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REVIEW – IL PRINCIPIO DI ARCHIMEDE. IL TEATRO DI JOSEP MARIA MIRÓ ALLO SPAZIO DIAMANTE

RECENSIONE REVIEW IL PRINCIPIO DI ARCHIMEDE JOSEP MARIA MIRÓ
Da sinistra Monica Bauco (Anna), Riccardo Naldini (David)
Giulio Maria Corso (Jordi) e Samuele Picchi (Hector) – Foto Pino Le Pera

di Ilaria Faraoni

È arrivato allo Spazio Diamante di Roma, teatro diretto artisticamente da Alessandro Longobardi (che ha sotto la sua egida anche i teatri Brancaccio, Brancaccino, Sala Umberto e lo Spazio Impero, sede dell‘Accademia STAP Brancaccio) lo spettacolo Il principio di Archimede, del pluripremiato scrittore e regista catalano Josep Maria Miró.

L’autore ha presenziato alla conferenza stampa per presentare la sua pièce, con la regia di Angelo Savelli ed il libro appena pubblicato da Cue Press con quattro suoi testi teatrali: Il principio di Archimede (che rimarrà in scena nella capitale fino al 17 marzo), Nerium Park, Dimentichiamoci di essere turisti e Tempi selvaggi, tradotti da Savelli, con la consulenza di Josep Anton Codina.

Presente in sala, la mattina della conferenza, anche Luca Bellizzi, rappresentante della delegazione del governo catalano in Italia.

Lo spettacolo, che ha debuttato nel 2012 a Barcellona nell’ambito del Festival Grec, con la regia dello stesso Mirò, ha vinto il XXXVI Premio Born per il teatro ed è stato rappresentato in ben 20 nazioni, ma le edizioni che l’autore ha più amato sono quella greca, recentissima, e quella di Angelo Savelli presentata allo Spazio Diamante, che è stata già in scena a Firenze lo scorso febbraio.

RECENSIONE REVIEW IL PRINCIPIO DI ARCHIMEDE JOSEP MARIA MIRÓ

Il cast composto da Giulio Maria Corso, Monica Bauco, Riccardo Naldini e Samuele Picchi è eccellente: i quattro attori riescono a interiorizzare e a rendere allo spettatore i drammi e le paure dei propri personaggi, con un altissimo livello di verità; le battute sono serrate, anche grazie al tipo di scrittura di Miró e all’attenta traduzione di Savelli: il linguaggio quotidiano, fatto di discorsi troncati e da voci che si sovrappongono senza aspettare la fine della frase dell’altro, ricalcano fedelmente la realtà.

Le opere di Miró, che è anche coordinatore della sezione di drammaturgia del Grau d’Arts Escèniques dell’Università di Girona e tiene seminari e laboratori internazionali, si inseriscono nell’ottica di un teatro che, come ha dichiarato lo scrittore, pone degli interrogativi cui non segue, alla fine, la risposta dell’autore: è lo spettatore che deve trovare la propria risposta, ed è questa la funzione del teatro secondo Miró; si tratta di un luogo che deve avere la stessa funzione dell’antica agorà: «Il teatro è un punto di incontro in cui si rinnova il patto sociale tra le persone;  ci si incontra, si ragiona, ci si può mettere d’accordo o meno, ma in qualche modo ne scaturisce un atto politico. Se non c’è politica, non c’è teatro».

Josep Maria Miró – foto Ilaria Faraoni

Così ne Il principio di Archimede, la domanda che viene posta è: «Ne sei proprio sicuro?». È il dramma del dubbio, che aleggia su una vicenda accaduta in una piscina. Una bambina (che non si vedrà mai sulla scena) ha riferito alla madre di aver visto l’istruttore Jordi baciare sulla bocca un altro bambino, spaventato di affrontare l’acqua senza ciambella. Sullo sfondo, un caso di pedofilia accaduto da poco in una vicina ludoteca. Sulla scena solo quattro personaggi: Jordi, Hector (l’amico istruttore), Anna (la direttrice della piscina) e David, il padre di un altro bambino, preoccupato per le sorti del figlio e degli altri ragazzini. Tutti dubitano di tutto, perfino il protagonista, di se stesso.

Il vecchio e classico dramma dell’incomunicabilità viene amplificato, ne Il principio di Archimede, dall’apparente facilità di comunicazione della società moderna che, a fronte di mezzi come internet, con tutti i social network annessi, permette di scambiare e apprendere informazioni nello spazio di pochi secondi, mettendo immediatamente qualcuno alla pubblica gogna, senza approfondire una vicenda. In sostanza si comunica di più senza, in alcuni casi, comunicare veramente, sembra dire lo spettacolo.

