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INTERVISTA A PAOLO RUFFINI

Livornese nell’anima, cittadino del mondo d’adozione, allegro, scanzonato ed eternamente giovane. Abbiamo incontrato Paolo Ruffini, veejay, attore e comico prestato da un po’ di tempo al mondo del Musical, nel backstage del suo 80 voglia di…80!, per farci raccontare l’incontro di questo istrionico personaggio dello spettacolo con la realtà del Musical.

Veejay, attore, comico, showman: come arrivi al musical?

«Il musical è stata una scelta ed una scoperta arrivata dalla vita, dall’amore, dalla coppia. Mia moglie (Claudia Campolongo, anche lei nel cast di 80 voglia di…80!, ndr) essendo una grande appassionata di musical, diplomata in pianoforte, cantante, attrice, è riuscita a coinvolgermi portandomi dentro questo mondo. E così anche per me il musical è diventata una bellissima “patologia”. Sai quando si diventa malati di musical? Quando si pensa a lavorare per risparmiare i soldi per andare a Londra a vedere gli spettacoli! Ecco, anche per me è andata così»

Cos’è per te il musical?

«Il musical per me deve essere una forma di spettacolo nella quale lo spettatore che va a teatro deve già sapere a cosa va incontro. È il contrario del thriller: ha successo se rivedi quello che ti aspetti; in sostanza sai quello che mangi. E se vai in teatro con l’idea di vedere una “cavolata”…. va bene così! A me non piace, però, l’idea di vedere il teatro, nè tantomeno il Musical, come fruizione passiva; mi spiace moltissimo quando non c’è coinvolgimento, non c’è più l’emotività e il pubblico non entra in empatia con lo spettacolo. Il teatro è la forma di comunicazione più costosa, se comparata al cinema, alla radio o alla tv. Io non voglio che il pubblico paghi per stare passivamente in sala, ho necessità di abbracciarlo, di ringraziare tutti per essere venuti, di farli sentire lusingati. Nella maggior parte dei musical oggi in scena purtroppo non rivedo questo rapporto (l’ultima volta che mi è capitato di vederlo è stato in “Peter Pan”). Questo per me deve essere il musical: rompere la quarta parete, entrare in contatto, stimolare la partecipazione del pubblico. Ed è questa la strada che ho battuto col mio “Rent”».

Questo è molto interessante. Qual è stato il percorso che ha portato un personaggio che viene dauna forma di intrattenimento «leggero» ad un testo così crudo, drammatico e contemporaneo come Rent?

«Ho lasciato che il coinvolgimento del pubblico fosse la guida di questo lavoro. Volevo che i temi di “Rent” fossero crudi e coinvolgenti, perché non si può parlare superficialmente di Aids od omosessualità. Ad esempio, non sopporto che a Broadway un attore che dice di essere sieropositivo sia vestito come un modello Dolce e Gabbana, tutto carino, tutto “leccatino”. Secondo me temi del genere vanno trattati con la dovuta profondità; i protagonisti devono soffrire veramente, perciò non sopporto quando il musical diviene superficiale. Non mi piace che l’idea di musical sia qualcosa di simile a Walt Disney, voglio la parte “sanguigna”: per questo il nostro “Rent” era molto forte, e il mio inserimento era finalizzato al coinvolgimento del pubblico. Non abbiamo confinato tutto negli anni’ 90, né negli Usa, ma abbiamo voluto tessere un fil rouge coi giorni nostri e con l’Italia attuale. In questo senso io creavo un documentario che prevedeva anche le opinioni del pubblico e del cast: perciò, per non perdere di realismo, non ho permesso che si traducessero i testi delle canzoni».

Cosa inusuale questa per uno che non si definisce un purista del Musical…

«Vedevo le traduzioni come un rottura del realismo in scena, infatti ho voluto dei grandi sovratitoli e ho dato ampio spazio alle videoproiezioni in modo da portare il pubblico dentro la storia».

Quali sono oggi, secondo te, le potenzialità del musical in Italia?

«La potenzialità del musical in Italia è straordinaria, perché è a mio avviso un genere dove la credibilità viene sospesa, tacitamente e convenzionalmente. Nel musical un personaggio sta male e inizia a cantare, e va bene a tutti: perciò è un mezzo ed un genere straordinario. Premesso ciò, credevo che gli sviluppi fossero piuttosto limitati, ma mi sono ricreduto vedendo in teatro “Il pianeta proibito” (che credo sia piaciuto solo a me), perché è una bellissima follia e se ci sono degli errori, sono meravigliosi, eccezionali. Che bello vedere le signore impellicciate che stavano a tapparsi le orecchie per la musica troppo alta! Sì, un po’ di rock, un po’ di volume, c….o!!! In questo senso , “Il pianeta proibito” è avanguardistico, è un’ operazione “culturale”».

Tu vieni dal cinema: quanto il cinema italiano può fare nel musical e per il musical?

«Secondo me, può fare fino ad un certo punto. I generi cinematografici in Italia hanno bisogno di nuova linfa, soprattutto la commedia: prima di affrontare il musical affronterei altro. È un genere che rimane prettamente teatrale e purtroppo in Italia oggi è troppo legato al concetto di talent show. Ci sono delle possibilità sicuramente e ci sarebbero dei grandi risultati se un grosso regista riuscisse a confrontarsi con questo genere. E non dimentichiamo che nel cinema l’Italia, più che la patria del Musical, è la patria delle grandi colonne sonore».

E per quanto riguarda il Musical da fare in teatro: secondo te è meglio importare o inventare?

«Beh, sarebbe meglio inventare ma sul riadattare, sul copiare, io non ci vedo niente di male. Ci sono delle cose bellissime, i grandi classici lo insegnano, Romeo e Giulietta si può raccontare in cinquecento milioni di forme, non vedo perché non si possa fare anche il “Fantasma dell’opera” in tante forme…».

Quindi sei contrario alla messinscena di repertorio stretto…

«Sì e no… fondamentalmente non sono contrario a niente, nel senso che sono molto più favorevole a tante cose ma contrario praticamente a niente… anzi, a volte mi piace anche vedere gli errori. L’unica cosa che non mi piace vedere a teatro è la noia. Perché quando lo spettatore dà la mano all’interprete e poi si annoia vuol dire che questa stretta di mano si è persa… e a volte anche la durata degli spettacoli è secondo me eccessiva. È sempre meglio alzarsi dalla tavola con ancora un po’ d’appetito»

Ultima cosa: progetti per il futuro, non solo nell’ambito musical?

«Nell’ambito musical abbiamo “Rent”, che continueremo a portare in giro e poi “80 voglia di…. 80!” che speriamo di riuscire a far girare in vari circuiti il prossimo anno. Abbiamo poi altri spettacoli teatrali tra cui “Io doppio”, ormai collaudato spettacolo di doppiaggi in livornese. In più abbiamo altri progetti in corso legati alla musica, sempre gestiti da Claudia, come “Voci sole”, un gruppo di otto ragazze che cantano arrangiamenti a cappella oppure voci, basso, piano e batteria. E poi un omaggio a Mia Martini, uno a Frank Sinatra. Per quanto riguarda il cinema mi troverete in autunno in “C’è chi dice no”, un film con Luca Argentero e Paola Cortellesi e poi in un film di Fausto Brizzi che è in realtà un doppio film incrociato, “Maschi contro femmine” che esce a Ottobre e “Femmine contro maschi” che esce e Febbraio, i quali hanno un cast meraviglioso con Fabio De luigi, Nicolas Vaporidis, la Littizzetto, Nancy Brilli, Ficarra e Picone…tanto per dirne alcuni».

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