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REVIEW – MASSIMO RANIERI IN “SOGNO E SON DESTO… IN VIAGGIO”

Locandina Sogno e Son Desto...in Viaggio

di Ilaria Faraoni

È tornato al Sistina di Roma, teatro che ha definito un po’ casa sua, Massimo Ranieri, con l’ultima versione, “… in viaggio” del suo Sogno e son desto, scritto e ideato da Ranieri stesso con Gualtiero Peirce.
Due atti faticosi in cui l’artista, solo, non esce mai di scena, ma canta, recita e balla con un ritmo ed una energia trascinanti. La fatica possiamo solo immaginarla, perché dalla performance di Ranieri non trapela, anzi: Massimo si diverte perfino a fare ginnastica sul pianoforte, addominali inclusi, cantando Je so’ pazzo di Pino Daniele, al quale ha dedicato poi i versi di Aldo Palazzeschi:

“Muoiono i poeti
ma non muore la poesia
perché la poesia
è infinita
come la vita”

Ciao Pino!

36B0025C-E611-4ADC-B86B-7E60CFF0B86FUn artista che andrebbe clonato, Ranieri. Ma riflettendoci è meglio di no, perché è bello poter godere dell’unicità di un talento così completo, di un uomo così pieno di vita, risorse ed entusiasmo genuino.

Sul palco, privo di scenografia, ma con un telone che cambia colore a seconda dell’indovinato gioco luci di Maurizio Fabretti, otto eccellenti musicisti accompagnano Ranieri: Max Rosati (chitarra), Andrea Pistilli (chitarra), Flavio Mazzocchi (pianoforte), Pierpaolo Ranieri (contrabbasso), Luca Trolli (batteria), Donato Sensini (fiati), Stefano Indino (fisarmonica), Alessandro Golini (violino).

Da non sottovalutare proprio la presenza del violino, strumento che dà sempre quel tocco lirico in più: il duetto “botta e risposta” tra Ranieri e lo strumento ad arco, che apre La voce del silenzio (numero di inizio del secondo atto) è uno dei punti musicali più belli della serata, così come pure Io vivrò (Senza te) di Battisti: uno dei momenti più intensi ed intimi del primo atto, con l’artista seduto sullo sgabello che inizia il brano accompagnato soltanto da pianoforte, violino e contrabbasso, cui si aggiungono, sottolineati dalle luci che si accendono illuminandoli mano a mano, anche tutti gli altri strumenti. Al pubblico, cui Ranieri lascia cantare da solo il “Piangerò”, si alterna l’interpretazione, anche fisica, dell’artista che si dondola per la disperazione e alla fine si ripiega su se stesso, con il braccio penzoloni.

Altra interpretazione molto forte, quella di ‘O marenariello, amatissimo brano napoletano di fine Ottocento, durante il quale Ranieri, piegato all’indietro sulle ginocchia, mima il movimento del tirare le reti. Grande prova non solo interpretativa, ma di fiato, così come quella regalata durante Je so’ pazzo. Da chiedersi in quanti ci riuscirebbero.

Del resto Massimo è sempre vigile perché, come spiega nell’introduzione del brano, tiene a mente il consiglio del nonno pescatore: mai fidarsi del mare che ti fa addormentare e poi ti tradisce: “E allora… sogno e son desto!” ecco spiegato il titolo dello spettacolo.

Lo show è costruito con un’alternanza di canzoni, monologhi, barzellette che si interrompono e continuano più avanti e vecchi sketch come la classica scenetta delle 10.000 lire prestate, semplificata per l’occasione (proponiamo qui la versione di Macario https://youtu.be/RoVoS71lN1A).

