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REVIEW – MENTRE RUBAVO LA VITA

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Mentre rubavo la vita: Guerritore e Nuti omaggiano la grande poetessa dei Navigli

10_catoccidi Lucio Leone

Monica Guerritore e Giovanni Nuti riescono in Mentre rubavo la vita in una operazione che ha del prodigioso.

Ci permettono di vedere una persona al di là delle sue parole, e la cosa è tanto più incredibile se si pensa che questa persona, nella nostra immaginazione, è fatta essenzialmente proprio e quasi solo di… parole. Parole crude, parole verissime e precise che raccontano la propria vita: è così che abbiamo sempre conosciuta Alda Merini.

Solo che l’altra Alda, quella fatta di carne e sangue (una materia che è diversa dalla carne e sangue poetici, materia per sua natura rarefatta e distillata, ancor più vera in quanto filtrata dall’arte), era un’Alda che pochi hanno avuta la fortuna di conoscere dal vero. Anche la sua iconografia classica: quello sguardo penetrante, quella sigaretta sempre accesa, le pellicce, l’angolo della bocca in un sorriso sghembo che è difficile definire, è una iconografia che non aiuta a capirla. La sua resta sempre una figura enigmatica e dolente, pungente e malinconica al tempo stesso. Per questo è necessario uno spettacolo come questo, che è tornato a Milano al Teatro Manzoni per una data secca in occasione di un giorno speciale: il compleanno di questa nostra poetessa “dei Navigli” che coincide con la Giornata Mondiale della Poesia. Per ritrovarla, questa voce necessaria e “anima bella”, ma soprattutto per conoscerla meglio.

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Le canzoni di Nuti (lui sì che ha avuto la fortuna di conoscere e frequentare a lungo la “piccola ape furibonda” dal vero) sono così melodiose da pensare che musica e parole siano nate insieme, come se le lettere e le note fossero solo un modo diverso di chiamare la stessa cosa. Albatros, Sono nata il 21 a Primavera o Quelle come me ad esempio sono davvero dei piccoli gioielli.

Monica Guerritore dal canto suo incarna lo spirito di queste canzoni (e quindi della Merini, che resta la vera chiave di volta su cui si fonda tutto il progetto) in un modo che ha del sorprendente, considerato che non si sono mai incontrate. La passeggiata iniziale dello spettacolo, in cui entra e fuma coperta da una pelliccia e da lunghi fili di perle, è al limite della seduta spiritica. La incarna più che rappresentarla, ed il suo modo da “attrice” e non da cantante di interpretare la musica è forse il segreto per cui poesia e teatro (sempre uniti e divisi da un rapporto di odio e amore, declamata la prima e recitato inseguendo la verità l’altro) finiscono per fondersi perfettamente.

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Poco altro da aggiungere su questo recital, concerto, racconto che è Mentre rubavo la vita. Va solo detto che in mezzo a poesie, aneddoti, canzoni si ride anche, e molto. Si ride di una mente acuta e ironica, si ride dei ricordi (i suoi, i nostri), si ride della vita. Si ride quando Guerritore spiega la differenza tra poesia e parole di ogni giorno (“Sempre caro mi fu quest’ermo colle” -cit. Carmelo Bene- è immortale, “Oh, ma quanto mi piace questa collina” significa la stessa cosa, ma immortale non è).

Si ride al racconto di Merini che affibbia il nomignolo di “zanzara” alla vicina rompiscatole e relativa ristrutturazione di appartamento (salvo poi immalinconirsi a lavori conclusi perché si era abituata a prendere il caffè con i muratori). E alla fine si ride al pensiero che se Alda Merini avesse potuto vedere lo spettacolo lo avrebbe approvato e forse però anche preso in giro (per sdrammatizzare la reverenza che prende tutti noi quando si entra a contatto con la sua opera poetica) stigmatizzandolo con una delle sue meravigliose battute tranchant. Di quelle che restano, perché sono poesia anch’esse.

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