Home / PROSA / RECENSIONE – IL “SIOR TODERO BRONTOLON” DI PAOLO VALERIO CONQUISTA TRIESTE

RECENSIONE – IL “SIOR TODERO BRONTOLON” DI PAOLO VALERIO CONQUISTA TRIESTE

La regia esplosiva di Paolo Valerio ha regalato un Goldoni di primissimo livello

di Prunella

Non ci poteva essere un inizio di stagione migliore di questo per lo Stabile del Friuli Venezia Giulia. Dopo l’Inno di Mameli, il sipario si è aperto sulla nuova co-produzione con il Teatro degli Incamminati e il Centro Teatrale Bresciano. Paolo Valerio ha optato questa volta, dopo La coscienza di Zeno, ancora in tour, per Sior Todero brontolon, la commedia che Carlo Goldoni ha scritto nel 1761 e che il regista, nonché direttore artistico del Rossetti, ha portato in scena con piglio esplosivo.

La Venezia del prolifico drammaturgo è detonata tra il pubblico, abbastanza numeroso della prima, facendo eruttare risate e continui e sostanziosi applausi a scena aperta. Perché se anche ci siamo trovati davanti l’ennesimo classico, e in verità propendiamo di più per una drammaturgia contemporanea che racconti il nostro oggi, il risultato è stato inaspettatamente bello, intenso e divertente. Due ore e venti che scheggiano, grazie a uno splendido ritmo e a una compagnia in stato di grazia, affiatata e… microfonata.

Così, finalmente, in un teatro da 1500 posti, tutti abbiamo seguito la storia e quindi complimenti e ancora complimenti alla fonica ineccepibile tanto che l’eloquio degli attori sembrava naturale.

La storia di Sior Todero è raccontata nelle Memorie di Goldoni: «A Venezia, non so in quale epoca, viveva un vecchio di nome Teodoro; era l’uomo più scontroso del mondo, più rustico e indisponente, e lasciò di sé una così buona fama che, a Venezia, quando si incontra un brontolone, lo si chiama sempre “Todero brontolon”. Di caratteri così ce n’erano a iosa e lo stesso Goldoni conosceva uno di questi vecchi di cattivo umore che esasperava la famiglia, «soprattutto la nuora, molto graziosa e amabile, il cui marito, che tremava alla vista del padre, la rendeva più infelice ancora. Volevo vendicare quella brava donna che incontravo sovente».

La commedia già allora fu un successo e a goderne più di tutti fu la donna, mentre suocero e marito che si riconobbero nei personaggi, rincasarono uno furioso, l’altro umiliato.

Il brontolone qui ha il volto, il corpo e le movenze di Franco Branciaroli che in più punti durante la serata, inghiottiva un sorriso che premeva per uscire dalle labbra, perché a tiranneggiare servitori e famiglia si trovava molto a suo agio; il figlio, Pellegrin, è Piergiorgio Fasolo, in una costante Waterloo emotiva e dialettica, piagnucoloso sui cadaveri delle parole di Todaro che si infrangevano su di lui, ansioso di imbucarsi ovunque pur di non affrontare padre e moglie. Su tutti, perché alla fine la protagonista è lei, giganteggia Marcolina, la nuora triste ma battagliera, una Maria Grazia Plos le cui battute erano come una caramella frizzante che le esplodevano sulla lingua. Tempestosa in maniera sfacciata.

Perché Goldoni le donne le amava, le apprezzava tutte, anche quando si sposerà con Nicoletta Connio che dovrà sopportare le sue infedeltà. Per il drammaturgo la donna è l’eroe positivo.
Già nella Donna di Garbo, commedia che inaugurò tra l’altro la prima stagione dello Stabile nel 1954 (quest’anno infatti ricorrono i settant’anni) aveva tratteggiato la figura della donna-leader; oltre la sua personale simpatia, ricordiamo però che proprio a Venezia in quegli anni la pubblicistica dedicava parecchi articoli sul nuovo ruolo della donna nella moderna società civile e Goldoni fu abile a utilizzare questo aspetto, aggiungendovi la sua naturale inclinazione verso il gentil sesso.

