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REVIEW – BALLO AL SAVOY

La “maledizione di San Giusto” colpisce ancora: audio e luci rovinano il Ballo al Savoy

di Rino Alessi

Passano le amministrazioni ma i problemi restano gli stessi.

Per carità, l’appalto tecnico per gli spettacoli che il Comune ospita nello splendido spazio en plein air del Cortile delle Milizie sul colle di San Giusto, attorniato dai bastioni del Castello simbolo un tempo dell’italianità di Trieste è un problema minore rispetto a tanti altri che quotidianamente si dibattono in sede assembleare. Così, il fatto che un problema per l’appunto tecnico ha reso vano il lavoro, appassionato ne siamo certi, di preparazione per Ballo al Savoy, operetta del 1932 su musiche di Paul Abraham che era supposto rinverdire i fasti dei Festival dell’Operetta anni Cinquanta del secolo scorso, potrà sembrare un fatto di poca importanza.

Il piazzale era pieno di pubblico, in gran parte adulto c’è da dire – ma l’operetta non attrae i giovani -, segno che a Trieste spettatori che amano la piccola lirica ci sono ancora. Erano presenti autorità, politici, organizzatori culturali, artisti che con l’operetta hanno avuto successo, c’era anche l’assessore alla Cultura del Comune Giorgio Rossi che, nella mattinata, commentando come socio i titoli annunciati dallo Stabile del Friuli Venezia Giulia per la stagione 2017/2018 ripresentava il concetto che Trieste deve investire in Cultura, avere consapevolezza della propria cultura e vedere al proprio passato per proiettarsi nel futuro, per quanto incerto. Aveva chiuso citando Maria Teresa che fece la fortuna emporiale della città senza mai visitarla e invitandoci ad aprirci, come lei, fiduciosamente al nuovo.

Tutte belle parole, che i fatti però, purtroppo, smentiscono. Il Comune mette a disposizione Piazzale e nuovo, bellissimo, palco e appalta a teatri e associazioni la responsabilità della serata. Trieste Estate non è quindi una rassegna che ha un suo filo conduttore ma una sorta di gara fra poveri a chi fa meglio o, più semplicemente, meno peggio.

Così non possiamo riferire o dare un giudizio sul Ballo al Savoy che l’Associazione Internazionale dell’Operetta del Friuli Venezia Giulia ha presentato a San Giusto. Non lo possiamo fare perché, a un certo punto, ci è sembrato più onesto, vista la mala parata, andarcene e lasciare lo spettacolo al proprio destino.

Possiamo dire, per quello che abbiamo visto e sentito, che la rielaborazione del testo era simpatica e spostava dalla Costa Azzurra anni Trenta alla Trieste anni Cinquanta l’azione dell’operetta. Che gli interventi comici dei Papu erano d’intralcio più che di supporto all’azione. Che Andrea Binetti responsabile di regia, scene e costumi dello spettacolo ha centrato gli ultimi, mancato le seconde disponendo al centro del palco l’Ensemble jazz diretto da Maurizio Baldin e rendendo il palco stesso poco agibile, ed è stato più contenuto, che in precedenti occasioni come interprete comico del Moustafà Bey, il che è un bene.

Gli altri erano Marzia Postogna, Mathia Neglia, Maria Giovanna Michelini e Mojca Milic con Maurizio Baldin e Carlo Corazza al pianoforte, Antonio Kozina al violino, Lorenzo Fonda alla batteria e Giovanni Vello alla tromba, più il Coro Polifonico di Montereale Valcellina e uno sparuto gruppo di danzatori che realizzava le coreografie di Marisa Benes (Club Diamante) e Maria Bruna Raimondi (Artinscena).

Tutti talenti sprecati da un gioco luci inesistente e da un audio addirittura disturbante. L’Ensemble jazz copriva le voci di coro e solisti negli assiemi, il microfono del soprano funzionava in modo intermittente. E se il pubblico si accontenta, noi non lo possiamo fare per rispetto del lavoro di chi lo spettacolo lo fa o lo organizza.

Tornare sui luoghi della memoria operettistica è una bella idea, Ballo al Savoy debuttò a San Giusto nel primo Festival che il Teatro Verdi, correva l’anno 1955, mise in programma al Cortile delle Milizie dove già si rappresentava l’opera, Sovrintendente era Giuseppe Antonicelli, dirigeva Cesare Gallino in scena erano Elvio Calderoni, Nuto Navarrini e la leggendaria Rosy Barsony, per citare i più noti.

Così com’è una bella idea ricordare Danilo Soli, collega amabile e fondatore dell’Associazione e che ha speso una vita per l’operetta.

Oggi, purtroppo, quella stessa Associazione non ha i mezzi per fare uno spettacolo che neanche minimamente ricordi quello del 1955 di cui, personalmente abbiamo solo sentito parlare. Certo, non era nemmeno il Ballo al Savoy che abbiamo applaudito qualche estate fa al Teatro Verdi. Ma tant’è.

Dopo lo spettacolo, mi si dice, gran parte del pubblico più scaltrito, così come gli artisti e gli organizzatori, sono rimasti amaramente insoddisfatti e stufi. Mi unisco a loro e mi spiace aver dovuto esternare in questa sede il mio disappunto.

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