di Giancarlo Landini
Philip Gossett
Dive e maestri. L’opera italiana messa in scena. (trad. Livio Aragona)
Il Saggiatore, Milano, 2010
€ 40,00
Uno dei pochi fatti culturali importanti nella storia dell’interpretazione musicale del dopoguerra è, come giustamente ha affermato Claudio Abbado, la Rossini Renaissance. Essa deve molto ad alcuni intellettuali acuti e coraggiosi, che hanno saputo intuire quale potenziale contenesse la produzione di Rossini. È inoltre in debito con musicisti intelligenti, direttori e cantanti, che hanno saputo tradurre in un fatto concreto quanto si andava riscoprendo. Ma deve tantissimo a quei musicologi, a quei filologi che, con il loro diuturno lavoro, hanno messo a disposizione i materiali, riportati al loro antico splendore, dopo un attento lavoro di restauro. Tra loro l’uomo chiave è Philip Gosset, personaggio straordinario che, pur facendo perno su Rossini, ha compiuto una formidabile opera di approfondimento e di ricognizione dell’intero melodramma italiano del primo Ottocento. Io ebbi l’occasione di incontrare Gossett, all’epoca di miei studi universitari, negli anni Settanta, durante una sua visita alla biblioteca del Conservatorio di Milano e di avere avuto l’onore di parlare con lui dei problemi inerenti la priorità della stesura di «Di tanti palpiti» rispetto all’aria alternativa che poi così alternativa non era. Ricordo di averne riportato la più viva impressione per la capacità di spiegare con la più grande semplicità del mondo le questioni più difficili in quel suo strano italiano, a suo modo perfettto, nonostante l’accento, sia detto con il massimo rispetto, un poco buffo. Poi ho divorato i suoi scritti, seguito le sue conferenze al ROF, quando il ROF non poteva fare a meno di lui, l’ho incrociato in qualche convegno, l’ultimo dei quali all’Accademia Filarmonica di Bologna, e non sempre ho condiviso le sue valutazioni sui singoli cantanti.
Ma in questo libro ritrovo il Gossett più grande…
[continua a leggere l’articolo sul numero 255 (febbraio 2011) di L’Opera]