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REVIEW – I MISERABILI

Il Politeama Rossetti inaugura la stagione con un applauditissimo “I Miserabili”

di Erica Culiat

Un’apertura di stagione, quella del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, impegnativa. Perché Franco Però, il direttore artistico, ha deciso alcuni mesi fa di affondare lo sguardo «nel macrocosmo della società», portando in scena nientemeno che I Miserabili di Victor Hugo, producendolo assieme al Centro Teatrale Bresciano e al Teatro De Gli Incamminati.

Alla fine, solo tre ore di spettacolo, grazie a Luca Doninelli che ha ricavato un copione di una novantina di pagine dalle 1400 originali. È uno spettacolo che si lascia guardare. È un riassunto di quello che è considerato un capolavoro della letteratura francese, un vero bestseller nel 1862, nonostante molti intellettuali allora ne scrissero male, uno per tutti, Flaubert.

Però, che ne è anche regista, sgrana in maniera lineare e chiara gli episodi salienti della vita di Jean Valjean che ha il volto di Franco Branciaroli e che, a sua volta, ricorda per il taglio di capelli, ma più spettinato e grigio, Hugo da giovane.

C’è la redenzione del forzato Valjean grazie alla bontà del vescovo di Digne; ritroviamo la sua trasformazione in Monsieur Madeleine, sindaco di Montreuil sur Mer, città a cui ha assicurato una crescita industriale, viene esplicitata la decisione di crescere la figlia di Fantine, Cosette che era stata affidata a due loschi locandieri, i Thénardier, il tutto contrappuntato dalle fughe e cambi di identità per sottrarsi all’implacabile e ossessiva caccia del capitano di polizia, Javert. Non mancano i rivoluzionari del Café Musain, l’amore suo e di Marius, lo studente rivoluzionario, per Cosette, il salvataggio di Marius proprio da parte di Valjean, per approdare alla sua morte mentre lentamente il sipario si chiude tra uno scroscio di applausi.

Se non si è letto il libro, è un’occasione per conoscere la storia attraverso i suoi nuclei principali, ed è un’occasione per lasciarsi incantare da una compagnia davvero brava.

Nessuna sorpresa dal punto di vista registico, nessuna deviazione dal plot – guardandolo, venivano in mente i retroscena della pubblicazione del romanzo che, in effetti, meriterebbero un allestimento ad hoc (l’esilio, il contratto favoloso che Hugo firmò con il giovane editore belga, Albert Lacroix, la campagna pubblicitaria messa su dallo stesso Lacroix) -.

Quello che viene restituito al pubblico è far rivivere tutte le principali scene del romanzo, senza sviscerare, magari, uno o due dei temi portanti, l’ottusità e l’arroganza del potere o la critica sociale.
Comunque, in un momento in cui la nostra società è sempre più disgregata, dove sempre più sono quelli che affondano, I Miserabili capitano a fagiolo. La società immortalata da Hugo si ripropone anche oggi. Una società dove il divario tra ricchi e poveri è sempre più marcato, pensiamo a quanti cercano cibo nei cassonetti; una società che ama etichettare e giudicare. Non a caso Valjean dice, «è la società a fare i galeotti».

L’ingiustizia che colpisce sempre i più deboli e tutti quelli che in vario modo possono dirsi ultimi, tanto per parafrasare Papa Francesco, la conseguente esclusione sociale, la miseria che mette a dura prova l’etica di ciascuno di noi. Aspetti che si ripropongono in tutti i periodi storici.
È stata anche una sfida, in un’epoca “mordi e fuggi”, far stare sedute per tre ore le persone, e soprattutto i moltissimi ragazzi delle superiori che hanno invaso alla prima la platea.

Secondo noi comunque alla fine si è ripagati, guardando e ascoltando una storia immortale, che pochi possono dire di aver letto, e che magari qualcuno ha già digerito in musica assistendo a quel capolavoro di Schönberg e Boublill in scena nel West End dal 1985 o più recentemente vedendo la versione filmica di Tom Hooper del 2012. Ricordiamo che per i giovanissimi esiste anche un videogioco intitolato I Miserabili – Jean Valjean che a sua volta ripercorre tutte le tappe del romanzo.

Ritornando invece allo spettacolo, possiamo veramente buttarci a capofitto nella storia grazie anche agli attori. La compagnia stabile del teatro è una conferma, da anni sta dando grande prova di sé, ma ahimè, gli attori non essendo volti molto noti delle fiction, pur avendo quasi tutti alternato cinema e televisione, pochi hanno la curiosità di scoprirli. Ed è un peccato.

Partiamo da Francesco Migliaccio e il suo Javert, certo che i villains sono i personaggi che suscitano più interesse, ma Migliaccio è sempre eccezionale, qualsiasi personaggio affronti. Una recitazione misurata eppure tagliente come il duralluminio che sfregia ossessivamente Valjean, ma alla fine anche se stesso, in questa ricerca di ristabilire l’ordine nel caos. Per Javert il suo antagonista è e rimane un galeotto ed essere stato salvato da lui non è accettabile, ecco perché si suiciderà. Lo Javert che ci regala è uno Javert in carne e ossa.

Così come in carne e ossa sono il Marius di Filippo Borghi, l’Enjolras di Andrea Germani, il Thenardier di Riccardo Maranzana, la Madame Thenardier di Maria Grazia Plos, la Fantine di Ester Galazzi, il Courfeyrac di Emanuele Fortunati (ultimo acquisto della compagnia). Tutti con una dizione precisa, anche se, a causa della pessima acustica del Politeama Rossetti, dipende comunque da dove si è seduti, talvolta per qualche interporete le parole si sbriciolavano nell’ascolto.

Degli attori che completano questo cast, ma che non fanno parte della compagnia, ritroviamo, dopo la sua toccante rappresentazione di Perlasca, qui nel ruolo del vescovo di Digne, Alessandro Albertin. Credibile nel ruolo di Cosette bambina, visto che è un’adulta, Silvia Altrui – nel 1862 all’età di quattro anni era stata la Duse a farla! – e, deliziosa, dolce, leggermente trasognata la Cosette adulta di Romina Colbasso. Valentina Violo per la sua Eponine, uno dei personaggi più struggenti del romanzo, accentua di più la durezza della vita cui è costretta, malmenata dai genitori, cenciosa, e meno sulla delicatezza e dolcezza del suo personaggio.

E poi c’è Franco Branciaroli, accolto più volte sul palcoscenico da un bagno di applausi. Branciaroli in questa occasione è stato un po’ meno sopra le righe nella recitazione, esclusa la scena finale della morte, che ricordava le descrizioni su questo tema degli attori veristi. Il suo Valjean veste una certa sobrietà che si colora di un’emotività quasi arrabbiata man mano che la storia procede. Per il pubblico la sua interpretazione è stata sfarzosa.

Ci è piaciuta molto la scena di Domenico Franchi dei pannelli che si spostano, aprendosi e chiudendosi, come fossero le pagine sfogliate del libro, tinteggiate con un effetto chiaro-scuro, il tutto inzuppato in un’atmosfera notturna, grazie al disegno luci di Cesare Agoni, ogni tanto lumeggiata da chiarori mercuriali, che dava quasi l’impressione di respirare le atmosfere dei disegni dello stesso Victor Hugo che si dilettava con i pennelli, in una tenebrosità del tempo passato, ma che purtroppo è anche presente.

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