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DAL SOGNO A ISTANBUL AL FESTIVAL DI BORGIO VEREZZI: UN CAFFE’ CON MAXIMILIAN NISI

“Il teatro deve rimanere umano”: Maximilian Nisi e il suo est modus in rebus.

di Prunella – foto Barbara Rigon

Maximilian Nisi fino a Pasqua girerà con Un sogno a Istanbul tratto dal romanzo La cotogna di Istanbul di Paolo Rumiz, adattato per il teatro da Alberto Bassetti e firmato da Alessio Pizzech. L’abbiamo visto a Trieste alla Contrada che produce lo spettacolo assieme ad Arca Azzurra e sorseggiando un caffè abbiamo chiacchierato dello spettacolo, del suo nuovo incarico come direttore artistico al Festival di Borgio Verezzi, di teatro, dell’essere attore…

«Quando ho letto il libro, ho detto che meraviglia! È una storia d’amore, però dietro c’è molto altro. Maša (interpretata da Maddalena Crippa) non è soltanto una bella donna turca, vedova e divorziata, con due figli e Maximilian von Altenberg, ingegnere austriaco, non è soltanto l’uomo che arriva. Sono personaggi simbolici. Lei rappresenta l’Europa, lui quell’Europa che sotto il nazismo ha fatto determinate cose. Il loro amore è rappresentativo di altro; poi lui diventa un migrante dei sentimenti, come lei è stata migrante con la sua famiglia durante il conflitto nell’ex Jugoslavia».

Un testo con una musicalità antica. Rumiz ha cercato di creare la ballata ritmica, la ricerca della parola, dell’armonia «ma nel momento in cui mi è stato proposto, mi sono anche chiesto, come si fa raccontare tutto in un’ora e mezza?».

In realtà il pubblico ha reagito bene. Ognuno coglie uno o più livelli della storia. Grandissimo silenzio, le musiche di Mario Incudine piacciono (nel cast, ricordiamo c’è anche Adriano Giraldi). Da quando ha debuttato al Campania Teatro Festival lo scorso luglio, il testo è stato calibrato meglio, il finale è stato cambiato un po’ rendendolo più agile, «pensa che a Napoli durava un quarto d’ora in più, ma era troppo».

Dopo un Un sogno, Max riprenderà per il terzo anno A spasso con Daisy, una commedia vincente, tanto che verrà riproposta per un quarto anno.

«Un progetto bellissimo per quest’estate, che però è sfumato, finalmente avrei fatto Valmont nelle Relazioni pericolose dopo anni che lo desideravo. Invece è venuta fuori questa direzione artistica al Festival di Borgio Verezzi e non posso farlo. Forse riprenderò il progetto in invernale se l’attore che lo farà al posto mio sarà impegnato, altrimenti pazienza».

Nisi per questa direzione artistica sta inghiottendo bocconi amari, ha ricevuto intimidazioni insulti da parte delle compagnie che non sono state più ammesse in questa edizione. Ha litigato con produttori distributori attori.

«Devo dire che in questo momento non è ancora una gioia. Questa cosa è passata d’ufficio. Abbiamo dovuto presentare il cartellone, fatto dal precedente direttore artistico, un po’ dal Comune, un po’ da me, un ibrido di tempi cuori e testa. Non poteva che essere così perché abbiamo avuto 48 ore per stilarlo. Sono entrato nel bel mezzo di una diatriba, tra il Comune e l’ex direttore artistico, Stefano Delfino, che per 22 anni non hanno avuto problemi. Di colpo non si sono trovati d’accordo su alcuni punti e hanno litigato. Io sono stato chiamato per portare armonia».

«Stefano forse avrebbe dovuto finire il suo mandato che durava ancora un paio di anni e poi in maniera più morbida potevo subentrare io o un altro direttore artistico. Una situazione che non mi è piaciuta».

