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REVIEW – UN AUTUNNO DI FUOCO

Alla Contrada, Vokotic e Nisi indagano il dramma universale del rapporto madre-figlio

di Erica Culiat

Mamme ansiose. Mamme odiate. Mamme idolatrate. Mamme egoiste. Mamme omicide, mamme mitizzate, mamme surrogate, mamme… Potremmo andare avanti all’infinito. La figura della mamma è un topos della letteratura, della poesia e della pittura – Lucian Freud ha trascorso più di quattromila ore a dipingere la sua! – a cui non si è sottratto neanche Eric Coble, drammaturgo anglo-americano che ne ha fatto una trilogia, The Alexandra Plays, dove gli interessava analizzare tre diversi momenti della vita di una donna.

Alla Contrada, Teatro Stabile di Trieste, abbiamo visto la terza parte, loro produzione, dal titolo The Velocity of Autumn, tradotto, come il testo, da Marco Casazza, Un autunno di fuoco, testo ispirato proprio alla anziana madre dell’autore. In questa pièce, firmata da Marcello Cotugno, l’attenzione è sul rapporto madri e figli. Novanta minuti che sono un Mayflower emotivo. Sul palcoscenico, Milena Vukotic e Maximilian Nisi.

La storia, banalmente riassunta, è questa. La protagonista, ormai anziana, si è barricata in casa, circondata da bottiglie molotov che minaccia di accendere facendo saltare tutto il condominio se i figli non la lasceranno in pace. Non vuole andare in un ospizio. Vuole stare a casa sua. Sarà il figlio più giovane, Chris, arrampicandosi su un albero – al centro della scena griffata Luigi Ferrigno – ed entrando dalla finestra, a far breccia sull’ostinazione della madre.

Le madri con più figli, in questo caso tre, amano ripetere che tutti sono amati in maniera uguale, ma siamo umani, una preferenza c’è sempre. E qui, man mano che il dialogo prosegue, capiamo che Chris è il figlio preferito. Non perché era il più piccolo, ma perché assomiglia alla mamma e con lei ha sempre condiviso l’interesse per l’arte, con le loro scampagnate a caccia del bello al Guggenheim.

Entrambi, non a caso, sono artisti. Entrambi sono scappati giovani da casa, Chris manca da vent’anni, non è neppure venuto al funerale del padre. Alexandra non ha più rivisto i suoi genitori, non sa neanche dare loro un volto da vecchi. Entrambi sono artisti frustrati. Lei perché ha dovuto occuparsi della famiglia, lui perché dopo un inizio promettente, ha deciso di dedicarsi alla sperimentazione e per mangiare ha dovuto lavorare. Prima come guida turistica e adesso come commesso in un negozio di scarpe in Nuovo Messico.

Chis non è più un ragazzo, è un uomo maturo; Alexandra è anziana. Un’anziana autosufficiente, «guarda come tengo bene la casa», con qualche vuoto di memoria qua e là, con i sapori per i cibi ormai ingrigiti, con dei blackout per i nomi propri, ricordarli è proprio un supplizio, con un corpo che s’è comportato bene portandola in giro in passato, ma che oggi le regala ogni mattino quando si si sveglia un nuovo dolore. Questo è il mondo della vecchiaia. Perché non può morire nella casa dove ha vissuto per quarantacinque anni?

«Mi piace stare sola. Sono brava a stare sola».

Un desiderio, probabilmente non confessato dalla maggior parte delle donne con famiglia, sacrosanto. Sapete qual è il regalo più grande che si possa fare loro? Lasciarle qualche ora da sole, altro che massaggi alla Spa o le Hogan ultimo modello! La famiglia è bella, ma impegnativa.

La solitudine, che può esser letta anche come un po’ di sano egoismo, è reclamata tanto più quando i doveri familiari si concludono, perché in questo caso il marito è morto e i figli se ne sono andati.

Coble, pur essendo uomo, lo ha capito e lo ha riportato sulla carta con leggerezza e ironia, mentre le battute si susseguono rapide come un lampo. E a restituirci questo ping pong verbale, Milena Vukotic, una Alexandra fragile, ma anche lucida, rabbiosa, spensierata, amorevole, che scivola da uno stato d’animo all’altro con una disinvoltura da attrice consumata e Maximiliam Nisi. Un figlio che s’impenna e sprofonda nell’impazienza, mentre i fratelli continuano a telefonargli, perché se non risolve la situazione, loro chiameranno la polizia per snidare da casa questa mamma ostinata.

E camminando, guardandosi in giro, Chris mappa la situazione e pensa. L’impazienza sfora nella rabbia e poi nella curiosità, nei ricordi comuni, nella complicità con una naturalezza che Nisi sa sempre calmierare. Una gamma di emozioni, esplicitate nelle espressioni e nei movimenti, sicuramente intrinseca agli attori, ma che va ascritta di sicuro anche al regista che ha fatto un bel lavoro di scavo psicologico, senza mai scivolare nel melodrammatico.

Il risultato è che lo spettatore ha occhi e orecchi solo per Chris e Alexandra. È stato un piacere vivere attraverso questi due attori una vicenda comune a molti o che potrebbe diventare tale. Abbiamo lasciato la nostra vita vera per un po’ in parcheggio, anche se qualcuno ahimè, continuava a tirare fuori il suo smartphone per controllare i messaggi. Forse, chissà, ne aspettava uno dalla propria madre o ne monitorava la posizione con il cerca amici! Comunque ha applaudito tanto come tutta la platea che ha scrosciato allegramente.

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