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REVIEW – ALLA META

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Per tutti quelli che vogliono restare rapiti da una grande interpretazione.

_18E5002di Alberto Raimondi

“L’esibizione assoluta”? L’”essenza” stessa del teatro?

Tutto è bene quel che finisce bene! Qualcuno risponderebbe.

Belle domande e forse senza risposte, ma un suggerimento ce lo da l’Associazione Culturale Gianni Santuccio che si presenta al Teatro Franco Parenti di Milano con Alla meta di Thomas Bernhard, con la traduzione di Eugenio Bernardi e la regia di Walter Pagliaro, portano in scena una commedia caustica dove si ride a denti stretti di fronte ad una comicità cinica permeata su un personaggio “la madre” che catalizza l’attenzione del pubblico e da sola tiene in piedi tutto lo spettacolo.

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Una regia basata completamente sul testo, un fiume di parole rimbalzano impazzite da un argomento all’altro, spaesando ogni spettatore e trascinandolo in un vortice di emozioni, il copione è più che mai la spina dorsale dell’intero spettacolo e tutto il resto si muove attorno ad esso, piacevole lasciarsi shakerare da questo turbinio di frasi che ci fanno piano piano conoscere un personaggio quasi surreale talmente estremo ed esagerato, poi piano piano ci rendiamo conto che nella vita conosciamo qualcuno di simile e tutto diventa estremamente reale ed estremamente crudo!

La trama, per chi non la conoscesse, racconta di una madre, magnificamente interpretata da Michela Esdra, e di sua figlia, interpretata da Rita Abela, che si preparano a lasciare la casa in una non precisata città olandese , per recarsi in treno a Katwijk, una località balneare nel sud dell’Olanda; si preparano per trasferirsi nella loro casa al mare e, come ogni anno, la meta tanto agognata viene subito odiata non appena raggiunta.

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Bagagli da preparare e bagagli da disfare scandiscono il maniacale rituale in modo identico da tanti anni, ma le loro abitudini sono ora scosse da una novità: non partiranno più sole perché per qualche giorno saranno accompagnate da un ospite imprevisto, uno scrittore di teatro incidentalmente coinvolto, interpretato da Diego Florio, che le due donne hanno conosciuto in occasione del debutto della sua ultima pièce, “Si salvi chi può”, accolta da un grande successo. Prima che lo scrittore di teatro arrivi, intanto scopriamo molte cose. Le due donne vivono, in realtà, un ambiguo rapporto familiare. La madre discende da un’antica famiglia circense che “batteva” la provincia olandese, guidata da un nonno-pagliaccio, di cui lei ancora conserva come una reliquia, un vecchio baule di giunco e una variopinta coperta per cavalli. Un giorno questa donna aveva incontrato e sposato un ricco industriale, poi da lei progressivamente irretito, da cui aveva avuto due figli: uno dal volto prematuramente senile, morto molto presto, l’altra vagamente ritardata, con cui vive ancora oggi dopo la morte del marito.

Nel monologare crudele sempre venato di una rabbrividente comicità, la protagonista infierisce sulla figlia -vittima- e sul povero scrittore, la cui ultima pièce diventa uno degli argomenti delle sue deliranti dissertazioni. Ma il bilancio esistenziale che emerge dalle pieghe di tanto egocentrismo è fallimentare: il fiume di parole si rivela il mezzo per nascondere il baratro silenzioso della solitudine su cui è in bilico la vita della Madre e la morbosità incestuosa del legame tirannico che la incatena alla Figlia.

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L’unica via d’uscita sembra suggerita da quell’oggetto che la madre conserva dentro il baule di giunco: una vecchia coperta per cavalli usata dal nonno saltimbanco, “un povero oggetto quotidiano in cui si perpetua un ricordo di vitalità e di gioco nonostante tutto.”

Una commedia che quasi sembra un monologo, e forse sarebbe stato meglio che lo fosse davvero, due atti di cui uno di quasi due ore ed uno di una. Forse sarebbe stato meglio tagliare il secondo per dare ancora più forza al primo. Effettivamente la prima parte è decisamente molto più forte della seconda, giocata quasi completamente su Michela Esdra che, con grande professionalità, porta in scena un ruolo estremamente difficile, cattura il pubblico, lo ipnotizza e lo porta all’interno di quattro mura domestiche dove il rapporto tra una madre ed una figlia mostrano un rapporto malato e crudele. La madre parla incessantemente, quasi sfidando le sue capacità polmonari: una performance vocale la sua, degna di un giocoliere, ma non varrebbe nulla se non ci fosse un’interpretazione importante, le pause e i continui cambi d’espressione, i molteplici timbri vocali accompagnati da una gestualità studiata cesellano un personaggio enorme quanto grottesco, a tratti mefistofelico per cattiveria, ma anche arguto e spietato e spiazzante perchè, da un momento all’altro, può diventare materno e coccolone. Indubbiamente Michela Esdra è questo spettacolo!

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