L’attore è conosciuto al Festival fin dal 1997, ha preso dei premi qui, ha lavorato al Teatro Gassman, nel 2000 è venuto con La passione di Cristo nel Duomo di Borgio, ha lavorato con i ragazzi, con gli anziani, con tutti i musicisti…

«Quindi l’amministrazione mi ha chiamato. È tanto matto, tanto conosciuto, non sarà una tragedia. Non è stato così. Quando sono nato non mi hanno dato la bacchetta magica. Ho cercato di fare il mio lavoro, vediamo però se riesco a fare qualcosa d’importante».

Forse questo incarico è un giro di boa.

«Perché a me? Sai, non sono cose che accadono se non hai appoggi politici. Sono forse cose che succedono nella vita. Quando Strehler mi prese per entrare alla scuola del Teatro d’Europa scelse lui la mia carriera, la mia vita; capì che c’era un inizio di vocazione, la vocazione si evince alla fine. Poi sono successe altre cose nella mia vita che hanno tracciato il mio cammino. Forse è importante che io faccia questo percorso, non tanto per me, ma per il teatro che ha bisogno di guide».

Nisi sa di aver avuto dei riferimenti di formazione, anche umani importanti con Strehler e Ronconi. Il teatro, secondo lui, ha bisogno di quella tradizione che sta un po’ scemando.

«Delfino quando ha preso il Festival ha fatto un lavoro eccelso perché è riuscito a mantenere il discorso della classicità coniugandola a una necessità di leggerezza. Negli ultimi anni forse aveva perso quello smalto di classicismo che è importante. La mia prima necessità è stata quella di prendere degli autori, dei titoli che potessero riconnettersi a un’idea di teatro che si confà di più a questo appuntamento. Ci saranno Melville, Plauto, Shakespeare, autori che negli ultimi anni non erano più previsti».

Per l’attore il teatro deve essere come un tavolo di un buffet, dove tutti dal celiaco al vegano possono mangiare abbondantemente ed essere felici. Il classico è moderno perché le dinamiche sono molto simili, bisogna vedere però come è affrontata la lettura di quel classico e poi ci vuole l’attenzione alla drammaturgia moderna, rispettando sempre gli spazi, «non si può portare tutto dappertutto».

«Siccome mi vogliono affidare anche la direzione del Gassman, io ho detto che voglio usarlo a maggio e giugno per una rassegna di teatro contemporaneo per compagnie giovani under 35, in modo da proporre quella drammaturgia che d’estate non può essere portata in piazza».

Un problema con la drammaturgia moderna però per Nisi consiste nel fatto che l’autore non vuole cambiare neanche una virgola del suo testo, altrimenti viene snaturato.

«Marivaux Shakespeare Genet Molière scrivevano e lavorando con gli attori trovavano la giusta cifra. Manca quella comunicazione che un tempo era alla base della creazione artistica».

Comunque importante rimane la diversificazione dell’offerta, cercando di capire cosa il pubblico vuole e di cosa ha bisogno, «dare in pasto al pubblico quello che vuoi tu, e questo vale anche al cinema, alla televisione, non è rispettoso».

Bisogna però aggiungere che «anche come attori siamo delle isole. Siamo divisi, il confronto non c’è, tutti pensano di essere dei grandi artisti. Puoi essere bravissimo ma se non apri quella finestra da cui può uscire qualcosa, mai nulla entrerà: l’empatia, la comunicazione, l’ascolto che manca anche nella vita normale a causa dei social, dei cellulari. Il teatro deve rimanere umano, quindi quando ho la possibilità di spegnere il cellulare per il pomeriggio di prove, sono felice, ma non tutti lo fanno. C’è gente che lavora con il cellulare in tasca, questo non aiuta. Il teatro deve essere un momento di libertà, un momento senza tempo legato a un passato in cui eravamo veramente più felici, più comunicativi e stavamo più insieme»

Nisi afferma di essere nostalgico di quello che è stato, «sono felice di averlo vissuto quel momento e vorrei che si ricreasse. Il teatro non è un’impresa, ha altre necessità, ha un altro linguaggio. È fatto di persone. Non può prescindere da questo. Dobbiamo fare gli interessi del teatro».

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