In Sior Todero viene sottolineato il contrasto di giovani e donne contro i vecchi; se da una parte abbiamo un vecchio spilorcio, legato soltanto al suo interesse e alla logica del profitto, che tiene a stecchetto tutta la famiglia, il caffè sotto chiave e «i risi se mette suso a bonora, acciò che i cressa, acciò che i fazza fazion», dall’altra abbiamo Marcolina e i due innamorati, Meneghetto (un Emanuele Fortunati molto forbito, ma che usa la persuasione come fosse Excalibur, per niente intimorito dal carattere di Todero, rispettoso ma deciso a ottenere la mano di Zanetta, il cui futuro è tiranneggiato dalle mire del nonno) e Zanetta (una Roberta Colacino che sbuffa noia e speranza).
Personaggi questi che hanno un approccio alla vita più serena e coraggiosa. Proprio grazie a Marcolina ci sarà l’happy end e i conflitti casalinghi verranno sedati, sostenuta dall’intraprendente vedova Fortunata – una Ester Galazzi che turbina imperiosa negli affari sentimentali che vedono coinvolto il cugino Meneghetto -.

Desiderio, l’amministratore servile, ma ladro di Todero, un superbo Riccardo Maranzana, verrà cacciato da casa, mentre suo figlio, lo svagato Nicoletto che Andrea Germani incipria di movenze e voci in falsetto, un gioiellino attoriale, riuscirà a sposare la servetta Cecilia, impersonata da Valentina Violo che guizza sulla scena con piglio e simpatia, e non Zanetta, come Todero avrebbe voluto. Un piccolo cameo ce lo regala anche Alessandro Albertin nel ruolo del servitore Gregorio che mal sopporta le istruzioni abbaiate dal “paron”.

Una regia che ha colpito nel segno ben assecondata anche dalle luci soffici e invitanti di Gigi Saccomandi, dai costumi scelti nelle sfumature dell’azzurro di Stefano Nicolao e dalle scene di Marta Crisolini Malatesta.

Cui vanno aggiunte le musiche di Antonio Di Pofi e i movimenti di Monica Codena. Una raffinatezza, che non è stata accolta (un abbinamento paragonabile alle seppie con i piselli di Campanile ) e colta da una parte del pubblico: l’utilizzo dei Piccoli di Podrecca.
Marionette appese. Marionette gestite dagli attori come fossero il loro doppio – e qui va un ulteriore plauso alla compagnia che ha dovuto imparare ad armeggiare le “teste di legno” -.
Marionette delle quali Goldoni scrive nelle sue Memorie (ma chi le ha lette tutte o in parte o non le ha proprio lette?) ricordando che il padre aveva costruito un teatro delle marionette che azionava lui stesso assieme a degli amici e che lui Carlo, all’età di quattro anni, lo considerava un divertimento delizioso.

Marionette a parte, e sappiamo che il regista ama il teatro di figura, è uno spettacolo da vedere.

A Trieste Sior Todero brontolon è stato programmato dal 2 al 6 ottobre 2024 in Sala Assicurazioni Generali. La tournée è fissata per il 2025 a partire da febbraio e toccherà, diamo solo le prime città, Rovigo, Mestre e Bologna. In Friuli Venezia Giulia ritornerà invece il prossimo marzo toccando Sacile, Grado e Gemona del Friuli.

About Central Palc

Central Palc nasce nel 2010 come portale ufficiale delle riviste cartacee L'Opera e Musical!. Dal febbraio 2014 ha allargato i suoi orizzonti abbracciando tutti gli altri generi teatrali affermandosi così come il portale web più aggiornato del panorama teatrale italiano.
Scroll To Top