SPETTACOLO SOSFISTICATO ED INTRIGANTE, SENZA ESSERE LEZIOSO.
di Erica Culiat
Più ascoltavi Roberto Citran e Chiara Caselli recitare Le ho mai raccontato del vento del Nord, più ti solleticava l’idea di comprare e leggere il best seller dell’austriaco Daniel Glattauer da cui è tratta la pièce teatrale. Appena una manciata di repliche, adesso a dicembre, dopo il debutto estivo al Napoli Teatro Festival Italia. A Trieste, inserito nel cartellone altripercorsi dello Stabile del Friuli Venezia Giulia, ha fatto tappa per tre serate al Teatro Miela (8-10 dicembre). Sofisticata, senza essere leziosa, la scrittura. Intrigante la storia. Ci si può innamorare senza essersi mai visti? Tra Emmi Rothner e Leo Leike, l’incontro è virtuale. Si conoscono via e-mail. Per sbaglio. Emmi vuole disdire l’abbonamento a una rivista e non digita correttamente l’indirizzo scrivendo più volte a Leo. Da quando arriverà la risposta di Leo, s’innescherà questo lungo rapporto epistolare, fatto di scaramucce, di ping pong verbali dove i due protagonisti si stuzzicano, cercano di indovinare chi è l’altro, scavando nella curiosità reciproca. Lei, madre e sposa felice, è ironica, spigliata nel suo battibecco linguistico, anche se la Caselli, per una buona metà dello spettacolo, oscilla tra l’annoiato e l’affettato – forse l’impostazione registica di Paolo Valerio, forse le poche repliche all’attivo – diventando vera e credibile, verso la fine. Leo, invece, è pacato, un po’ ombroso, un po’ sentenzioso, incarnato da Roberto Citran, sempre misurato nel personaggio. Leo stava aspettando una lettera dalla sua donna, ormai ex, quando la vita gli viene alluvionata dalla presenza/ombra di Emmi. Un rapporto che è la cifra del nostro tempo. Più facile, più eccitante conversare attraverso un monitor che ti permette di immaginare l’altro, tanto poi sappiamo che fantasticheria e realtà non vanno quasi mai a braccetto.
Il dialogo tra i due, contrappuntato dalla musica evocativa di Andrea Cipriani, è condotto con una leggerezza che ti prende, ma nello stesso tempo riflette l’inconsistenza di un rapporto che forse potrebbe nascere e crescere, ma si nutre solo di parole e non di azioni. Il potere della parola è grande. Una volta i condottieri gridavano “all’attacco” e intere città venivano spazzate via. Chiunque di noi può essere Emmi o Leo. Puoi sorridere alle loro battute. Puoi irritarti o emozionarti, mentre continui a chiederti, ma alla fine si incontreranno? È sconsolante vedersi così, su quel palcoscenico. Tanta poesia verbale, ma poca sostanza di carne e passione. Mi piacerebbe, ma poi, arrivati al dunque, è meglio ripensarci, tirarsi indietro. Infatti la decisione finale porterà a una rottura di quel flusso costante di e-mail. Oggi noi siamo così. Stanchezza. Noia. La fatica di mettersi in gioco. La novità inebriante di un altro che mi ascolta e sul quale posso indirizzare il flusso dei miei pensieri senza la paura di dire troppo o troppo poco. L
Frase logora, il teatro specchio dei nostri tempi. È vero, ecco perché ci siamo bevuti ogni parola dello spettacolo, nonostante la sua lentezza, e perché ci compreremo il romanzo e magari anche il seguito. Di sicuro però lo intercaleremo con le lettere di Isadora Duncan e Gordon Craig o con quelle di John Keats e Fanny Brawne, dove la parola è vita vissuta senza tanti ma e se. Come il biglietto epigrafico del Principe de Joinville che nel 1840 scriveva all’attrice Rachel Felix, vedendola la prima volta: «Dove? Quando? Quanto?» e lei rispondeva: «Da voi. Stanotte. Senza limiti».
Un po’ spicci, ma almeno loro, la vita non la pensavano. La vivevano.