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MOSTRE – I MACCHIAIOLI. L’AVVENTURA DELL’ARTE MODERNA.

Oltre 80 quadri dei Macchiaioli in mostra al Museo Revoltella di Trieste.

La rappresentazione del vero era ottenuta per mezzo di macchie di colore, di chiari e di scuri. Una sola macchia di colore per la faccia, un’altra per i capelli, un’altra per la giacchetta o vestito, e così per il terreno e per il cielo. Le figure non oltrepassano i quindici centimetri, quella dimensione che assume il vero quando si guarda… a quella distanza… in cui le parti della scena… si vedono per masse e non per dettaglio».Inoltre la visione macchiaiola, quella più rigorosa, era attuabile solo nel formato ridotto delle tavolette e delle piccole tele.

Questa in parte è la metodica testimoniata dal teorico del gruppo, Adriano Cecioni e che possiamo toccare con mano attraverso un’ottantina di quadri allestiti al Museo Revoltella di Trieste (dal 19 novembre 2022 al 10 aprile 2023).

I Macchiaioli. L’avventura dell’arte moderna racconta la parabola di questo gruppo di artisti italiani più importante dell’Ottocento, dal 1855 fino agli inizi del Novecento. Prodotta da Arthemisia e curata da Tiziano Panconi, in collaborazione con il Museoarchives Giovanni Boldini Macchiaioli di Pistoia (è quello che si occupa dell’archiviazione delle opere di questi artisti), la mostra permette di vedere da vicino alcuni tra i dipinti più celebri e meno celebri di Telemaco Signorini (L’Ardenza,1859-1861), di Odoardo Borrani (Il pescatore sull’Arno alla Casaccia, 1871), di Vicenzo Cabianca (Acquaiole della Spezia, 1864), i primi ribelli che avevano iniziato a uscire dagli studi, andando fuori porta, eseguendo piccoli quadri dal vero.

Ma sarà soltanto nel 1855 che al Caffè Michelangelo di Firenze Serafino De Tivoli e Francesco Saverio Altamura, di ritorno da una visita all’Esposizione Universale di Parigi, racconteranno ai giovani progressisti della pittura di Decamps, di Troyon, di Rosa Bonheur; del ton gris, allora di moda a Parigi e dello specchio nero che decolorando il variopinto aspetto della natura permetteva di afferrare la totalità del chiaroscuro, la macchia.

E se anche le suggestioni parigine del 1855 erano modeste, servirono a confermare ai futuri Macchiaioli – furono loro stessi ad adottare polemicamente questa definizione denigratoria comparsa sulla Gazzetta del Popolo il 3 novembre 1862 – quelle convinzioni che avevano forse in maniera ancora confusa e velleitaria già abbozzato.

Bisognava cioè rendere il vero com’era e come si presentava, inoltre la natura poteva essere sorpresa nella sua realtà essenziale attraverso macchie di colore e di chiaroscuro. Pittura quindi come un modo di cogliere la verità delle cose nell’evidenza di zone cromatiche esaltate o attutite attraverso la scansione di luce e ombra.
Il risultato alla fine è una pittura vivida, vitale, con le pennellate date alla buona. Il soggetto non è importante in quanto tale, ma è l’occasione per offrire qualcosa di nuovo.

Come ha sottolineato Panconi, «si tratta di una pittura identitaria che rispecchia una nazione, dove si mostra l’Italia di quel tempo, un’Italia soprattutto rurale».

La rivoluzione della macchia venne così portata avanti tra il sesto e settimo decennio del secolo anche da Vito D’Ancona, Raffaello Sernesi, Giuseppe Abbati e le due maggiori personalità del movimento, Giovanni Fattori e Silvestro Lega, i pittori-soldato per quanto riguarda una parte della loro attività artistica.

Infatti molti macchiaioli parteciparono almeno a una delle tre guerre d’indipendenza e quindi nei loro quadri hanno raccontato le vicende che hanno vissuto in prima persona. Non troviamo però la retorica della celebrazione, bensì viene dato spazio ai soldati semplici, ai feriti, ai caduti.

Di Fattori ci sono molti dipinti tra cui il bellissimo Artiglieria in marcia, una scena che forse precede una battaglia, con i soldati che avanzano in un paesaggio polveroso, mentre di Lega, tra i molti, c’è anche il Ritratto di Don Giovanni Verità, un olio su tavola dove viene ritratto il cappellano di Garibaldi e dell’esercito regio del 1866.

In mostra però possiamo vedere anche Bambino al sole del pugliese Giuseppe De Nittis che a Firenze si incontra con i Macchiaioli che lo considerano uno di loro, ma che nel 1867 partirà per Parigi dove morirà; oppure un bellissimo Boldini del 1869, Signore al pianoforte, collezione privata. Boldini infatti soggiornò a lungo a Firenze dal 1864 partecipando al clima rivoluzionario della Firenze risorgimentale e ai moti di rinnovamento ideologico e artistico dei macchiaioli. Proprio a Firenze l’artista ferrarese pose radici profonde che costituirono la sua successiva fase luministica francese.

La mostra è articolata in sei sezioni che raccontano l’incipit della macchia; il chiaroscuro violento, l’intimismo della Scuola di Piagentina, la luce abbagliante di La Spezia; la poesia della natura. Il verismo e l’eleganza, fra esterni e interni; il naturalismo, fra natura e paesaggio urbano; quiete e religiosa osservazione del Creato e fin de siècle. Gli anni della maturità.

La mostra è promossa e organizzata dal Comune di Trieste – Assessorato alle Politiche della Cultura e del Turismo, con il supporto di Trieste Convention and Visitors Bureau e PromoTurismo FVG. Inoltre è sostenuta da Generali Valore Cultura, mentre come media partner troviamo Urbanvision, come mobility partner Frecciarossa Treno Ufficiale ed è consigliata da Sky Arte. Catalogo edito da Skira.

Orario apertura. da lunedì a domenica e festivi 9.00 – 19.00. Martedì chiuso.

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