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ARCHI-SCENICI. ALBERTO CAMPO BAEZA.

La gravità tra pietre e cielo

di Silvia Cattiodoro

Il primo incontro dell’architetto spagnolo Alberto Campo Baeza con il Teatro Greco di Siracusa è avvenuto nel settembre 2014 ed è stato a suo dire come “tornare a nascere”: all’interno del grande invaso siciliano di pietra e cielo la pulizia dei suoi piani appoggiati e sospesi che tagliano porzioni di paesaggio rendendo la luce protagonista si poteva concretizzare nella sospensione del tempo.

L’occasione era venuta grazie a Alessandro Mauro, architetto che durante la visita del maestro lo aveva esortato a mettere su carta le sue sensazioni rispetto allo spazio e le riflessioni in merito a una scenografia che avrebbe potuto essere realizzata, visti gli illustri precedenti: Arnaldo Pomodoro nello stesso anno aveva realizzato le scene per “Agamennone”, “Coefore/Eumenidi” e “Le vespe” ma prima ancora gli architetti Fuksas e Koolhaas si erano messi alla prova in quello spazio.

L’incarico formale dell’INDA per varie vicissitudini non arrivò mai e benché l’occasione risulti oggi del tutto sfumata, il progetto compare nel sito dell’architetto a indicare l’importanza del ragionamento che lo sostiene e la coerenza con la sua ricerca architettonica.

I pochi iconici segni, nonostante la rapidità del tratto, centrano perfettamente l’argomento dell’opera “Le Nuvole” di Aristofane di cui si era parlato in occasione della visita siracusana del maestro.

Benché in questo caso l’idea non sia stata costruita – prendendo a prestito il titolo della famosa raccolta di testi di Campo Baeza intitolata “L’idea costruita” – la chiarezza di pensiero sottesa dall’opera determina una continuità con il suo manifesto teorico: «màs con menos».

La scenografia è un aforisma tutt’altro che sibillino: al mondo lineare e piano delle azioni umane corrisponde e fa da contraltare il mondo delle Nuvole, le divinità venerate da Socrate, libere e mutevoli, ma che allo stesso tempo opprimono e complicano la linearità del mondo con i loro ragionamenti cavillosi. Nel concept questo corrisponde a due superfici orizzontali di forma rettangolare uguali per dimensione: l’una, che sembra fluttuare, stesa sul piano dell’orchestra rappresenta il Temenos sacro su cui si svolge l’azione e per estensione il mondo semplice dei contadini Strepsiade e Filippide, l’altra accartocciata sopra la prima in modo da formare delle pieghe casuali, simboleggia come una filosofia deteriore possa deformare l’immagine che si ha del reale. In un secondo tempo, la piattaforma dell’azione verrà intagliata per permettere le entrate e le uscite degli attori dal basso, mentre lo spazio corrugato e arricciato della seconda sarà paragonato al manto di Santa Teresa nell’“Estasi” di Bernini.

La tensione tra le due piattaforme, entrambe dello stesso materiale e con le medesime proporzioni ma dal trattamento superficiale opposto, definirà lo spazio della rappresentazione che si svolge davvero sulle tre dimensioni, essendo Socrate appeso alle Nuvole a mezz’aria in una cesta, nella posizione del deus ex machina, pur non ricoprendone il ruolo.

La medesima visualizzazione del concetto di gravità caro all’architetto spagnolo era stata sperimentata nell’allestimento temporaneo “La pietra di Sisifo” durante la Fiera Marmomacc del 2013 per la ditta vicentina Pibamarmi: un grande blocco di travertino restava sospeso e incombente sui visitatori all’interno di uno stand dalle pareti in tela bianca come un misterioso soffitto fluttuante che invertiva le leggi della fisica, andandosi infine a riflettere su un pavimento anch’esso in pietra lucidata a specchio.

Negli schizzi di progetto per il Teatro Greco viene anche inserita la suggestione derivata dal panorama circostante: Planice e Antiplanice, la pianura e il suo opposto indicano non solo gli elementi costitutivi del territorio in cui sorge il teatro con la piana davanti e la collina, sulle cui pendici è costruito, alle spalle, ma anche, nuovamente, i due elementi principali di cui è costituita la scena.

Il Pensatoio di Socrate invece viene immaginato come un enorme podio bianco diviso in quattro settori di altezze diverse collegati da scale centrali, come a voler raffigurare i quattro stadi della saggezza, o per meglio dire del metodo maieutico (retorica, persuasione, brachiologia, ironia socratica).

Nell’ottica di un ciclo di spettacoli, Campo Baeza non si limita a questa configurazione, ma prevede di utilizzare le due strutture gemelle del temenos e delle nuvole come segno di riconoscimento, affiancandole per esempio a un ulteriore modulo delle medesime dimensioni ma con piegatura diversa e più regolare in grado di evocare, anche grazie al dichiarato cambiamento di luci e colori, le onde di un onnipresente mare nella “Medea” di Seneca.

La piega e il contrasto tra pesante e leggero sono i temi secondo i quali vengono ideati anche i costumi, quasi un omaggio allo stilista giapponese Issey Miyake, per completare il progetto e non farlo apparire solo il gioco di un pomeriggio di fine estate.

Guardando l’interezza del progetto, le aggiunte successive sono estremamente riconoscibili – e di minore effetto, pur se necessarie alla drammaturgia – rispetto al primo nitido gesto, insieme laconico ed eloquente com’è tutta l’architettura di Campo Baeza, tracciato idealmente sulle pietre del teatro lavorando con semplicità su misura e proporzione alla maniera degli antichi.

He proyectado un espacio con la sobriedad de Grecia y con la hermosura de Roma (Alberto Campo Baeza)

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