il primo piede sulla luna. Molte le suggestioni, intanto la luna. Per Don Chisciotte è una messaggera, una testimone del suo amore e della sua sofferenza, per gli uomini del ’69 la sua conquista era il sogno della propria onnipotenza, così come i contemporanei di Don Chisciotte affidavano alle armi da fuoco i loro destini di conquistatori.

L’altra grande suggestione è la straordinaria invenzione del narratore misterioso, che racconta le avventure di Don Chisciotte e Sancio contemporaneamente al loro svolgersi, spesso in contraddizione con esse.

Non è un’anticipazione visionaria dei “mass media”? Orson Welles, nel suo film incompiuto, colloca la storia dentro e fuori una sorta di documentario cinematografico, mischiando personaggi letterari e interpreti. Ispirandomi timidamente a lui, ho pensato a una serie di interventi provenienti da radio o da televisioni: voci che raccontano, e a volte commentano, alcuni momenti storici.

Per quanto riguarda le “gesta” di Don Chisciotte ho mantenuto le tre principali, provando a renderle teatralmente, senza effetti speciali. Una è raccontata (esercito di pecore), l’altra è musicata (mulini a vento). Queste avventure avvengono o sono raccontate all’interno del Toboso, la balera che diventa rifugio nella prima parte di Don Chisciotte e Sancio, dove si fa musica, si mangia e si beve. L’ultima, che poi apre lo spettacolo, è un “piccolo” colpo di scena… 

Il linguaggio. I dialoghi sono composti quasi tutti con le parole originali del romanzo, seppure in ordine differente. Alcuni sono scritti da me. Ho evitato lunghi monologhi e non mi sono per il momento preoccupato di una certa ripetitività, a cui forse non ci si può sottrarre (il romanzo ripete alcuni concetti centinaia di volte). Il tono è tra il comico e il tragicomico, con molte aperture poetiche e spunti di “coscienza civile”.

Canzoni. Lo spettacolo sarà decisamente musicale con canzoni e musica che sottolineerà spesso la parola recitata. Il locale, il Toboso, chiuso per “veglia lunare”, è una sorta di balera, ma anche di club house con musica continua.

Il luogo. Lo immagino come una strada di una periferia metropolitana, in cui i nostri due personaggi (forse per l’immortalità del mito) si trovano più o meno vestiti come nella loro tradizione iconografica: in fondo erano obsoleti anche ai tempi di Cervantes!

Il Toboso appare e scompare dietro un pannello scorrevole e il viaggio non è che una partenza incompiuta, un “errare” verso il niente.

Mi sembra più o meno tutto e queste spero possano essere indicazioni utili per la vostra lettura e il vostro giudizio. Da adesso inizia la vera avventura!

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