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REVIEW – BASABANCHI RÈPETE

Alessandro Fullin apre la stagione de La Contrada con le suore di Basabanchi Rèpete.

di Erica Culiat

Il Teatro Stabile di Trieste La Contrada, fin dalla sua fondazione, ha sempre lavorato su un repertorio in dialetto triestino, per cui ogni inizio di stagione è dedicato a una pièce in vernacolo. Dalle messe in scena delle commedie di Carpinteri & Faraguna, passando per Tullio Kezic, a Roberto Curci, Pierluigi Sabatti, Ugo Vicic fino al più recente Alessandro Fullin che nelle ultime stagioni ha firmato Sissi a Miramar, Ritorno a Miramar, Le Basabanchi e la scorsa settimana il sequel Basabanchi Rèpete, (tutti testi pubblicati da MGS Press!).

Il sipario si è alzato di nuovo scoprendo il convento di via Biasoletto, la casa delle Sorelle della Beata Pinza (dolce pasquale triestino), tutto affrescato in stile Alto Medioevo (la scena è firmata da Andrea Stanisci), dove viene illustrata la storia di Santa Tecla, la loro protettrice, perché la madre superiora visitando la Cappella degli Scrovegni a Padova ha voluto fare lo stesso a Trieste chiamando il pittore Duccio da Sgonico (Leonardo Zannier).

Dal periodo dell’occupazione nazista e dei bombardamenti alleati della “puntata” precedente, siamo passati al rivoluzionario ’68. Le sorelle sono indebitate per questa pazzia degli affreschi, sono rimaste in poche, Suor Camoma che ha il volto amato di Ariella Reggio, Suor Palacinka (Rosanna Bubola) che è rientrata in convento dopo aver provato l’ebbrezza del matrimonio e della maternità, la madre superiora (Alessandro Fullin che oltre a essere autore, è attore e regista), mentre da Livorno è arrivata Suor Sbonfa (Sara Zanni).

Specifichiamo che anche i nomi delle suore sono dialettali, camoma deriva dal greco e significa lenta, la palacinka è una crepe, dolce o salata, la cui origine si perde al tempo dei Romani, ma sono stati gli ungheresi a imbottirla di cioccolato o prosciutto e quindi a diffonderla in tutto l’impero austro-ungarico, sbonfa o bonfa, significa cicciona.

A risollevare le sorti finanziarie bussa al convento la troupe della Jugo Film in cerca di una location per girare un film “particolare”. Borut Rasnici (Franko Korosec), Goran Cevapcici (Valentino Pagliei) e il divo Tullio Teciapa (Francesco Godina). Anche qui, piccolo chiarimento, i rasnici sono degli spiedini di carne, i cevapcici è sempre carne variamente speziata in forma di polpetta allungata, teciapa, ti prende.

Questa a grosse linee la trama che, stavolta non ha la tessitura della precedente. È molto più esile, inframmezzata da alcuni brani musicali esplicitati dalla voce carezzevole di Zannier, ex Bandomat, una delle cover band più conosciute in Italia, che è a suo agio non solo come cantante, ma anche come attore.

La drammaturgia, spiace dirlo, è proprio anemica, non ha la solidità, per esempio, della trilogia triestina di Kezic o degli stessi testi di Carpinteri & Faraguna. Non a caso lo spettacolo dura un’ora e mezza scarsa con intervallo proprio perché ha poco da dire.

Si ride, per carità. Battute simpatiche squarciano la serata, la Reggio è una garanzia, la Reggio è la Contrada, la Reggio incarna la triestinità, pur essendo un’attrice apprezzata a livello nazionale e, ricordiamo, Maschera del Teatro Italiano qualche anno fa per Boeing Boeing.

Lo stesso Fullin che amiamo e seguiamo fin dai tempi di Gengis Kahn, ovvero il problema del tartaro e anche di ZeligCircus, soltanto vederlo nei panni della superiore, alto, dinoccolato, le labbra dipinte di rosso e quel sorriso alla Monna Lisa, ci mette di buon umore e lo vorremmo di più in scena e con più battute, però dall’autore di Come fidanzarsi con un uomo senza essere una donna, ci aspettavamo ben altro.

Ci chiediamo come sarà Suore nella tempesta, la versione italianizzata di Le Basabanchi, prodotta dallo stesso Fullin, con un’altro cast, ospite dal 21 febbraio al 10 marzo al Teatro Martinitt di Milano!

Di sicuro la comicità sarà più “nazionale” e l’azione, da Trieste, è spostata nella Torino del ’44! Purtroppo i testi originali sono difficilmente esportabili perché legati a situazioni contingenti. Per esempio nella messa in scena attuale viene raccontata attraverso gli affreschi la storia di Santa Tecla, uno dei dipinti è quello della santa vicino al tram di Opicina, dove si loda la sua pazienza nell’aspettarlo, e giù tutta la platea a ridere perché sappiamo che il tram è fermo da più di un anno per lavori. Fuori da Trieste, la battuta non sarebbe capita.

La regia è disinvolta, senza nessuna impennata, invece sono da tener d’occhio Francesco Godina, padrone del palcoscenico e del ruolo, altro diplomato della Nico Pepe di Udine che sforna tanti talenti come, un nome per tutti, Carrozzeria Orfeo, e anche Franko Korosec, traboccante nel ruolo del regista.

Certo è che per Fullin sfornare un libro all’anno non è semplice, la sua vena ironica c’è, ma manca carne al fuoco; insomma bisogna mettere a riposare ogni tanto Thalia!. Forse una soluzione per continuare con le produzioni dialettali in futuro potrebbe essere far tradurre in triestino, magari da Fullin stesso, un testo in lingua italiana, un po’ come faceva tanti anni fa Gilberto Govi che aveva a disposizione il fior fiore degli autori italiani di allora da Sabatino Lopez a Emanuele Canesi e poi lui li riscriveva in genovese.

Concludendo: compagnia affiatata che recita divertendosi. Pubblico ridanciano con l’applauso sempre pronto in tasca. Insomma come esordio pare che la Contrada abbia fatto proprio centro.

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