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REVIEW – CHE DISASTRO DI COMMEDIA

Che disastro di commedia: una macchina perfetta!

Che disastro di commedia (Credit: uff. st.) – D. GIAMMUSSO

di Erica Culiat

Un finale da Fantasma dell’Opera, con il lampadario che precipita al suolo e pubblico che frigge d’entusiasmo. È una parodia del Phantom? Certo che no. Si tratta soltanto di Che disastro di commedia – titolo originale The Play that Goes Wrong – di Jonathan Sayer, Henry Shields ed Henry Lewis.

L’originale è in scena nel West End da quattro anni, fino al prossimo aprile, qualche premio, un Olivier, un WhatOnStage, un BroadwayWorld Uk, un Molière, un Tony (per la miglior scenografia) e un Drama Desk, tradotto e rappresentato in oltre venti Paesi, dalla Cina al Sud Africa, dall’India alla Slovenia.

Insomma uno spettacolo nato nel 2012 all’Old Red Lion, un pub londinese – sessanta spettatori per volta, una scena costruita dagli stessi attori, ex allievi della London Academy of Music & Dramatic Art, organizzati nella compagnia Mischief Theatre – che ha avuto un successo stellare.

Il regista, Mark Bell aveva lavorato con loro alla LAMDA e molte situazioni della commedia sono desunte proprio dal suo lavoro fatto all’accademia

La commedia è arrivata anche in Italia, prodotta, bravi, da AB Management, e tradotta dal triestino Enrico Luttmann.

Il 12 dicembre abbiamo assistito al Teatro La Contrada di Trieste alla 101esima replica. Stesso regista inglese, il Bell, che ha messo in riga la compagnia.

Il testo basta e avanza, finalmente niente battute all’italiana fuori copione, non si svapora in ammiccamenti superflui. Gli attori? Inzuppati di bravura. Sfarzosi. Non manca niente. Dizione precisa. Ritmo. Tempi teatrali blindati. Prestanza fisica da slapstick. Non cavilliamo. Citiamoli.

Luca Basile, fratello dell’assassinato e giardiniere; Marco Zordan (regista e ispettore); Stefania Autuori (direttrice di scena e all’uopo, Florence); Viviana Colais (Florence); Alessandro Marverti (il maggiordomo); Gabriele Pignotta (Charles, l’assassinato); Valerio Di Benedetto (tecnico del suono); Matteo Cirillo (Thomas, amico di Charles e fratello di Florence).

Location: una casa di campagna sullo stile di Trappola per topi di Agatha Christie. Titolo del thriller messo in scena dalla scalcagnata compagnia di Santa Eufrasia da Piedimonte (nell’originale la Cornley Polytechnic, o University, Drama Society), Assassinio ad Haversham Manor.

Preparatevi. Gli spettatori impiglieranno lo sguardo sì nei meccanismi più grossolani di un giallo – sottolineati con stacchi musicali e luci da brivido e posture da far invidia ad Alamanno Morelli – un giallo però che diventa una commedia degli errori, un decalogo di tutto quello che non deve succedere in scena.

Già l’esordio non è dei migliori con la direttrice di scena che chiama uno spettatore ad aiutarla a fissare una mensola, anzi, no. Ancora prima, entrando a teatro una ragazzo azzimato affianca le maschere salutando educatamente, ragazzo che si scoprirà essere il regista dello spettacolo.

Marco Zordan esternerà un soliloquio enumerando tutte le sventure della compagnia, invece di introdurre Assassinio ad Haversham Manor e poi, ecco, il vero inizio con la richiesta d’aiuto per aggiustare la scena.
Gli occhi nuotano nello stupore. Le porte non si aprono, i quadri scivolano giù dal muro, l’ascensore rumoreggia in maniera inquietante… ma questo è niente. Battute sbagliate. Battute mimate stile Oblivion. Battute mitragliate senza sosta a ripetizione finché non ci si ricorda quella giusta, battute pronunciate con aplomb british nonostante le parole non corrispondano per esempio agli oggetti richiesti nella battuta stessa – in questo il maggiordomo è sublime -.

La prima attrice, una Colais che luccica in pose vamp, passa da uno svenimento all’altro e la direttrice di scena che la sostituisce salmodia le battute leggendole in maniera elementare, salvo poi azzuffarsi con Florence, pur di rimanere in scena.

Thomas, urbanamente corretto, anche se alla fine si scoprirà che non è così irreprensibile, postura inglese, occhi un po’ da Gorgone, è di una smisurata agilità quando un pezzo di scena pensile crollerà.

Il sorriso sornione, da prima pagina, di Basile quando interpreta Cecil è la ciliegina per quella recitazione sopra le righe, ma sempre credibile.

Mettiamoci anche un tecnico del suono distratto a cercare il suo cd dei Duran Duran, a chattare o a farsi i selfie e capirete che questo non aiuta lo svolgersi della commedia.

In questo meccanismo che si inceppa di continuo, in realtà tutto è studiato nei minimi particolari. La commedia è una macchina da guerra, dove non sono concesse distrazioni o titubanze da parte degli attori che, come abbiamo già sottolineato, sono sfacciatamente bravi.

Siccome lo spettacolo è in tour fino al 30 marzo 2019, chiude a Bologna, non perdetelo. Sarete annientati dalle vostre risate.

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