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RECENSIONE – “ROMEO E GIULIETTA” ALL’OPERA DI LUBIANA

All’Opera di Lubiana il nuovo “Romeo e Giulietta” di Prokofjev firmato da Renato Zanella.

di Marzio Serbo

Osserva: tessuti in trasparenza. Essi consentono di intravedere come attraverso una garza, le relazioni malate di una società manipolata dai potenti che con arroganza tentano di soverchiare gli affetti più spontanei in una fredda pianificazione della vita. Questo è l’ambiente elegante, allusivo e intrigante che Alessandro Camera ha disegnato per il balletto “Romeo e Giulietta”, debuttato negli scorsi giorni al Teatro dell’Opera di Lubiana. Leggeri tendaggi broccati, volute che a volte le luci perforano; in altri momenti invece, le pieghe appaiono come festose decorazioni; in altri ancora costituiscono oscuri meandri dove si riflette il vorticoso sentimento della tragedia.

È noto come Prokofjev in queste sue pagine del 1936 si rivolge con estrema chiarezza alle masse ignoranti di musica abbandonando retoriche considerate ormai superate e cercando nei leit motiv i fili invisibili con cui guidare gli spettatori lungo il racconto e molte sono state le interpretazioni che i coreografi hanno dato della partitura. Fra tutte rimane ancora emblematica quella di Lavrovskij che accompagnò il debutto in Russia dell’opera e seppe trasformare in gesti poetici le liriche con cui il compositore ha ritratto l’amore dei due protagonisti.

Renato Zanella ha saputo portare all’Opera di Lubiana l’esperienza di un lungo percorso di riflessione sul titolo del quale si era occupato più volte in passato, concentrando l’attenzione in modo quasi maniacale all’interpretazione del dramma. Sì, perché a ragione, la musica di Prokovjev non vive senza la narrazione di Shakespeare, così come qualsiasi reinterpretazione coreografica non può eludere questa doppia struttura che permea e anima la messa in scena di Romeo e Giulietta. Scommessa vincente, questa di Zanella, che avvicinandosi alla fine, sa far rinunciare ai virtuosismi i suoi bravi danzatori per consentire l’emergere di tutto lo strazio e il dolore che il racconto e la musica esprimono.

Così le ragazze che piangono la morte di Giulietta più che prefiche danzanti, sono apparizioni che segnano il tragico destino di quella giovane donna che si muove attanagliata dalla sconvolgente verità della sofferenza di veder perduto nel fosco della morte il suo amore. E così sono le donne, come spesso avviene nei progetti di Zanella, ad essere le vere protagoniste. Oltre a Giulietta, troviamo l’egoista Capuleti segretamente attratta dal giovane Tebaldo, indifferente ai sentimenti della figlia, distaccata e calcolatrice. La Montecchi, donna pratica e liberale, pronta ad accogliere per amore del figlio, chi il tempo ha destinato esserle nemica. E ancora Rosalinda, spirito libero, ragazza spoglia da misurate appartenenze, specchio di anticonformismo.

Gli uomini giocano i propri ruoli virili in una palestra di scherma, esibendo al contempo maestria nell’arte sportiva e potere sociale. In ciò è da rilevare l’ottima e minuziosa preparazione del corpo di ballo che si destreggia abilmente con l’arma. Tebaldo è arrogante e si lascia facilmente sedurre dall’alcool, così che risulta assai riuscito il pretesto drammaturgico dell’uccisione di Mercuzio. E se non disturba affatto che Romeo spari a Tebaldo con una pistola durante la fatidica lotta, aver conservato la fiala di veleno per segnare la sorte dei due giovani amanti, permette alle emozioni di scivolare fin nell’abisso nel dramma e coinvolgere a fondo gli spettatori, fino all’ultima nota, pregna della sconvolgente sofferenza dei due protagonisti. Carica e potente l’espressività curata da Zanella per tutti gli interpreti, semplicemente eccellenti Romeo e Giulietta. Si alternano nei rispettivi ruoli Kenta Yamamoto, Petar Dorčevski, Filip Lurić, Oleksandr Koriakovskyi e Nina Noč, Yaman Kelemet e Nina Kramberger.

L’orchestra ben diretta da Kevin Rhodes è collocata, come ormai siamo spesso abituati a vedere in questo tempo di Covid a Lubiana, nella parte posteriore del palcoscenico, così che la penombra le permette di intromettersi quale personaggio assai gradito nel cuore dello spettacolo. Perché alla fine è essenzialmente la musica ad annodarsi ai trasparenti tessuti di scena, così da lasciare intensi spazi emotivi riempiti solo dal movimento lieve dei danzatori.

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