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LA DANZA DI POLLOCK E IL ROCK DI WARHOL IN SCENA A ROMA

Dalle danze dei nativi americani ai ritratti delle rockstar: Pollock e Warhol in mostra al Vittoriano

di Barbara Palumbo

Non si tratta di due spettacoli, ma di due interessanti allestimenti che il complesso del Vittoriano a Roma propone grazie alla collaborazione con Arthemisia. È interessante visitarle insieme e subito una dopo l’altra per dare un continuum alla storia dell’arte americana che, proprio a partire da Jackson Pollock, troverà una sua strada del tutto indipendente rispetto a quella europea.

Sarà la Seconda guerra mondiale a operare questo distacco e da lì gli artisti di oltre oceano, che non dimenticheranno la scuola del Vecchio Continente, acquisiranno una consapevolezza diversa. Uscire dagli schemi e farsi guidare da una sorta di tranche creativo, che sia dato dall’alcool per Pollock o da altre sostanze per gli artisti che gravitavano intorno alla Factory, sembra diventare il leit-motiv della seconda metà del ‘900. Ad ogni modo ciò che conta è farsi condurre dall’emozione e tramettere emozione.

Pollock era rimasto affascinato dagli indiani e dai loro riti, dalle loro danze, tanto che egli stesso danzava intorno alle sue tele, stese a terra e non su un cavalletto, così che adagiate al suolo stessero più a contatto con il terreno e, soprattutto, così che gli fosse possibile osare su grandi dimensioni la tecnica del dripping, quella del gocciolamento del colore che lo ha reso il capostipite dell’Espressionismo astratto.

«Il mio dipinto non scaturisce dal cavalletto. Preferisco fissare la tela non allungata sul muro duro o sul pavimento. Ho bisogno della resistenza di una superficie dura. Sul pavimento sono più a mio agio. Mi sento più vicino, più parte del dipinto, perché in questo modo posso camminarci attorno, lavorare dai quattro lati ed essere letteralmente “nel” dipinto. È simile ai metodi dei pittori di sabbia indiani del west». Accanto alle opere di Pollock quelle di Franz Kilne, Mark Rothko, Willem de Kooning, insomma una bella panoramica sugli Irascibili, come li definì il New York Times.

Molto interessante anche la mostra dedicata al re della pop art. Esposizioni sull’artista, che ha fatto della serigrafia e della serialità una rivoluzione, ne sono state proposte moltissime, ma questa, in particolare propone, oltre alle immancabili Marylin, anche le Polaroid che Andy scattava senza sosta ai personaggi della moda, ai frequentatori dello Studio 54 a New York e che poi rivisitava sui grandi formati e con tocchi di colore. Belle sono quelle scattate a Mick Jagger e alle Drag Queen a cui fu dedicato il lavoro intitolato Ladies and Gentlemen.

Tutta una sezione è dedicata al rock e ai legami che Warhol ebbe con il mondo della musica; disegnò diverse copertine, ormai nell’immaginario collettivo: come la banana di The Vevet Underground & Nico o i jeans della copertina di Sticky Fingers dei Rolling Stones. All’interno dell’esposizione c’è una meno nota serigrafia di Martha Graham nella foto in attitude che la rese famosa, così come il suo primo piano scattato con l’istantanea, quasi un monito sul caducità della vita e sui quindici minuti di celebrità, che secondo Andy, spettano a tutti.

Warhol sarà visitabile fino al 3 febbraio, mentre la mostra dedicata a Pollock e alla scuola di New York resterà aperta fino al 24 dello stesso mese.

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