RECENSIONE REVIEW IL PRINCIPIO DI ARCHIMEDE JOSEP MARIA MIRÓ
Foto Pino Le Pera

Proporre processi mediatici è quel che fa oggi anche la televisione (anche se tale mezzo di comunicazione non è oggetto del lavoro in questione) con tutti i programmi di informazione, dove troppo spesso si condannano i protagonisti dei fatti di cronaca al di fuori dei tribunali.

Così si è espresso in merito il regista Angelo Savelli: «L’istruttore Jordi ha dato un bacio ad un bambino durante le lezioni della mattina. Sarà vero? Sarà falso? Non si saprà mai, ognuno uscirà dal teatro con la propria verità, ma cos’è che è vero? È vera la macchina di fango che improvvisamente si getta su questo istruttore. Se una volta il pettegolezzo, la maldicenza avevano bisogno di giorni, di mesi per passare di bocca in bocca, oggi con internet è tutto diventato velocissimo. Nell’arco di poco tempo, nella storia, c’è una rivolta di genitori (che sono in contatto tra loro grazie ad un grupo chiuso su facebook, NdR), si sbatte il mostro in prima pagina e la velocità con cui accade cosa porta in sé di negativo? Che il processo non è vero, perché nei processi si cercano le prove, si cerca il contraddittorio. Perché questo spettacolo è così contemporaneo? Perché oggi stiamo rinunciando ad approfondire le cose, ci è richiesto di dare un giudizio subito, non c’è il tempo di sapere; bisogna avere immediatamente una posizione. Questo porta anche ad una aggressione linguistica. Il nostro linguaggio è peggiorato enormemente, siamo violenti sia nel sostenere le nostre cause che nel demonizzare quelle altrui».

Angelo Savelli, foto Ilaria Faraoni

La regia di Savelli asseconda efficacemente l’idea di base di Miró, quella di suddividere la narrazione in blocchi, con un continuo andare avanti e indietro nel tempo, riproponendo anche la stessa scena, arricchita, la seconda volta che viene recitata, da ciò che è successo prima di arrivare a quel punto. Per evidenziare il meccanismo il regista usa il buio e l’effetto sonoro del rewind e del forward (i tasti “avanti” e “indietro” di un apparecchio audio/video) riuscendo nell’intento anche grazie al lavoro molto preciso dei quattro attori in scena, i già citati Giulio Maria Corso (Jordi), Monica Bauco (Anna), Riccardo Naldini (David) e Samuele Picchi (Hector), che riescono a replicare in modo impeccabile, toni, gesti e posizioni, facendo sembrare, tra l’altro, tutto facile. «Vedrete la complessità e la sottigliezza di questo testo. Quando ci si lavora, tutto diventa di una naturalezza straordinaria, tutto passa senza complicazioni, non è uno di quegli spettacoli cervellotici che il pubblico deve fare fatica a capire. Ma la fatica che si fa per arrivare alla semplicità è una cosa snervante», aveva anticipato il regista.

Le apparenti unità aristotelicche di luogo, tempo e azione del dramma (che si svolge nello spogliatoio della piscina, durante la pausa pranzo tra le lezioni del mattino e quelle del pomeriggio) è così infranta. «Non è un giochino sperimentale, da teatro di avanguardia», ha spiegato Savelli. «È una maniera di metterti sempre in discussione, è la resistenza ad affrettare un giudizio. Torniamo indietro, guardiamo cosa c’era prima, andiamo avanti e vediamo dove porterà quella situazione».

Tutto ciò è per il regista lo specchio del modo in cui oggi apprendiamo una notizia. «Sentiamo una notizia alla radio, leggiamo un altro pezzo su un giornale, poi qualcuno ci manda un messaggino… così noi ci costruiamo una verità con un mosaico di verità in cui la verità rischia di non essere più da nessuna parte».

In virtù della poetica di Miró che ama definire le sue opere «Teatro del dubbio, della relatività, della discussione» e che dichiara di non voler dare risposte, perché un teatro che voglia dare risposte e dogmi agli spettatori è un modello borghese che non gli interessa, lanciamo anche noi la prima domanda: non è forse la pluralità di fonti con cui oggi apprendiamo un determinato fatto, a renderci più liberi di analizzarlo da tutti i punti di vista? Il rischio di cui ha parlato Savelli, di non avere più, in questo modo, una verità, sta nella velocità e nel moltiplicarsi dei modi in cui ci arriva un determinato fatto o nel modo che ognuno ha di utilizzare la varietà dei mezzi che ce ne parlano?

