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REVIEW – NUOVO CINE SWAROVSKY

Successo per Nuovo Cine Swarovsky, l’omaggio a Trieste firmato da Davide Calabrese per l’apertura de La Contrada.

di Erica Culiat

Ottobre non è solo il mese delle castagne, ma anche dei teatri o meglio del debutto delle loro stagioni 2019/2020. Per la prosa nello stesso giorno, il 18, hanno alzato il sipario nel capoluogo giuliano lo Stabile Sloveno e La Contrada-Teatro Stabile di Trieste con Nuovo Cine Swarovsky, un musical vaudeville di Davide Calabrese. Suoi, testo e regia.

Calabrese è uno dei cinque Oblivion che, assieme a Lorenzo Scuda, scrive i pezzi e li interpreta. La mano di Calabrese nella nuova produzione del teatro è decisamente riconoscibile.

Nella regia. Impeccabile. Nulla è lasciato al caso. Tempi serrati. Rigorosa, precisa, senza sbavature.

Nel testo. Lui è un giocoliere della parola, abile nei calembour, a volte storpiando le parole a volte facendo traduzioni da un inglese italianizzato tradotto a sua volta nel dialetto triestino. Sì, perché la Contrada, è una tradizione, apre sempre il suo cartellone con una produzione dialettale.

Negli anni abbiamo visto spettacoli di Carpinteri-Faraguna – di cui ricordiamo un cavallo di battaglia per decenni della Contrada, Due paia di calze di seta di Vienna, che era stato rivisitato nel linguaggio e nella tipologia dei personaggi da quel vaudeville di Alexander Bisson e Mille Mars, Le sorprese del divorzio (1888) -, Tullio Kezic, Roberto Damiani, Claudio Grisancich, Pino Roveredo, Pierluigi Sabatti, Roberto Curci fino al più recente Alessandro Fullin e oggi questo di Davide Calabrese.

Due ore allegre e spensierate che il pubblico ha applaudito, molto Oblivion. Tanti numeri che si susseguono, la partecipazione degli spettatori che qui devono suggerire alcune parole dialettali desuete, tante nel corso degli anni sono proprio sparite, ma anche il titolo dello spettacolo che nella finzione l’associazione dovrà mettere in scena, i nomi dei personaggi… aspetti che cambiano a ogni replica.

Unico appunto: la storia ha poca forza drammaturgica, per fortuna, i sei protagonisti sono dinamite pura.

Il plot, in poche parole, è questo: il dialetto triestino è in pericolo, nessuno lo parla più, quindi si mette di mezzo la politica. Spazi teatrali gratuiti a chi si impegnerà a divulgare il triestino. Ecco quindi che un’associazione culturale formata da Toio (Adriano Giraldi), Ricki, il figlio (Giacomo Segulia), Iole, l’ex moglie (Marzia Postogna), la mamma, la signora Debegnac (Ariella Reggio) e la badante Svetlana (Daniela Gattorno), deciderà di mettersi al lavoro e tentare l’avventura. Perché il Comune ha deciso di affidare proprio a questa associazione la gestione di un teatro, un tempo cinema, il Cristallo (che è poi la reale sede del Teatro Orazio Bobbio), oggi, nel musical vaudeville, Nuovo Cine Swarovski.

Calabrese sparge qua e là quel modo di dire dialettale che i triestini pensano si usi anche nell’italiano corrente, del tipo “vado ad aprire la tv” (con il cacciavite?) o l’ormai proverbiale “volentieri” (se in un negozio chiedete qualcosa e la commessa vi risponde volentieri, non significa, sì, volentieri adesso ve lo mostro, ma volentieri sta per non ce l’ho!).

Leo Zannier, un bengala a ogni sua apparizione, è quello che butta l’amo al pubblico, lo intrattiene e balla assieme al resto del cast sulle coreografie di Alberta Izzo e canta, sempre in maniera sfavillante i brani arrangiati da Fabio Valdemarin, dei Sardoni Barcolani Vivi, gruppo musicale triestino – i sardoni sono le alici e Barcola è il lungomare, un marciapiede, dove gli autoctoni prendono il sole o come scrive Diego Manna “spalmed on zement”-.

Peccato che le musiche erano registrate, anziché dal vivo!

Il cast, piccolo e molto affiatato, ha trasmesso il proprio divertimento. Da un Giraldi, portuale in pensione, che ruggisce contro la badante della madre, con quello sguardo un po’ stralunato e un po’ corrucciato, alla Postogna, ex moglie sempre in tiro, un accumulo di strafalcioni semantici, ma sorridente e sempre brillante nel canto, dalla Gattorno badante dell’Est, con quel fare strascicato ma pragmatico, innamorata e ricambiata proprio da chi non la sopportava a Giacomo Seguglia, il nipote della Débegnac, che cerca di distribuire pezzetti di buonsenso a tutta la famiglia per far decollare la sera inaugurale con Shakira. E ovviamente Ariella Reggio che è la Contrada, una Débegnac che vortica tra i personaggi incastonati nelle scene di Andrea Stanisci, un bric-à-brac fantasioso di attrezzeria abbandonata, ballando e stilettando tutti a parole.

Ai triestini piace vedersi rappresentati in maniera così bonaria e come alla prima, sicuramente fino al 31 ottobre la pièce sarà salutata da tanti applausi, così come in regione, il 4 novembre a Monfalcone, il 5 a Grado e il 6 a Gradisca. D’altra parte che cosa scriveva Svevo?
«La nostra vita ha tutt’altro aspetto se detta nel nostro dialetto».

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