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ARCHI-SCENICI. RENZO PIANO.

Renzo Piano e la scena contenitore.

È tra i 5 architetti viventi più famosi al mondo. È celebrato, ricercato e apprezzato per i lavori dell’età avanzata (come spesso avviene in questa professione) forse più che per la lenta ma costante evoluzione della sua carriera.

Oggi, il senatore della Repubblica Renzo PianoPrizker Prize nel 1998, 80 anni e oltre 20 progetti in fase di realizzazione sparsi nel mondo – sembra lontano dal ricordo che ha di sé e del collega Richard Rogers ai tempi dell’inaugurazione del Centre Pompidou a Parigi: «Eravamo giovani, pazzi, eravamo un po’ eccessivi come si è sempre da giovani. Eravamo dei ragazzacci e la ribellione ci guidava».

Il Beaubourg, inaugurato nel 1977, è decisamente un edificio ribelle che concretizza il momento in cui, nel Novecento, ci si rende conto delle potenzialità dell’architettura all’interno della società dello spettacolo allora appena codificata da Guy Debord.

Il dispositivo della facciata-macchina fronteggiata dalla piazza inclinata è un palcoscenico urbano a tutti gli effetti, reso ancor più funzionale dalla scala mobile, sorta di grafia scenica che si inerpica sul fondale disegnando il percorso di accesso alla galleria d’arte. Ignari attori di una piece urbana, i visitatori vengono osservati da chi si ferma nella piazza anche solo per “godersi lo spettacolo”.

L’intera area funziona teatralmente come il foyer di un teatro ottocentesco, con la non indifferente sovversione di essere uno spazio esterno, non un interno: l’accesso comune, la grande scala monumentale, lo specchio per mirare e farsi mirare alluso dalla fontana Stravinsky, appena discosta dalla piazza.

Tanto basterebbe a far capire che l’approccio di Piano è ben più lirico di ciò che la tradizionale critica dell’architettura tende a mostrare. Lo stesso lavoro di trasformazione delle periferie, costantemente divulgato, ribadisce il medesimo desiderio di integrazione delle parti presente nei suoi lavori per il teatro e per la musica.

La macchina acustica della Salle de projection acoustique dell’Ircam costruita sotto il Beaubourg, lo spazio-arca allestito a Venezia in occasione della Biennale del 1984 per accogliere Prometeo, la tragedia dell’ascolto scritta da Luigi Nono e la nave-ventre costruita per lo spettacolo Ulisse e la balena bianca condividono tutte la caratteristica di essere contenitori di attori/musicisti e pubblico senza soluzione di continuità.

Non solo non vi è alcuna divisione architettonica che si frapponga tra lo spazio dell’osservazione e lo spazio dell’azione, ma l’involucro interno che ospita le azioni – del guardare e dell’essere guardati – non viene partizionato neppure dal punto di vista decorativo. Lo spazio, se ben studiato, è in grado di trasformarsi nell’azione teatrale e la scenografia non si dichiara in autonomia estetica rispetto all’involucro, bensì è coincidente con elementi architettonici e finanche strutturali.

Nell’arca di Prometeo questa linea di progetto – una linea “debole” in quelli che erano gli anni del Postmodernismo più rutilante – ha definito la scelta di sospendere lo spazio-contenitore spingendolo su, verso le volte della chiesa di S. Lorenzo che avrebbero permesso al suono di ricadere sul pubblico con un’intensità maggiore, generando inoltre al livello d’ingresso uno spazio di accoglienza e distribuzione che sarebbe altrimenti mancato. Nelle intenzioni di Nono doveva essere una “non-scenografia”, un dispositivo che, superando l’inadeguatezza della tradizione, metteva al centro gli spettatori e tutto intorno i cantanti che si muovevano a spirale verso l’alto usando piccole scale navali. Tre ordini di ballatoi in tubi cantieristici avvolgevano il vuoto della sala-scena e riflettevano il suono grazie a pannelli lignei curvi.

Come dichiarava Massimo Cacciari, che dell’opera scrisse i testi, «in Prometeo la musica non viene proiettata in prospettiva al di sopra del pubblico come avviene nei teatri d’opera tradizionali, ma li inonda»; e ciò avvenne anche e soprattutto grazie a una scenografia-contenitore immaginata come una cassa armonica, a metà tra una mandola e una carena di nave molto accentuata, attualmente stoccata in un magazzino dopo essere stata ceduta in comodato d’uso al Comune di Mezzago fino al 2020 (un progetto prevede di restaurarla e rimontarla a Matera nel 2019, quando la città sarà capitale europea della cultura).

La fascinazione di Piano per le imbarcazioni ritorna anche nel progetto scenico per lo spettacolo di Vittorio Gassman Ulisse e la balena bianca rappresentato a Genova in occasione delle celebrazioni colombiane del 1992. Lo spazio coperto sotto il Bigo (l’ascensore panoramico del porto) venne trasformato nel fasciame di una nave sventrata che, in una sorta di gioco drammaturgico, ricordava anche le costole di uno scheletro di balena: nuovamente Piano non fa concessioni didascaliche, lasciando la narrazione all’attore, ma progetta uno spazio-scena in cui gli spettatori possono accomodarsi sui costoloni in legno strutturale della nave quasi condividendo lo spazio dell’azione.

Per Ulisse e Prometeo, dunque, Piano, architetto dell’high-tech ecosostenibile, disegna luoghi semplici e unitari, eredi diretti di quel teatro cinquecentesco d’occasione chiamato teatro cortese, in cui un solo spazio accoglieva l’azione e la visione confondendone i limiti e sconfinando una nell’altra fino a trasformare l’architettura effimera nell’opera stessa.

L’idea di un architetto non è mai solo formale. Deve essere al tempo stesso sociale, scientifica e poetica. (Renzo Piano)

About silviacattiodoro

Docente e architetto, dirige la collana “Obliquae Imagines” per la casa editrice in Edibus ed è curatrice del “Maria Callas Archive” presso la Fondazione Progetto Marzotto. Laureata in Architettura all'Università IUAV di Venezia, ha orientato i suoi studi successivi al rapporto tra architettura e performance grazie alla specializzazione in Scienze e Tecniche del Teatro, un Master in Museogafia e una tesi di dottorato in Design Industriale, Comunicazione e Espressione visiva sull'influenza dell'architettura nei progetti scenografici di Gio Ponti. Dal 2001 si occupa di didattica nei settori della Scenografia e dell'Interior Design presso diverse Accademie e Università: Politecnico di Milano, IUAV, Ca' Foscari Summer Program, ISAI Design Academy, Accademia Santa Giulia, Accademia Adrianea, Università di Siviglia, MIT Summer Program. Dal 2013 è abilitata dal Miur al ruolo di Professore Associato per le discipline della progettazione e dell'allestimento. Il suo studio, fondato nel 2002 a Padova, è specializzato in architetture residenziali, d'interni, allestimento e scenografia. La sua ricerca si concentra su architettura e scenografia, permanente ed effimero negli interni e nella città. Il suo interesse principale è come la forma sia in grado di trasferirsi attraverso altre discipline – in particolare quelle effimere – all'interno dell'architettura e i prodotti ibridi che ne derivano. I risultati della sua ricerca, della didattica e del lavoro professionale sono stati pubblicati in saggi e monografie.
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