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REVIEW – VITA AGLI ARRESTI DI AUNG SAN SUU KYI

4-Enrico Fedrigoli

Parlare della Birmania per parlare di noi stessi.

1.1-Enrico-Fedrigolidi Alberto Raimondi

Al Teatro Elfo Puccini di Milano va in scena Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi  prodotto dal Teatro delle Albe scritto e diretto da  Marco Martinelli, ideato dallo stesso assieme a Ermanna Montanari, che firma anche scene e costumi. Decisamente una coppia molto produttiva e visti i risultati in scena facciamo i complimenti per quantità e qualità del lavoro svolto. Fin da subito si capisce che le idee sono molto chiare ed altrettanto sono le volontà di raccontare una storia con pochi elementi scenici ma molto precisi, dove ogni oggetto è un simbolo e uno strumento, dove i tagli di luce di Francesco Catacchio e Enrico Isola hanno dei significati ed interagiscono perfettamente con gli interpreti anche nelle penombre, dove le proiezioni di Alessandro Tedde e Francesco Tedde vanno a sottolineare delle pagine storiche che non possono essere strappate o cancellate.

Dopo Pantani, Premio Ubu per la drammaturgia 2013, il Teatro delle Albe guarda a Oriente per raccontare la vita di Aung San Suu Kyi, una delle tante combattenti della democrazia che per il suo accanimento ed il suo coraggio è spesso stata sulle prime pagine dei giornali e nonostante la distanza geografica anche in Italia se ne è parlato, ma si sa come questo tipo di figure entrano ed escano dalla cronaca ad uso e consumo dei media, pertanto è importante affrontare l’argomento con uno spettacolo che vada a dare linfa alla sua crociata, ora che non ci sono particolari “gossip” ed il rischio di dimenticare è dietro l’angolo. Interessante sapere quello che dice il regista su come è nato questo lavoro: “Questo lavoro è nato in volo. Stavamo sorvolando l’Atlantico, diretti a La MaMa di New York. Sfogliando, per passare il tempo, quelle riviste che si trovano sugli aerei, casualmente ho visto il volto sorridente di Aung San Suu Kyi e ho chiesto a Ermanna: non ti assomiglia?”… da una rivista sugli aerei, dicendola lunga sulla presenza mediatica di Aung San Suu Kyi, punto che mai va dimenticato per comprendere questo spettacolo e per mai dimenticarne la sua importanza.

17-Enrico-Fedrigoli

Una vita passata per oltre 20 anni agli arresti domiciliari, una sepoltura, allontanando il proprio marito ed i figli, cercando di recidere tutte le forme di comunicazione,  cercando di combattere la dittatura militare che opprime la Birmania da più di mezzo secolo, senza uso di armi. Chiara la scelta di affrontare storie drammatiche e forti da parte delle compagnia ed è altrettanto chiara la volontà di raccontarle senza mezzi termini, con profonda chiarezza in modo che il pubblico possa capire ogni passaggio. In effetti anche chi non conoscesse le vicende dell’attivista birmana si troverebbe di fronte ad una visione lineare e pulita degli avvenimenti, spiegazioni dettagliate ed approfondimenti di vicende spesso insabbiate; non solo una semplice descrizione dei fatti, ma attraverso idee registiche, ci si ritrova di fronte sperimentazioni teatrali che aiutano la comprensione nella sua parte più profonda.

Il lavoro di Martinelli parte dalla figura di questa donna mite e determinata, Nobel per la pace nel 1991, interpretata da Ermanna Montanari, premio Eleonora Duse 2013, per allargarsi a una riflessione sul mondo contemporaneo, alla necessità di cantare con gioia “la maestà della vita”, anche quando tutto attorno le nuvole nere incombono. La sua recitazione è essenziale senza manierismi che possano distrarre o falsare il personaggio, tutto è tranquillo e mite, la bontà prende il posto di urla o di violenza, non si vuole raccontare una favola ma la storia e lo si fa con calma senza però dimenticarci della verità.

3-Enrico Fedrigoli

Accanto a lei un “coro” – si fa per dire – formato da Roberto Magnani, Alice Protto, Massimiliano Rassu , con un’ incursione scenica di Fagio, aiutanti importantissimi per lo svolgimento della drammaturgia.

I quattro interpreti sono perfettamente montati in scena e la recitazione non è mai scontata, le scelte fatte sulla “parola” molto interessanti ed efficaci, i continui cambi di timbrica vocale aiutano il pubblico alla comprensione dei personaggi nella storia, facile assaporare i “cattivi” nella loro parte più viscida e melliflua.

Speriamo che questo lavoro possa essere visto da più pubblico possibile anche da quello più giovane perché possa conoscere oggi quello che potrebbero essere i suoi problemi di domani. Tutto parte da una domanda con cui si apre questa Vita e finisce con una riflessione su questa domanda: è distante la Birmania? Evidentemente no. È “poco lontano da qui”, come ogni luogo del pianeta. La Birmania nella nostra Vita è una maschera per parlare anche di noi. Si racconta il lontano per trovarlo sorprendentemente “prossimo”.

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