Ne Il principio di Archimede gli spettatori devono riflettere su tanti argomenti che l’autore vuole mettere in campo. Savelli ha spiegato, riprendendo il discorso dell’autore: «Il pubblico durante lo spettacolo è illuminato, fa parte di questa cosa… è come nell’agorà (anche se la quarta parete è assolutamente rispettata, NdR). Non stiamo parlando di un problema privato di un ragazzo, Jordi, ma di qualcosa che riguarda la res pubblica, che riguarda tutti. La domanda è: “Siamo disposti a rinunciare a spazi di libertà, alla nostra vita privata alla nostra capacità di giudizio per essere più sicuri, per essere tranquilli che non succeda nulla? A quanto siamo disposti a rinunciare in nome della sicurezza?».

I temi proposti ne Il principio di Archimede sono, come evidenziato da Miró: «L’educazione, la tenerezza, il rapporto con i bambini»; lo spettatore nell’arco della rappresentazione deve «imparare a trovare uno spazio comune di dialogo, che è esattamente quello che fanno i quattro protagonisti dell’opera». Nei testi dell’autore catalano succede sempre qualcosa che non si vede, ma che viene raccontato: «Nel momento in cui lo spettatore visualizza nella sua mente il fatto, è lì che trova la sua risposta, partendo dai suoi personali pregiudizi, dalle sue personali paure», ha spiegato Miró.

A tal proposito abbiamo gli abbiamo chiesto:

Alla domanda che pone inizialmente in un suo lavoro, lei avrà comunque una risposta, in cuor suo; quanto è difficile scrivere in modo che questa risposta non trapeli anche inconsciamente dal testo? E ancora: secondo lei un regista o un attore, con le proprie interpretazioni o visioni registiche possono riuscire al cento per cento a non far trapelare, a loro volta, la loro personale verità, la loro personale idea del testo?

La risposta di Miró, tramite l’interprete presente in conferenza è stata: «La chiave del mio teatro è proprio il conflitto tra le verità delle persone, che sono in realtà tutte brave persone. Un attore che ha lavorato con me mi ha detto: “A me non interessano i personaggi buoni”; gli ho risposto: “Vedrai che sarà interessante, perché comunque verranno fuori dei conflitti; i conflitti nascono dalle differenze di verità”. Per quanto riguarda la mia verità, non la dico a nessuno, neanche a mia madre; la rivelo soltanto, per una questione di correttezza, agli attori, ma comunque ciascuno lavora in base alla propria verità, quindi viene fuori un mosaico di verità diverse.

Per quanto riguarda gli spettatori, la risposta, che sia in un modo o nell’altro, è sempre comunque molto forte; sono convinti che la verità sia quella, sono tutti molto sicuri, anche se in realtà non ci sono degli indizi veri».  

Ma lei, scrivendo, non ha paura di farla trapelare, questa verità?

«No, no: mi diverto e basta».

RECENSIONE REVIEW IL PRINCIPIO DI ARCHIMEDE JOSEP MARIA MIRÓ
Foto Pino Le Pera

Per quanto riguarda la versione di Angelo Savelli, il regista e, in questo caso, traduttore, ha voluto completare due personaggi del quartetto: David (il padre di uno dei bambini) e Hector, l’amico istruttore. «Affrontando il testo seriamente in tutte le sue parti, come regista mi sono sentito di dover dare a questi personaggi un corpo, un risalto maggiore. La messa in scena è molto rispettosa, però ci sono delle cose che nel testo non c’erano, due o tre completamenti che hanno incontrato il favore di Josep, perché quando hai due personaggi così forti, come Jordy e la direttrice, che sono veramente il fulcro di tutta l’azione, finisce che ti accontenti di mettere a fuoco le loro dinamiche e riduci gli altri due personaggi a dei corollari. Un regista non mette in scena i testi, un regista in qualche maniera fa una trasposizione di segni; quelli che erano segni letterari, linguistici, diventano segni visivi. Credo che questo debba essere il compito di un regista. Teatro vuol dire “vedere”: io devo trasformare tutto in qualcosa che si veda e che passi, quindi mi sento in qualche maniera anch’io un creatore, nel momento in cui facciamo lo spettacolo, sempre nel rispetto totale dell’autore. Se facciamo questo, rendiamo un buon servizio anche all’autore, altrimenti si fa una trascrizione scenica del testo e questo è meno interessante».

