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REVIEW – MAGIC SHADOW

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Magic Shadow, uno spettacolo che si fa guardare, ma…

GetInline-1di Erica Culiat

Adam Battelstein per diciannove anni ha fatto parte della compagnia dei Pilobuls, come danzatore e come coreografo. Poi nel 2008 fonda una sua di compagnia, Catapult, nome o verbo che sia, diventata famosa grazie alla partecipazione all’America’s Got Talent del 2013, anche se al suo attivo aveva già film, pubblicità televisive, spettacoli. In Italia sono arrivati per la prima volta lo scorso anno. Sono ritornati nel 2016 e, unica data, il 2 febbraio, si sono esibiti anche a Trieste al Politeama Rossetti. Ovunque recensioni entusiastiche.

Sala abbastanza gremita con un pubblico plaudente. Un’ora e mezza di svago con le ombre  cinesi. Giocare con la luce l’abbiamo fatto tutti da bambini, sotto un lenzuolo con una torcia, intrecciando le mani e dando vita a musi di oche, cani e comunque a tutto quello che si riusciva a fare. Arturo Brachetti, giocoliere/funambolo della fantasia le usa nei suoi spettacoli; c’è il gruppo teatrale Controluce Teatro d’Ombre; nella danza i Pilobolus ci hanno regalato qualche anno fa l’entusiasmante Shadowland. Oggi abbiamo Magic Shadow.

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Non siamo riusciti a condividere tutto questo entusiasmo pregresso e presente. Gli otto artisti, giovani, sorridenti, nella dipintura di queste ombre non erano sempre impeccabili e un tremolio delle immagini, come quando guardi sott’acqua, si presentava più volte. La fonica era scarsa e, registicamente parlando, i bui tra una scena e l’altra sono davvero fastidiosi, cancellano la fluidità del racconto. Dopodiché lo spettacolo si lascia guardare, i quadri che si susseguono in scena sono freschi e accattivanti, soprattutto quelli che raccontano il passare delle stagioni mentre Vivaldi impazza nello score, ma il confronto, forse non giusto, umano però, con Shadowland è stato inevitabile.

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L’incipit delle quattro stagioni è stato quello più emozionante: la primavera con i suoi fiori che sbocciano, gli acquazzoni marzolini, le ranocchie che saltano felici, ripetute però un po’ troppe volte, i bruchi che si trasformano in farfalle. Poi l’estate con le sue nuotate, i castelli di sabbia, l’autunno con le foglie che cadono e si ammucchiano, un amore che sboccia e poi il ciclo si chiude. Cristalli di neve, pattinatori, alberi di Natale, il calore di una famiglia. Ma faremmo torto ai quadri successivi, alcuni impegnati, più politici; commoventi invece quelli più intimisti, come la parabola della vita, una bambina viene accompagnata ai giardinetti dai genitori, cresce, si laurea, si sposa, – carino il passaggio degli amici che festeggiano la laurea e che poi si trasformano nei pinnacoli di una chiesa – a sua volta ha un figlio e l’immagine svapora dalla capigliatura della nonna che bacia la nipotina nella chioma di un albero dove dondola un’altalena.

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Le idee ci sono, ma l’esecuzione è imprecisa e la regia non è all’altezza di quello che si legge su Battelstein. Ci sono molti movimenti di danza, anche se quelli ginnici/sportivi sono quelli preminenti e sono quelli che permettono la costruzione delle immagini.

Non si poteva non applaudire, però ci aspettavamo di più.

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