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REVIEW – CHEEK TO CHEEK

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Il suono delle madeleine

11163967_10205413365641081_4850279716880496783_ndi Lucio Leone

Ero piccolo la prima volta che mi sono incantato guardando l’eleganza e la precisione millimetrica delle coreografie della coppia Astaire Rogers (e per i più maligni preciso che si trattava di una delle solite repliche a tarda sera di RAI DUE e non di una prima visione al cinematografo). Ero piccolo ma credo che sia stato uno dei momenti topici, una vera epifania che mi ha fatto amare il genere del musical senza nemmeno sapessi con esattezza cosa fosse un musical, o che la meravigliosa colonna sonora che accompagnava le evoluzioni delle due figurette in bianco e nero ed in abito da sera fosse swing. Perché quando incontri una cosa di valore la… “riconosci” (in entrambi le accezioni del termine), anche se ti era sconosciuta fino a poco prima.

Comunque, quando ho saputo che lo swing sarebbe tornato a farla da padrona almeno per una sera sul prestigioso palcoscenico del Blue Note capirete forse come per me la notizia sia stata una sorta di illuminazione Proustiana, paragonabile al ritrovarsi sotto il naso il profumo di una madeleine.

Premesso che non conoscevo personalmente né Martha RossiNicolas Tenerani prima delle rispettive interviste radiofoniche che ho realizzato con ognuno di loro per conto per una testata diversa da questa (e quindi sappiate che “suona” strano anche a me prima aver rivestito il ruolo di padrone di casa per un programma di puro intrattenimento, e dopo ritrovarmi a scrivere qui come recensore dello stesso spettacolo. Ma questa è la vita del giornalista, ed è nostra responsabilità saper separare le due anime, quella del comunicatore e quella del critico), fatemi subito dire che a mio modesto parere quando un autore affronta uno spettacolo come quello in oggetto o ci mette dentro davvero un pezzetto di cuore o la gente, in platea… poi se ne accorge. Ma non “il cuore” che strombazzi nelle interviste con un sorriso a 32 denti, no. Quello che dimostri coi fatti, a cominciare dalla scelta di chi sul palco creerà magia. Per cui immagino che quando Martha Rossi e Cristian Ruiz hanno pensato di inventarsi Cheek To Cheek non lo abbiano fatto solo in seguito all’operazione di Lady Gaga e Tony Bennet.

Per carità: magari mi sbaglio, ma il pubblico americano e quello italiano sono profondamente diversi per quanto riguarda radici e formazione, e quindi se una operazione è stata un successo negli U.S.A. non è detto che commercialmente lo sarà anche qui, soprattutto se è una operazione con una valenza culturale come il riproporre un genere non proprio appannaggio delle masse come è lo swing oggi. No: credo che il disco Gaga-Bennet sia stato solo un catalizzatore, la scintilla che ha fatto fare loro il più banale dei 1+1 e pensare di offrire qualcosa al pubblico nostrano che molto evidentemente questi due performer avevano già da prima nelle proprie corde (e tu pensa il caso: cor cordis in latino significa proprio “cuore”, ndr).

Chiamare tre ottimi musicisti come Gianluca Sambataro (al piano), Marco Giannotti (contrabbasso) e Marco Sambataro (percussioni) a cui si è poi aggiunto come ospite speciale anche Ivan Padovani (tromba) è stato già questo un atto d’amore. E quando Ruiz, immagino a malincuore, ha dovuto lasciare per la serata il posto da crooner a un collega perché impegnato in un altro spettacolo, ha pensato bene di chiamare Nicolas Tenerani che pure lui evidentemente lo swing lo macinava piuttosto bene di suo visto che è stato bravissimo. Perché certe dinamiche e chimiche (lui/lei, lui-lei/musicisti, musicisti/musica, lui-lei/musica…) non te le inventi.

Non sono un critico musicale, quindi non mi addentrerò in una disquisizione tecnica su questo specifico aspetto della serata (comunque è ben noto che al Blue Note non è che si esibiscano quelli scarsi…), però metto sul piatto la mia credibilità di giornalista di spettacolo dicendo che aveva ben ragione Nina Simone quando parafrasava la celebre canzone che ha dato il nome al genere “…It don’t mean a thing, if you ain’t got that swing”: certi gimmicks (cit. Gypsy), il ritmo giusto per questa musica o li hai nel sangue o non li hai. E loro li hanno. Certi scambi che introducevano le canzoni non erano solo divertenti, ma anche divertiti. C’era molto più Teatro in quella serata con le loro gag sull’eterno mascolino e femminino che si incontrano e scontrano a colpi di spartito che in altri musical (con tanto di autori scritti in grosso sul cartellone) a cui ho assistito questo ultimo anno.

12191613_10205417589306670_1602885211345941501_nIntelligenza scenica. Ritmo. Spettacolo. Le cose che mi ricorderò a distanza di tempo? Tenerani che tiene banco come un vero animale da palco. Rossi che ironizza con tempi comici assolutamente naturali. Sambataro che ruba la scena interagendo coi due. Il velluto di certe note basse di Tenerani. L’acuto finale di Rossi in New York New York. Di nuovo Sambataro ed i suoi entusiasmanti assolo alla tastiera (maestro: glielo confesso. Avessi saputo quando buttarci dentro un applauso a scena aperta l’avrei fatto, ma lei mi fregava costantemente con finte, agguati, esplosioni e fuochi d’artificio!).

Certi passaggi armonizzati a due voci. Lo scambio in scat di Sambataro e Loretta Martinez (l’altra ospite speciale della serata). Le Louboutin di Rossi, quelle col fiocchetto. Il beat box nel bis dell’altro Sambataro, Marco. Gli applausi. La bellissima Beatrice Baldaccini seduta dietro di me che rendeva fragorosamente onore al concetto di “claque“. Altri applausi.

E quello che francamente si può puntualizzare e poi far scivolare via perché meno riuscito? Partendo dal presupposto che non credo esista lo “spettacolo perfetto” più dell’ “onda perfetta” (e credo anche se un Artista dovrebbe tendere verso quello sperando di non raggiungerlo mai) direi che la scelta del classico di Ella Fitzgerald interpretato da Martinez “You dont’ know what love is” con una resa scenica tanto sottotono, così come qualche singolo passaggio più squisitamente musicale che teatralizzato (e anche qualche vociata di mero virtuosismo più al servizio del “mo’-tu-adesso-senti-quanto-canto-bene-oh” che dell’interpretazione), sono state probabilmente le cose meno coinvolgenti della serata, ed il ritmo e l’attenzione ne hanno qua e là un po’ risentito.

Ma siccome è passaggio obbligato tra il Direttore Editoriale Paolo Vitale e il sottoscritto chiudere con la domanda da un milione di dollari “vale la pena prendere il taxi per vedere lo spettacolo?” rispondo che a scanso di equivoci mi metto tra le chiamate veloci il numero del RadioTaxi e aspetto fiducioso che Miss Rossi ci comunichi che lo rimette in scena al più presto questo Cheek To Cheek. Con Ruiz. E magari anche Tenerani. Sperando che quel taxi io lo debba contendere ad un pubblico giovane, un pubblico che in alternativa si prenda l’autobus, la metro o una Enjoy o lo scooter. Un pubblico che avrebbe solo da guadagnarci se venisse a scoprire le radici colte della musica che ascolta ancora oggi, una musica che tra trent’anni sarà ancora lì e… magari, per allora, avrà acquistato anche per loro il sapore delle madeleine.

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