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REVIEW – SCANDALO

GetInline-3Uno “Scandalo” fin de siècle che non scandalizza più nessuno

GetInline-2di Erica Culiat

Il teatro è veicolo di comunicazione. Immediato. Gli scritti di Arthur Schnitzler, romanzi o pièce teatrali, ancora oggi sono considerati “moderni” e quindi attuali. Dalla fluidità dei dialoghi alla  capacità dell’autore di indagare i caratteri dei protagonisti, portando alla luce le contraddizioni di un sistema, quello della società asburgica della belle époque, attraverso una folla di personaggi dove vengono orchestrate passioni, valori in crisi, ipocrisia, grottesca inflessibilità che ritroviamo ancora oggi.

La stagione del Politeama Rossetti, iniziata martedì 27 ottobre, ha sollevato il sipario su un testo inedito per l’Italia di Schnitzler, Scandalo (1898), nell’originale Das Vermächtnis, che significa, testamento ma anche dono. Compagnia stabile più degli attori ospiti, Franco Castellano, Stefania Rocca e Astrid Meloni.

Il colpo d’occhio sicuramente c’è stato. Con l’imposizione da parte del Ministero di avere una compagnia stabile, nella speranza poi che si trovino i fondi per mantenerla, vedere allestito uno spettacolo con dodici persone, ti rimanda a quelle pièce di ampio respiro corale che una volta, quando i contributi venivano elargiti generosamente, erano la normalità del teatro italiano. La scena di Antonio Fiorentino nel primo atto è tradizionale, solida e bella. I costumi di Andrea Viotti, sui toni del panna, curati nei particolari, eleganti.

Per due ore e mezza però una domanda continuava a turbinare fastidiosa. Che cosa ha comunicato questo testo ai tanti giovani presenti in sala? È scandalo per loro che un ragazzo di buona famiglia ami una ragazza di ceto inferiore? Inoltre, ha senso oggi parlare di buona famiglia e di ceto inferiore? Forse la Gran Bretagna è ancora così classista, ma qui da noi la situazione è molto più emulsionata.

GetInline-1È scandalo per questi ragazzi amare qualcuno dal colore di pelle diverso dal proprio? (la scelta registica attualizzante di Però è stata quella di chiamare la Meloni che ha origini eritree così da sottolineare che lei è la “diversa”, è l’altro di cui bisogna aver paura, come spaventano  le masse di disperati che transitano oggi in Europa).

A parte il fatto che i nostri giovani sono molto accoglienti e oggi la multirazzialità è normale, la storia di Toni, alla fine suicida, prima accettata nella famiglia di Hugo e poi scacciata una volta che i legami di sangue sono stati recisi – Hugo, che non l’ha mai sposata, muore per un incidente a cavallo e il loro bambino verrà portato via dalla malattia – quanto ha commosso, quanto ha catturato l’attenzione, quanto questi ragazzi, ma anche noi, ci siamo immedesimati nella sua  storia?

La trama così raccontata non ha fatto balenare nessuna scintilla.

Schnitzler parla di ipocrisia, di comportamenti protesi a costruire facciate di rispettabilità, sul filo del “cosa penserà la gente di questo”. Valido per una generazione dai settanta in su, ma al di là dell’omologazione culturale del proprio gruppo social, quello che pensano gli altri è di secondaria importanza per i ragazzi di oggi. Vogliamo i giovani a teatro? Offriamo intanto storie che parlino di loro, e il cinema americano in questo è maestro, e di attualità, poi passeremo ai grandi classici.

Di sicuro propendiamo più per un teatro di drammaturgia contemporanea, detto questo è sacrosanto mettere in scena i testi del passato – d’altra parte il teatro italiano si regge sui classici, sul “sicuro”, e ciò nonostante l’emorragia degli spettatori di prosa è inesorabile! -.

I classici, per dirla con le parole di Bernard Dort, li dobbiamo utilizzare per i nostri scopi. Devono parlare a noi, cittadini del terzo millennio, altrimenti limitiamoci alla lettura. Franco Però ha optato per un allestimento filologico. Bisogna farlo come tale, allora. Pochi tagli e fin qui ci siamo, ma la dipintura  della famiglia Losatti, una famiglia alto borghese viennese fin de siècle, è veramente improbabile. Bofonchiamenti in pre-anestesia, camminate sgraziate, anche qualche aggiustatina ai pantaloni, quel modo di porsi ribelle che ricorda tanto le ragazze di oggi.
Insomma, basta leggere Ernst Lothar o come de Waal descrive la sua famiglia i ricchi ebrei Ephrussi, per farsi un’idea di come si comportavano!
GetInlineGli unici che danno un senso di rigore e austerità formale sono la moglie del capofamiglia, Betty Winter Losatti (Ester Galazzi), il dottor Ferdinand Schmidt, interpretato alla perfezione da Adriano Braidotti, il più feroce antagonista di Toni, che la vuole vedere il prima possibile lontano dalla  famiglia, proprio lui che da origini modeste si è elevato a un rango di tutto rispetto, e per la piccola parte che ha, Riccardo Maranzana e il suo dottor Bernstein. Ci sta, e ce la siamo goduta tutta, la solarità che via via si spegne di Agnes (Federica De Benedittis), la figlia di Emma Winters (Stefania Rocca), vedova del fratello defunto di Betty, l’anticonformista di casa, e la giocosità del giovane Gustav (Andrea Germani), amico di Hugo (ancora una volta Filippo Borghi si conferma un’ottima scelta  per la compagnia).

Il punto è: o vediamo un interno di famiglia di fine Ottocento o li trasponiamo nel 2015. Ecco perché il personaggio della Rocca è fuori segno, proprio in questo modo di atteggiarsi contemporaneo che stride con l’ambiente, i costumi, l’etichetta di allora. Ribelle nella parola, sì, anche se poi si allinea con la famiglia, ma con aplomb gestuale. E Franco Castellano, attore che come la Rocca ci è sempre piaciuto, atteggiato a pose gandusiane – e lo stesso Gandusio in un testo così sarebbe stato fuori bolla – non ci sta e soprattutto non si capisce quello che dice.

E qui ci avviciniamo all’ultima triste nota. Si sentiva poco o niente. Certo è che il Politeama è ostile all’acustica. Da sempre. La parola è percepibile solo in alcuni punti. Ma non si possono far recitare gli attori in una sala da 1500 posti come se fossero in una di 500 e oltretutto di schiena. Bisogna usare i radio-microfoni, non si possono elemosinare le parole nella prosa. Va a finire che non si ascolta più, non si capisce la storia e la noia si allarga sul viso come le rughe d’espressione. Dispiace sezionare in maniera così chirurgica la serata, perché sappiamo la fatica che c’è dietro ogni allestimento da parte di tutti, ma pensiamo che i testi vadano scelti con maggior attenzione perché come diceva Brecht il teatro non può cambiare il mondo, ma può cambiare gli spettatori e gli spettatori se desiderano possono cambiare il mondo. L’altra sera questo non è successo.

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