Lo stesso Miró ha affermato che quando assiste ai suoi spettacoli diretti da altri, i diversi registi riescono a fargli avere uno sguardo nuovo sulle sue opere. «Ho la mia verità, poi ci sarà qualcuno che mette in scena un mio spettacolo che avrà un’altra verità, uno sguardo diverso; questo aggiunge interesse all’opera».

E se la verità «è uno specchio che si rompe in mille pezzetti e in ciascuno c’è un po’ di verità» – così ama dire Mirò, citando un poeta catalano – le domande aperte che ci ha suscitato lo spettacolo e che vogliamo a nostra volta porre sono: un testo teatrale, se lascia allo spettatore il compito di rispondere ad una domanda in base alle proprie idee preconcette, ai propri pregiudizi e alle proprie paure, in cosa differisce dalla quotidianità in cui siamo immersi? O da un reality, dove per quanto esso sia “costruito” siamo messi davanti agli stessi interrogativi sui valori e sui comportamenti umani? E ancora: porre una domanda di base alla quale non si vuol dare una risposta precostituita è la stessa cosa del cercare, con un testo, di suscitare riflessioni? Far riflettere esige un’assenza di risposte?

O non dare una risposta equivale comunque a darne una, a fare un “atto politico”, per tornare alle parole di Miró?

Oppure tutto dipende da quale sia la risposta che si cerca in realtà?

Ricordiamo il finale di Così è (se vi pare) di Pirandello:

Il Prefetto: […] Vorremmo però che lei ci dicesse  —

Signora Ponza: — che cosa? La verità? È solo questa: che io sono, sì, la figlia della signora Frola —

Tutti: Ah!

Signora Ponza: — e la seconda moglie del signor Ponza —

Tutti: — oh, e come?

Signora Ponza — sì; e per me nessuna! Nessuna!

Il Prefetto: Ah, no, per sé, lei, signora: sarà l’una o l’altra!

Signora Ponza: Nossignori. Per me, io sono colei che mi si crede.

Laudisi: Ed ecco, o signori, come parla la verità! Siete contenti?

Segue comunicato stampa di presentazione dello spettacolo, che per alcune situazioni e per la presenza di un nudo integrale in scena, è preferibilmente consigliabile ad un pubblico adulto.

Comunicato stampa:

PUPI E FRESEDDE – TEATRO DI RIFREDI

CENTRO DI PRODUZIONE TEATALE – FIRENZE

presenta

IL PRINCIPIO DI ARCHIMEDE

di Josep Maria Mirò

(traduzione di Angelo Savelli con la collaborazione di Josep Anton Codina) regia Angelo Savelli

con

Giulio Maria Corso, Monica Bauco, Riccardo Naldini e Samuele Picchi

scene Federico Biancalani – luci Alfredo Piras – foto di scena Pino Le Pera

Arriva in scena allo Spazio Diamante lo spettacolo “Il principio di Archimede” dell’autore catalano Josep Maria Mirò, uno dei maggiori drammaturghi contemporanei. A curare la traduzione del testo e la regia Angelo Savelli, reduce dal successo de “La bastarda di Istanbul”.  Sul palco Giulio Maria Corso, attualmente impegnato nelle riprese de “Il paradiso delle signore”, Monica Bauco e Riccardo Naldini, tra i protagonisti de “La bastarda di Istanbul” e il giovane Samuele Picchi, proveniente dal Centro Sperimentale di Cinematografia.  In occasione del debutto romano Mirò ha anche presentato il suo ultimo libro “Teatro”, edito da Cue Press.

La vicenda de “Il Principio di Archimede” si svolge tutta nello spogliatoio degli istruttori di nuoto di una piscina, nell’arco delle poche ore che intercorrono tra le lezioni mattutine e quelle pomeridiane. I personaggi sono quattro: Jordi (giovane istruttore dal temperamento estroverso ed un po’ bulletto, amato dai ragazzini per la sua giovialità); Hector (giovane collega di Jordi dal carattere più riservato e conformista); Anna (la direttrice della piscina, competente e severa, segnata dalla precoce perdita del figlio); David (il padre di uno dei ragazzini che frequentano i corsi di nuoto, energico ed autoritario, ossessionato dai tanti pericoli in cui può incorrere il figlio.

Jordi, giovane ed estroverso istruttore di nuoto, durante un allenamento, dà un bacio a uno dei bambini che si è messo a piangere per paura dell’acqua. Questo gesto provoca le perplessità di alcuni genitori, già turbati da un caso di pedofilia verificatosi in una vicina ludoteca. Si innesca così una spirale di diffidenza che fa venire alla luce un contesto di pregiudizi e paure che porteranno dal sospetto alla psicosi collettiva, dall’indiscrezione alla crocefissione mediatica.

