Visitando la vita al Franco Parenti
di Alberto Raimondi
“Vorremmo raccontare una storia semplice, comune, per cogliere, se possibile, il fondo mitico di una quotidianità a noi vicina.
Per tanta parte del nostro lavoro ci ha ispirati la Metamorfosi di Filemone e Bauci di Ovidio. Di questo mito in noi risuonano: la convivialità come modus vivendi; la necessità di avere un luogo intimo o di doverlo talvolta lasciare; il farsi custodi di qualcosa o qualcuno; la metamorfosi come segno del tempo, sguardo sul mondo, vitale necessità e dinamica scenica. (…)
Ci immaginiamo tra dieci, cinquanta, sessant’anni, come fa un bambino che ha paura della puntura e gioca al dottore, come chi vorrebbe esser saggio senza dover aspettare i capelli bianchi; come chi, in fondo, non si sente mai pronto per invecchiare, per morire o per essere vivo. Ci interessa cercare lì, nella paura del tempo che passa e per farlo continuiamo il nostro percorso nel corpo e nelle maschere, per raccontare di universi comunicanti, a caccia di verità fantastiche e credibili bugie.”
Questo è Visite il nuovo lavoro ideato e diretto da Riccardo Pippa del Teatro dei Girdi prodotto assieme al Teatro Franco Parenti di Milano.
Un lavoro da guardare con attenzione più per la tecnica e le idee che per il messaggio o la storia: uno spettacolo da osservare più che da capire.
Il linguaggio in superficie è chiaro e semplice ma nel profondo è molto più interessante di come appare.
Dopo Sulla morte senza esagerare, spettacolo di maschere, la giovane compagnia, guidata dal regista Riccardo Pippa, continua l’indagine su una forma teatrale che si affida al gesto, ai corpi con e senza maschere, a una parola-suono scarna e essenziale che supera le barriere linguistiche, che mira ad una sintesi per esaltare la potenza e l’espressività dei loro volti di cartapesta: in assenza di parole sono i dettagli a rivelare allo spettatore ciò che accade.
Evidente il grande lavoro di prove e di improvvisazione per arrivare a questo risultato finale. Si capisce che nulla è casuale anche se, a parer nostro, manca il passaggio finale: il potenziale è ancora più grande rispetto al risultato.
Ispirato al mito di Filemone e Bauci di Ovidio, Visite indaga la metamorfosi come segno del tempo, sguardo sul mondo, vitale necessità e dinamica scenica, e lo fa raccontando con un linguaggio originale, una storia semplice e comune per cogliere, se possibile, il fondo mitico di una quotidianità a noi vicina.
Tutto è lineare e stimolante per uno spettatore attento, ma è inevitabile aspettarsi qualcosa che poi non arriva. Sicuramente la seconda parte è più poetica della prima, anche se è proprio nel primo turbinio di azioni iniziali che si trovano gli aspetti più stimolanti.
Il merito del risultato è sicuramente anche del cast: Cecilia Campani, Giovanni Longhin, Andrea Panigatti, Sandro Pivotti, Maria Vittoria Scarlattei, Matteo Vitanza. Coeso e ben gestito, carico di professionalità e con alle spalle un duro lavoro, rende tutto esageratamente fluido e naturale, anche la sua follia più ludica.
Crediamo che il lavoro di dramaturgia di Giulia Tollis sia la parte più debole del lavoro: serve un approfondimento ed una cura più lucida e oculata.
Al contrario, ottimamente inseriti, le maschere e costumi di Ilaria Ariemme, così come la scenografia di Anna Maddalena Cingi. Entrambe hanno curato il dettaglio con leggerezza e al tempo stesso con incisività.
Tutto accade in una camera da letto, in due diverse modalità, ma con la stessa natura: luogo intimo, aperto e appartato che contiene il tempo che passa, le stagioni della vita, i gesti quotidiani che diventano rituali, le visite degli amici, dei ricordi, dei sogni e la “visita” come ultimo, possibile, atto di resistenza.
Terremo d’occhio il lavoro di questa compagnia, sperando nella giusta crescita e nello sviluppo di questo embrione che ci fa proprio ben sperare per il futuro.