IMG_1556 (1)Alcuni pezzi si giustappongono, altri hanno una sequenza studiata. Basti pensare alla lettura  tratta dal De brevitate vitae, parte dei Dialoghi di Seneca (già proposta anche nell’ultimo show televisivo), che si lega in modo solido al brano musicale che la segue; accompagnati da luci che creano disegni sulle pareti della platea e sui muri della galleria, i versi de La stagione dell’amore di BattiatoSe penso a come ho speso male il mio tempo, che non tornerà, non ritornerà più”, si sposano perfettamente con il pensiero del filosofo latino: “… E infine ci sono quelli a cui non piace praticamente nulla, e sono sorpresi dalla morte tra il torpore e gli sbadigli. No, la vita non è breve, noi non abbiamo poco tempo di vivere, noi ne sprechiamo troppo. Ci vuole tutta una vita per imparare a vivere”.

Da lodare dunque, nello spettacolo di Ranieri, l’intento di far passare momenti di poesia o riflessioni e spunti importanti all’interno della cornice musicale, da concerto.

A questo proposito vale la pena menzionare la lettura del Sonetto n° 75 di Shakespeare e la citazione di Giuseppe Prezzolini sull’Italia dei fessi e dei furbi, che ci ricorda come il nostro Paese non sia mai cambiato: “L’Italia va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l’Italia sono i furbi che non fanno nulla, spendono e se la godono. Il fesso, in generale, è stupido. Se non fosse stupido, avrebbe cacciato via i furbi da parecchio tempo” (da Codice della vita italiana, 1921 – Capitolo I, Dei furbi e dei fessi).

E ancora, rispetto ai contenuti, si deve citare il brano di Aznavour, Quel che si dice, una delle interpretazioni più commoventi ed emotivamente forti della serata che ha visto un Massimo Ranieri trasformato nell’espressione e nelle movenze: 

Però non mi guardate mai,
Con aria di severità giudicatrice,
Che colpa posso avere se,
Madre natura fa di me:
Un uomo o quello che si dice”.

foto Massimo RanieriPiù su si è parlato di cornice da concerto: sì, perché proprio come ad un concerto, le canzoni si susseguono spesso e ripetutamente il pubblico, trascinato dalla bellezza dei brani e dal temperamento carismatico di Ranieri, ha cantato i pezzi proposti, soprattutto quelli dell’artista, che ha lasciato tutti i finali agli spettatori, per riprenderli poi personalmente in doppia chiusura: da Vent’anni (primo brano dello spettacolo) ad Erba di casa mia (con cui Massimo vinse la Canzonissima del 1972); da Se bruciasse la città (accompagnata da un boato finale del pubblico) a Rose Rosse per arrivare all’esplosione di gioia dei presenti nulle primissime note di Perdere l’amore, che chiude lo spettacolo.

Tra gli omaggi a Pino Donaggio – con Io che non vivo – e a Tenco – con Mi sono innamorato di te – tanto spazio alla napoletanità: oltre ai pezzi già citati più su, si passa dai personaggi come Nicola Quagliarulo a canzoni come Uè Uè che femmena (1960) di Mario Trevi, con un trascinante ritmo swing; e ancora si va da ‘O ccafè di Modugno (impreziosita con un po’ di tip tap) ad Aumm Aumm di Teresa De Sio ed a  Nessuno al mondo di Peppino Di Capri.

Occhio poi al bis, richiesto a lungo e a gran voce dal pubblico della prima: una bella punizione” per quella fetta di spettatori che ha l’antipatica abitudine di alzarsi e scappare durante l’ultima canzone o i saluti finali, cosa  che disturba tutti gli altri e manca di rispetto agli artisti in scena. Il sipario si è riaperto regalando altri due pezzi trascinanti: ‘O Sarracino (con un Massimo sdraiato di nuovo sul pianoforte con giacca a righe luccicanti e cappello rosso) e Anema e core.

Addossata alle porte di platea una parte dei fortunati che ha fatto in tempo a non uscire del tutto dalla sala; sotto al palco e nelle poltrone una moltitudine di spettatori entusiasti con i telefonini accesi per riprendere le ultime due performance di Ranieri, in un luccichio che ha sostituito quello classico degli accendini accesi.

Qui le date del tour http://www.massimoranieri.it/index.jsp?idz=9

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