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IL CICLO TEATRALE DI VITO TIMMEL IN MOSTRA A TRIESTE

Teatro e pittura in mostra al Museo Revoltella di Trieste: le maschere di Vito Timmel tornano a incantare.

di Erica Culiat

Al Museo Revoltella si va per visitare gli appartamenti del barone Pasquale Revoltella, per scoprire le collezioni d’arte moderna custodite al suo interno, per ammirare il “contenitore” in sé, ristrutturato e progettato da Carlo Scarpa, ma, non ci sono date ufficiali, comunque fino al 14 ottobre, data della Barcolana, la regata velica che tanto lustro ha dato e da a Trieste, si può vedere una piccola esposizione sopra l’Auditorium di un pittore che amiamo molto. Vito Timmel.

Sono visibili, infatti, dalla metà di maggio, i pannelli decorativi per il Cine Ideal – Italia, per la prima volta con le iscrizioni originali identificative di ciascun soggetto, trovate in un deposito di materiali allestivi in disuso. Ma questa dei ritrovamenti fortuiti non è nuova per Timmel. Anche le tele, 40 metri di pittura, che decoravano il Teatro di Panzano, inaugurato nel 1920 all’interno del Cantiere Navale di Monfalcone e che si credevano perdute durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale, sono state recuperate nella soffitta di uno xilografo friulano, Tranquillo Marangoni. Nessuno ha mai capito com’erano finite lì.

Comunque, il nome di Vito Timmel, forse sconosciuto ai più, è saltato fuori grazie al libro La mostra (Garzanti 2001) di Claudio Magris dove, attraverso le parole degli amici, dei compagni d’osteria, degli infermieri veniva tratteggiata la vita del pittore, grafico e cartellonista triestino d’adozione – la famiglia infatti da Vienna si era stabilita a Trieste nel 1890. Timmel che in realtà faceva Viktor Thümmel, era nato a Vienna nel 1886, il papà era un nobile tedesco, Raphael von Thümmel, la mamma invece una contessa friulana, tale Adele Scodellari.

Magris lo racconta nel suo periodo più buio, quello dei primi anni Trenta, quando inizia a bere – per una bevuta, regalava i suoi quadri – e durante la reclusione all’ospedale psichiatrico di San Giovanni per sindrome demenziale dove morirà il 1° gennaio 1949.
E poi c’è stato anche uno spettacolo teatrale tratto proprio dall’opera di Magris, con lo stesso titolo, messo in scena da Antonio Calenda nel 2003 per il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, con Roberto Herlitzka. Spettacolo che aveva ricevuto agli Olimpici il premio come miglior testo di autore contemporaneo e agli Ubu il premio per l’interpretazione dell’attore piemontese.

Anni fa, non so se nelle ultime edizioni qualcosa è cambiato, Timmel non era neanche citato nella Garzantina dell’Arte, eppure Mafarka il futurista, forse il critico milanese Malpezzi, aveva dichiarato di essere rimasto preso come da un fascino acuto dalla sua pittura e annotava che anche Marinetti, avaro alla compiacenza, lo aveva collocato tra i “novatori”.

Che cosa colpisce di Timmel? La forza della linea e del colore, i violenti contrasti cromatici se deve dare un accento deciso al personaggio o quelle raffinate velature se deve commentare l’eleganza della figura, la ricchezza decorativa che lo accostano a Klimt.

I 17 pannelli del Revoltella sono «dipinti a tempera su carta, realizzati separatamente, ma concepiti come un unico fregio continuo. Lo sappiamo grazie alcune fotografie dell’opera nella sua collocazione originaria» (Franca Marri nella monografia su Timmel edita dalla Fondazione CRTrieste. Iniziative culturali, 2005). Il museo possiede l’intera serie, tranne il pannello che raffigura l’Arlecchino – bisogna accontentarsi di una proiezione – perché appartiene a un privato.

Questo Cinema Ideal era stato aperto a Trieste nel 1912, stava nel Palazzo della Ras oggi in ristrutturazione perché diventerà un albergo. Dal ’16 al ’18 il proprietario sarà Riccardo Colledani che all’attività cinematografica affiancherà anche quella teatrale e probabilmente sarà lui a chiedere nel ’16 a Timmel di completare la decorazione dell’atrio, nella fascia alta delle pareti, lasciata vuota da un altro pittore triestino, Piero Lucano. Timmel porterà a compimento l’opera in due mesi e pare abbia ricevuto un compenso di diecimila corone (ricordiamo che all’epoca Trieste apparteneva ancora all’impero asburgico!).

Che cosa dipinge Timmel? Personaggi della letteratura teatrale e romanzesca di tutte le epoche e di tutti i Paesi: oltre l’Arlecchino, già citato, Sylok, Un ronino, Elena, Cyrano, Madame Bovary, Don Chisciotte, Maria, Aphroditos, XVIII secolo, Melisenda, Mafarka, Claudine, Valjean, Salomè, Gulliver, Elettra.

Franca Marri le tratteggia «come figure caratterizzate da movimenti ampi e vesti ariose che riempiono l’intera superficie pittorica lasciando occasionalmente qualche parte libera sullo sfondo per alcuni particolari legati alla loro vicenda o al luogo in cui si svolge la loro azione».
Timmel per ogni personaggio è un regista inappuntabile. Che sia Elettra o Salomè o Sylok, «ne precisa pose, costumi, intonazioni, stati d’animo». Accurata è la scelta del costume per ciascuno di essi, «sempre pensato e disegnato dall’artista in forma originale per la rappresentazione».

Pensiamo «all’eleganza frivola dell’abito dai mille svolazzi di Elena, un’Elena desunta da La Belle Hélène di Meilhac e Halévy o la compostezza della gonna di Madame Bovary la cui pesantezza tormentata sembra raccontare tutte le sue sofferenze interiori».

Il fregio già allora ebbe successo e non a caso, tempo dopo, la famiglia Cosulich gli commissionò una decorazione simile per il Teatro di Panzano, quella che abbiamo citato prima, oggi conservata al MUCA, il museo della cantieristica di Monfalcone (mucamonfalcone.it).

Come sono arrivati i pannelli del Ciclo delle maschere al Revoltella? I pannelli erano stati rimossi dal Teatro – Cine Ideal nel 1962, prima della sua demolizione e venivano messi nell’atrio di un altro teatro, il Filodrammatico. Un paio d’anni più tardi a causa della cessione della gestione del Filodrammatico, il Curatorio della Museo Revoltella propose l’acquisto del Ciclo in modo da evitare una dispersione di questa sfarzosa opera pittorica.

E pensare che Timmel, insicuro come tanti artisti, alla sua amica Anita Pittoni chiedeva, «te credi che Benco (n.d.r. Silvio Benco, uno dei più attenti critici dell’arte triestina degli anni Venti) vegnarà a la mostra de un imbriagon (credi che Benco verrà alla mostra di un ubriacone)?». (museorevoltella.it)

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