I CONTENUTI

In apparenza “Il Principio di Archimede” sembra parlare di un caso di pedofilia, fenomeno sempre esistito, ma sul quale recentemente sembra che la società si sia decisa a riflettere ed intervenire con più decisione. In realtà il testo di Mirò ci parla anche d’altro. Questa è un’opera che parla della paura, dell’educazione e delle relazioni sociali. Ci parla del tipo di società in cui vogliamo vivere. In questo senso parla agli educatori, ai genitori ed ai figli e pone una domanda molto semplice: vogliamo una società dove, disgraziatamente, possono verificarsi delle crepe o addirittura degli abusi, ma dove sia ancora consentita la tenerezza tra gli individui; oppure una società dove si mettano in campo tutti i meccanismi di sicurezza per impedire ogni rischio, anche a costo di diventare tutti un po’ poliziotti e un po’ indagati? Una società dove tenere le distanze ed alzare muri così da essere sicuri che non succeda niente anche a costo di diventare apatici; oppure una società empatica esposta al rischio di sbagliare ma capace di piegarsi su se stessa e curare le proprie ferite? Il concetto di paura è un concetto che muove la nostra attuale maniera di vivere e di relazionarci. Secondo l’autore, venti anni fa quest’opera non avrebbe avuto senso, tanto erano diversi i rapporti ed i modi di vivere dei ragazzini e dei genitori. In questi ultimi venti anni, secondo lui, la nostra società si è americanizzata e, in nome della correttezza e della sicurezza, il sociale si è infiltrato nelle pieghe del personale. L’etica collettiva ha sostituito la morale individuale in una sorta di puritanesimo modernizzato ed ipocrita. Quello che quest’opera chiede è che il singolo spettatore, uscendo dal teatro, si posizioni moralmente su ciò che ha visto e s’interroghi sulla sua personale visione della società.

LA FORMA

Due sono le caratteristiche principali dello spettacolo.
La prima è che, dal punto di vista oggettivo, non sapremo mai la verità sulle reali intenzioni di Jordi, il cui carattere, pur marcatamente solare, viene tratteggiato con forti margini di complessità. Sta allo spettatore farsi un’idea della personalità del ragazzo. La rappresentazione si concentra invece sulle dinamiche interpersonali e sociali che si scatenano implacabilmente a partire da un evento la cui realtà o falsità diventa del tutto ininfluente rispetto agli effetti che produce.
La seconda è che il susseguirsi delle scene della rappresentazione non seguono un ordine cronologico; andando avanti ed indietro nella vicenda, lo spettatore procede conformando la sua visione a seconda delle varie prospettive che gli offrono i quattro personaggi, riproducendo quella frantumazione con la quale nella realtà riceviamo le informazioni dai media o dai social network. Ed infatti nello spettacolo è presente anche il tema di Facebook, un linguaggio contemporaneo che, insieme ad altri consimili, ha modificato il nostro modo di pensare: molte volte le informazioni vanno più veloci della capacità che hanno gli individui di inquadrarle ed analizzarle con un po’ di profondità, restando così prigionieri degli aspetti più semplicistici, scontati ed urlati della comunicazione.
Scritto con nerbo e senza una goccia di retorica, questo testo formidabile è al tempo stesso la rappresentazione della spirale che dalla paura porta alla violenza ed una metafora dell’ambiguità della verità.

SPAZIO DIAMANTE / 7-10 e 14-17 MARZO

da giovedì a sabato ore 21, domenica ore 17

Via Prenestina 230B

tel:+390627858101

info@spaziodiamante.it

Prezzo € 18,00

About Ilaria Faraoni

Giornalista, laureata in "Lettere Moderne - discipline dello spettacolo" alla Sapienza di Roma (vecchio ordinamento) con una tesi in "Storia del Teatro", ho studiato musica e chitarra classica per 10 anni con il Maestro Roberto Fabbri, sono istruttrice FITD di balli coreografici a squadre (coreographic team). Il mio interesse per l'arte è a 360°. Ho studiato fumetto diplomandomi alla "Scuola Internazionale di Comics". Tra le mie attività c'è anche la pittura: ho frequentato i corsi della Maestra Rosemaria Rizzo e ho tenuto diverse mostre personali (una delle quali interamente dedicata al mondo del musical) in sedi prestigiose; nel 2012 sono stata premiata a Palazzo Valentini (sede ufficiale della Provincia di Roma) con un Merit Award per la promozione dell'acquerello.
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