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REVIEW – CLUG ED IL BALLETTO NAZIONALE CROATO

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Edward Clug ed il Corpo di Ballo del Teatro Nazionale Croato di Zagabria a Trieste, ospiti della stagione lirica e di balletto della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi.

foto di F.Parenzan-4563di Erica Culiat – foto di F.Parenzan

La serata prevede una coreografia di trenta minuti ispirata alle composizioni per pianoforte a quattro mani di Claude Debussy, le Six Épigraphes Antiques e la suite En Blanc et Noir più altri trentacinque minuti, il secondo tempo, dedicati a Le Sacre du Printemps di Igor Stravinskij (qui un breve estratto video dello spettacolo).

Si va a vedere, anche se il suo Radio & Juliet, portato in tournée in Europa e oltre Oceano, non ci aveva convinto del tutto. Siccome, tuttavia, questo giovane coreografo quarantenne, nato in Romania, è acclamato un po’ ovunque ed ha vinto un sacco di premi, non si poteva perdere questa nuova occasione per conoscere i suoi lavori più recenti.

Teatro quasi sold out. Si apre il sipario e già una coppia nella fila alle mie spalle, commenta, «ma non è classico!». Aiuto!

Se il balletto non racconta una storia, mette nel panico. Una compagnia di dodici elementi inguainati in pantaloni neri e magliette, verdi per le ragazze, verde acqua per i ragazzi, in una scena vuota, bianca, spiazza. E tutti a pensare: ma il coreografo che cosa ci vuole raccontare? Che cosa significa il balletto?

Non dobbiamo pensare con la testa di Clug. Lui ha scelto Debussy perché non aveva mai lavorato sulle sue partiture e quindi è stata una sfida. I passi li ha creati ispirandosi alla musica. Clug, lo si legge nel libretto di sala, ha cercato di percepire le riflessioni dei sogni di Debussy al piano.

foto di F.Parenzan-4695Sono sei pezzi intitolati “Per invocare Pan, dio del vento d’estate”,Per una tomba senza nome”, “Perché la notte sia propizia”, “Per la danzatrice con i crotali”, “Per la ragazza egiziana” e “Per ringraziare la pioggia del mattino”.

Nonostante i titoli, le epigrafi non sono narrative. Cosa leggerci? Per me il segno coreografico. Pulito. Essenziale. Declinato da un corpo di ballo di giovanissimi, dalla tecnica perfetta. Arabesque granitici. Piedi tirati. La sintassi di Clug è geometrica, controllata, che si spezza negli svirgolamenti della testa, del bacino, nei movimenti delle braccia veloci, a mulinello sopra la testa. Passi a due, a tre, a quattro. Brevi assoli e pezzi d’insieme. L’effetto della musica di Debussy, l’ho letto secoli fa, è paragonabile all’impressione che si prova guardando i banchi di nuvole che si formano, si rompono e si riformano continuamente nella luce mutevole di un pomeriggio d’estate… come i riflessi di un sogno appena intravisto e mai più dimenticato… I

In realtà questa sensazione era chiusa nel cassetto della memoria perché da tempo Debussy è assente dalla mia playlist e quindi assistere a questo breve lavoro coreografico del 2012, mi ha riportato a quell’antico incanto. Lo stesso discorso vale anche per In bianco e nero.

foto di F.Parenzan-4836Un’immersione totale nella musica del compositore francese, ma un’attenzione rapita sul movimento nello spazio dei danzatori. Sfasati tra di loro, ma sempre sincroni nella chiusura della sequenza. Una serpentina gioiosa di dodici elementi, segmentata da danzatori contrapposti sei di faccia sei di schiena poteva ricordare la spuma del mare, ma anche l’ondeggiare dei fili d’erba. L’aprirsi a ventaglio della compagnia poteva scoprire una minuscola colonia di animali lacustri.

Finale sulle punte di una ballerina che attraversa il proscenio ondeggiando come un’esile libellula.

foto di F.Parenzan-4703Il secondo tempo è dedicato a quel balletto che nel 1913 (e la creazione di Clug è del 2013) venne considerato «un deliberato insulto all’arte», vale a dire Le Sacre di Stravinskij/Nijinski che fu fischiato, con tanto di risse tra spettatori, ma che tra i sostenitori contava invece proprio Debussy! E Clug a Nijinskij si è ispirato. La leggerezza apparente del classico è spazzato via da un senso di pesantezza. Il ruggire della musica, suonata dal vivo dall’orchestra del Verdi e diretta dalla bacchetta sapiente di Mladen Tarbuk, è sottolineata battendo i piedi a terra e con salti pesanti.

In breve: l’arrivo della primavera costringe una fanciulla eletta (Edina Plicanic) a sacrificare se stessa, danzando fino allo sfinimento.

La novità, in questa nuova versione, è l’uso dell’acqua che scende dall’alto e permette poi ai ballerini di scivolare, schizzare sollevare gocce d’acqua – ma in questo Pina Bausch docet con il suo Vollmond – frantumando le luci di Tomaz Premzl in maniera fantasmagorica.

Flessioni saltate, movimenti d’insieme ripetitivi, cannibaleschi. Corpi scultorei. Muscoli che guizzano. Braccia rovesciate. Ancora salti. Schiene curve. Posture scimmiesche. Il rituale è consumato.

Applausi sostanziosi.

foto di F.Parenzan-4858

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