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PIERO MARUSSIG FINO AD OTTOBRE AL MUSEO SARTORIO DI TRIESTE

Ventidue opere in mostra raccontano un Piero Marussig in bilico tra Milano e Trieste

Una scelta azzeccata quella di allestire al Museo Sartorio la mostra Piero Marussig. Camera con vista su Trieste, promossa dal Comune di Trieste – Assessorato alle politiche della cultura e del turismo.
Perché già entrare in un questa casa-museo triestina si respira un’intimità che permette di assaporare i colori, le forme dei ventidue quadri, la maggior parte provenienti da collezioni private, scelti dalle storiche dell’arte Alessandra Tiddia, curatore e conservatore al MartMuseo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, e Lorenza Resciniti, conservatore del Civico Museo Sartorio.

Quadri che nel poco numerico rappresentano il meglio del periodo triestino e di quello milanese, dove Marussig (1879-1937) sarà uno dei protagonisti della stagione del Novecento Italiano.
Bisogna salire al secondo piano per scoprire le tre sale approntate dalla storica dell’arte Federica Luser per Trart, partendo dal salone degli specchi dove l’avorio e ocra delle pareti e del soffitto risaltano per contrasto con le tonalità azzurre e violacee dei quadri dell’artista appesi su pareti blu savoia.
Si tratta di alcuni scorci di Trieste, fermati sulla tela da Villa Maria, la villa dove si stabilirà dal 1906 dopo i suoi soggiorni tra Monaco, Vienna, Roma e Parigi fino al 1919 (oggi in totale stato d’abbandono, ma in vendita).

«Proprio dalle finestre di questo piano – ha raccontato la Resciniti – si gode di una magnifica vista sui tetti delle case della città, sul golfo e sulla costa come le offre Marussig nei suoi quadri».

Colle di San Vito per villa Sartorio. Colle di Chiadino per il pittore. Una vista che regala un’emotività in più. E così scopriamo quello che a Marussig piace, perché lo dice lui stesso, «non posso dipingere una cosa che non sento».
Macrocosmo racchiuso nel microcosmo della sua casa, dove interno ed esterno, natura e città, vita privata e vita sociale coincidono.

Serata a Trieste 14 Lo sguardo scivola sugli alberi del suo giardino, come il frondoso ippocastano protagonista di un dipinto del 1914; intravediamo la sua villa macchiata di luce, ma nascosta dal lussureggiare del fogliame (1915). Due sono i dipinti da cui a malincuore ci allontaniamo: Serata a Trieste (1914) e Concertino nel parco (1916).
Nella monografia dedicata al pittore triestino edita nella Collana d’arte della Fondazione CRTrieste (2015), la Tiddia scrive del primo dipinto «che potrebbe essere eletto icona della cultura triestina d’inizio secolo perché vi si respira un’aria totalmente mitteleuropea».
Si tratta di uno dei suoi rari notturni, «il fogliame e la vegetazione sullo sfondo ricordano i paesaggi fioriti di Klimt, ma vi ritroviamo anche un po’ di Cézanne per la forte verticalità impressa dal tronco in primo piano. Il tutto è unificato da una diffusa tonalità blu-viola, il colore del ricordo e della nostalgia, un presagio scaramantico che ferma un momento destinato a non ritornare mai più».
Come non citare allora i versi di Guido Gozzano, «… era una cena/ d’altri tempi, col gatto e la falena/ e la stoviglia semplice e fiorita…».

concertino marussigE poi c’è il Concertino, con quella sua prospettiva tutta disallineata, come se i tre protagonisti da un momento all’altro potrebbero scivolare fuori dal quadro, annegati in questa luce crepuscolare, nostalgica.
D’altra parte la prima guerra mondiale è scoppiata e un mondo sta scomparendo. Sarà il 1919 una data che segnerà nella vita di Marussig un prima e un dopo. Alla Galleria Vinciana di Milano si tiene la sua prima mostra personale che gli aprirà le porte della critica e quelle del salotto di Margherita Sarfatti.
In realtà le critiche non mancheranno perché il suo linguaggio influenzato dal secessionismo viennese e da quello post impressionista per Milano era un astruso.

Dal 1920 si trasferirà a Milano e farà parte del milieu della Sarfatti che incitava a un ritorno alle forme classiche. Non a caso Marussig sarà tra i fondatori di Novecento Italiano con Anselmo Bucci, Leonardo Dudreville, Achille Funi, Emilio Malerba, Ubaldo Oppi e Mario Sironi.

Tuttavia non sarà facile per il pittore cercare la volumetria per i suoi soggetti. Una volumetria meno convincente di quella di Sironi, ma triestina nell’anima, soffusa di malinconia e ottenuta con colori abbassati, la sua pittura muta: i soggetti rimangono per lo più gli stessi, tanti ritratti femminili, meno ambientati in esterno, più negli interni.

In mostra un florilegio di queste opere sismografe dell’evolversi del suo modo di dipingere. Citiamo soltanto l’entusiasmante Ritratto della moglie (1915), Rina Drenik, sua musa e modella, che ricorda Matisse e Cézanne per le cromie forti e contrastate per poi passare a questa nuova costruzione di volumi e ombre come nel ritratto Matilde (1919). Non lasciatevi sfuggire nell’ultima sala Ritratto di ragazza (1932), impregnata da una soffice luce verde, un velo delicato e sonnolento, che ricorda nelle atmosfere Ritratto di signora di Vito Timmel e Donna seduta con cagnolino (1920), entrambe appoggiate su un braccio mentre sognano pigramente la vita.

MUSEO SARTORIO – TRIESTE

Orario d’apertura:
8 luglio-9 ottobre 2022
da giovedì a domenica dalle 10.00 alle 17.00
fino alle 21 in occasione degli spettacoli di Trieste Estate

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