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REVIEW – LEAR. LA STORIA

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Lear. Ascesa e tracollo di una generazione: la nostra!

Teatro: 'Re Lear, la storia', apocalittico Rigillo al Verga di Catania

di Paolo D. M. Vitale

L’Italia è senza dubbio il Paese dei colmi: spettacoli decisamente brutti girano la nazione in lungo e in largo, mentre i veri tesori chiudono il sipario dopo poche recite. Appartiene a questo secondo caso “Lear. La Storia”, una co-produzione del Teatro Stabile di Catania e del Teatro Stabile di Napoli per la regia di Giuseppe Dipasquale. A vestire i panni del Re più controverso del Bardo un gigantesco Mariano Rigillo.

Lo spettacolo, come si evince da questa introduzione, è uno di quelli che “va visto”: probabilmente uno dei lavori migliori dell’intera stagione. Il testo, inutile ricordarlo, è una pietra miliare della cultura occidentale tanto che ormai “Re Lear” è quasi l’archetipo per eccellenza del tiranno punito dal fato.

La messa in scena di Dipasquale è austera ma accattivante. Le scene metafisiche disegnate dallo stesso Dipasquale, i costumi e le opere ideati da Angela Gallaro, le luci ottime di Franco Buzzanca e le musiche di Germano Mazzocchetti creano un’atmosfera sospesa nel tempo e nello spazio, onirica ed ancestrale. L’interpretazione dello spettatote viene stimolata da grandi oggetti fuori scala (alcuni dadi, un teschio , elementi che ricordano i pedoni degli scacchi…) che fanno da didascalie evocative al testo. Semplicità ed efficacia allo stesso tempo.

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Dal cast emergono come cime svettanti Mariano Rigillo (Lear) e Anna Teresa Rossini (il Matto). Il Lear di Rigillo si trasforma in scena passando dal tiranno potente e dispotico, al vecchio senza senno, debole e ormai inerte. Rigillo è abilissimo nel trasformare, battuta dopo battuta, il carnefice in vittima, l’ingiusto in giusto, in una parabola quasi cristologica. La Rossini dal canto suo mette in gioco tutta la fantasia interpretativa di cui dispone, per regalare un Matto (Fool) surreale quanto affascinante. Suoi forse i momenti più toccanti, quelli che lasciano attonito il pubblico, incapace perfino di applaudire per la profonda commozione.

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Efficacissima la scelta di Dipasquale di affidare a due uomini i ruoli delle figlie maggiori di Lear per rendere anche visivamente l’effetto deformante della cattiveria: Luigi Tabita interpreta Regana, Roberto Pappalardo Goneril. Tra i due è sicuramente Tabita il più generoso sul palco: Regana sembra costantemente oscillare tra la più cinica delle cattiverie ed un rimorso ormai diventato impossibile. Tabita le dona tridimensionalità ed umanità senza mai scadere nel banale. La Goneril di Pappalardo risulta invece più artefatta e monolitica.

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Interessante anche l’interpretazione energica di Giorgio Musumeci (Edgar) che sul palco non si risparmia, anche se non possiamo negare che riesca molto meglio nei momenti in cui Edgar diventa Tom .

Completano il buon cast Sebastiano Trincali (Gloucester), David Coco (Edmund), Filippo Brazzaventre (Kent), Silvia Siravo (Cordelia), Cesare Biondolillo (Re di Francia/Oswald), Enzo Gambino (Curan).

Siamo usciti dalla sala felici per l’aver assistito finalmente al Teatro con la T maiuscola, ma con l’amaro in bocca, perché quella di Catania, al Verga, è stata l’ultima recita prima di uno sciopero indetto dai lavoratori dello Stabile non retribuiti da mesi e mesi [a cui va tutta la nostra solidarietà ndr]. “Si attende il saldo degli stipendi arretrati per ovviare ai perduranti disagi in cui versano da mesi le famiglie dei lavoratori” si legge in una nota diramata nei giorni scorsi.

Al Teatro Mercadante di Napoli lo spettacolo è andato così in scena nella scatola nera: le scenografie sono rimaste bloccate a Catania. E se “dal nulla nasce il nulla” alla fine il sipario è calato indegnamente anche su questo Lear.

Insomma, mai una gioia!

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