di Alberto Raimondi
Al Teatro Litta di Milano va in scena la produzione del Teatro della Cooperativa dal titolo Titanic – The great disaster, ma con il simpatico “sottotitolo” molto esplicativo, soliloquio marittimo per 2.201 personaggi e 3.177 cucchiaini, la storia è conosciuta a tutti ma il testo di Patrick Kermann, con la traduzione Matthieu Pastore anche unico attore in scena, va al di là dei fatti conosciuti, un racconto caleidoscopico tra un’infinità di personaggi e altrettante vite che si intrecciano e che alla fine sprofondano tutte insieme nel profondo mare, tanti ceti sociali ma la stessa fine per tutti.
Patrick Kermann stesso dichiarava: “Dagli antichi greci fino ai giorni nostri, passando da Shakespeare, dove gli spettri non sono da meno, il teatro è per essenza un’arte della morte, l’arte di far parlare i nostri morti”.
Particolarmente riuscito l’equilibrio e il montaggio di tutte le vicende che hanno segnato il protagonista Giovanni Pastore interpretato da Matthieu Pastore, nonostante una linea narrativa frammentaria la comprensione è facilmente fruibile e molto accattivante, il pubblico resta ipnotizzato ad ascoltare senza perdere nessun passaggio esattamente come quando si resta catturati dalle onde dal mare.
Una storia semplice, non si sa se sia vera o finta, non importa perché l’importante è crederci e lasciarsi trasportare dalle parole, a vent’anni Giovanni Pastore lascia la sua montagna, in Friuli, per lanciarsi in un giro dell’Europa che lo porta, di appuntamenti in casualità, a imbarcarsi sul Titanic come lavapiatti del ristorante à la carte, addetto ai cucchiaini e morto nell’affondamento del transatlantico.
“ E hop
vent’anni nelle montagne
quindici anni ad imparare il francese e il tedesco
cinque giorni a lavare cucchiaini
e l’eternità a raccontare sempre la stessa storia
questa è la vita di Giovanni Pastore
che non avrebbe mai dovuto lasciare mamma.”
La regia e la scenografia di Renato Sarti giocano fondamentalmente sull’interprete in scena e tanta latta, siano pentole o tavoli, scelta che riteniamo molto appropriata. La parte scenografica anche se con pochi elementi congeniali e soprattutto non di sola decorazione, con una decina di oggetti evoca subito la nave più famosa di tutti i tempi, qualche lampada che arriva dall’alto, due campane che ogni tanto echeggiano nel silenzio, quattro pentoloni come i quattro comignoli della nave e 3177 cucchiaini da lavare ed asciugare perfettamente anche se sarebbero stati meglio due in più… ma quest’ultimo dato potete capirlo solamente andando a vedere lo spettacolo.
Per il resto è Matthieu Pastore bravo a snocciolare ad uno ad uno i diversi personaggi che appaiono in questo racconto, siano esse nobil donne o semplici lavapiatti; tanta passione e tanta energia per trasformare quello che poteva sembrare “surreale” qualcosa di molto naturale, convince il pubblico, alla fine sembra tutto vero, ed in questa cascata di parole e domande qualcuna entra nei cuori e nelle teste degli spettatori e si torna a casa con qualche punto di domanda in più su un qualcosa che si pensava di conoscere grazie ad un film di successo ed invece tra le pieghe della storia si nascondono sempre nuove realtà.
Ci piace chiudere con le parole di Matthieu Pastore e Renato Sarti: “Titanic è un singolare memento mori ad uso di fari, capitanerie, stazioni marittime ed altri ventri della balena, che dal profondo degli abissi fa emergere, come bolle d’aria, ricordi, episodi, ossessioni: la prepotenza dei datori di lavoro, la futilità dei nababbi, la perfidia degli amici d’infanzia, la mano di Cecilia, unico tenero amore infantile, e la nonna annegata senza mutande nella fontana della piazza.”