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REVIEW – EZIO BOSSO AL VERDI DI TRIESTE

Il Verdi di Trieste apre la stagione sinfonica con un formidabile Ezio Bosso

di Erica Culiat

L’Ouverture Leonore III di Beethoven è il sorriso di Ezio Bosso. Un teatro appassionato, affollato, che più di una volta, domenica sera, si è alzato in piedi per applaudire il compositore e direttore torinese.

L’ente lirico triestino quest’anno ha incendiato l’interesse del suo pubblico proponendo come serata inaugurale per la stagione sinfonica 2017, che inizierà con i suoi cinque appuntamenti venerdì 15 settembre, un concerto straordinario fuori abbonamento. Protagonista Ezio Bosso.

Guardandolo dirigere l’Orchestra della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi o suonare al pianoforte, si capisce come la musica, l’amore che ha verso di essa, lo abbia aiutato a superare la sua malattia, a impegnarsi nella riabilitazione che gli ha permesso prima di suonare e poi di salire sul podio come direttore, e a conviverci tutt’ora. Saluta il pubblico fin su che dal loggione si sporge, elargisce baci, parla con il suo pubblico, parla dei cellulari, «lo squillo è come squarciare un’opera. Stasera imparate a liberarvi dai telefonini. Liberate invece le vostre emozioni», parla del suo papà, Beethoven, la serata è Beethoven, più due brani composti dallo stesso Bosso. Quattro pezzi accumunati dal concetto di libertà, libertà da se stessi.

L’orchestra del teatro è stata impeccabile nell’Ouverture che ha questo grande respiro sinfonico, riuscendo a colorare i movimenti lenti dell’Adagio, con i flauti e i violini che a un certo punto vengono contrastati dal resto dell’ensemble per poi impennarsi nell’Allegro con gli archi che quasi sussurrano. Entrano i corni, la tromba, i legni e poi arriva l’onda catartica dei violini e di tutti gli archi.

Crediamo che per l’orchestra non sia stato facile seguire i movimenti del maestro Bosso, ma la sua gioia che a ogni passaggio esplodeva come un razzo, ha fatto miracoli. Guardando i musicisti c’erano quelli con un sorriso arricciato agli angoli delle labbra, c’erano quelli seri che eseguivano, c’era un violoncello appassionato che a sua volta si lasciava andare alla musica.

Poi due composizioni di Bosso: Split, postcards from away e Rain in your black eyes entrambi per pianoforte e orchestra. Il primo ispirato da un racconto di un veterano all’ora del tè a Londra, rituale che elimina le differenze di classe, il secondo suggerito dal succedersi degli elementi meteorologici che si confondono con gli occhi di una donna. La pioggia che è pianto, una pioggia che può anche generare benessere o devastare e qui, gli archi ti fanno proprio sentire il ticchettio della pioggia. I moduli compositivi che ritornano riecheggiano Nyman, Reich, Glass, quindi è come avere un dèjà vu, tuttavia, ripetiamo, il totale abbandono del compositore appaga comunque e tanto.

Seconda parte del concerto dedicata alla Settima Sinfonia di Beethoven con i suoi quattro movimenti, ricca di sfrenatezze ritmiche. Una partitura che regala energia, perché possiede una carica trascinante, non a caso Wagner l’aveva definita «l’apoteosi della danza». Forse qui l’orchestra si è lasciata coinvolgere un po’ troppo, detonando con troppo fragore, ma nel complesso la Settima è scivolata incolume.

Petali di rosa hanno invaso il palcoscenico, richiesti dei bis, Ezio Bosso ha accontentato il suo pubblico che pago è uscito dal teatro soddisfatto.

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