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REVIEW – I CANCELLATI

cancellatiI cancellati: un colpo di teatro che non può lasciare indifferente

6di Erica Culiat

Siamo, e mi ci metto anch’io in questo nos maiestatis, troppo abituati a sederci, cervello in folle, e guardare la rappresentazione di turno. Ma l’altra sera (9 marzo) allo Stabile Sloveno occhi orecchie  e sensi all’erta. Già entrando in sala.

Sulla porta un attore vestito da soldato chiedeva la tua carta d’identità. Ma dobbiamo consegnarla, veramente? Boh! Anche no. Prendi posto un po’ perplessa. Poi un po’ più avanti i finti soldati passano con un bastone alla cui estremità penzola un sacchetto rosso. Come in Chiesa secoli fa. Ma fanno sul serio? Diamo un po’ di soldi? E nella titubanza intanto il vicino scuce cinque euro e vedi più di qualche mano che si allunga. Alla fine i finti soldati hanno raccolto 471 euro e qualche spicciolo in yen e kune croate. Ma non è ancora finita.

Le carte d’identità e le patenti consegnate all’inizio sono tutte allineate sul palcoscenico e sempre i finti soldati chiedono al possessore se vuole che venga tagliata. In molti hanno detto di sì. Un colpo di forbice e via. Sei cancellato. Perché l’altra sera di cancellati si parlava. I 25.671 del titolo.

Chi sono i cancellati –izbrisani in sloveno-? Sono 25.671 cittadini ex jugoslavi che nel 1992 il primo governo della neo indipendente repubblica di Slovenia ha rimosso dal registro dei residenti stabili. Bisognava regolare il proprio status di cittadinanza entro sei mesi dall’indipendenza. Famiglie che risiedevano in Slovenia da vent’anni, con i figli nati lì, non si sono preoccupate, non pensavano fosse così grave non gridare la propria appartenenza a quello Stato. La vita per un po’ è proseguita come sempre, tranquillamente, ma quando queste persone hanno dovuto espletare qualche semplice pratica si sono accorte di aver perso qualsiasi diritto. Anche quello riconosciuto ai residenti stranieri. Il diritto al lavoro. Il diritto all’assistenza sociale e sanitaria. Il diritto di essere intestatario di un conto corrente. Insomma da cittadini con residenza permanente sono diventati dei fantasmi. Tutto è avvenuto di nascosto. Ci sono stati i moniti dal Consiglio d’Europa, la corte costituzionale slovena appena nel 1999 ha dichiarato illegale la cancellazione. Oggi è ancora aperto un contenzioso sui risarcimenti imposti dalla Corte europea per i diritti dell’uomo. La Chiesa invece non ha mai mosso un dito al riguardo.

izbrisani

E siccome il teatro è lo specchio dei tempi questo fatto di cronaca, questa violazione dei diritti umani è diventato uno spettacolo prodotto dal Teatro di Kranj che ha vinto un sacco di premi, tra cui anche quello dell’Associazione dei critici teatrali sloveni.

In scena l’ha messo Oliver Frljic (1976), origine bosniaca, formazione croata, oggi sovrintendente del Teatro Nazionale di Fiume. Per capirci, è considerato la Sarah Kane dei Balcani. Mette il dito nella piaga e ti sbatte in faccia argomenti scomodi.
Come quel Maledetto sia il traditore della sua patria! sul processo di dissoluzione della ex Jugoslavia che due anni fa era stato ospite sia al Mittelfest di Cividale sia a Fabbrica Europa (Firenze).

Il suo è un teatro militante, dallo stile radicale che ti dà una bella scossa emotiva. Che poi la messa in scena non fosse proprio curata come di solito sanno fare e anche gli attori – Vesna Jevnikar, Darja Reichman, Miha Rodman, Vesna Slapar, Aljosa Ternovsek, Borut Veselko e Matjaz Visnar – gridassero un po’ troppo e interpretassero molto meno, è passato in secondo piano perché l’attenzione era tutta rivolta all’argomento e a come veniva presentato.

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Pubblico che diventa attore emotivamente parlando perché è chiamato dal drammaturgo a vivere in prima persona la vicenda. Perché poi anche chi non ha consegnato la carta d’identità, anche chi non ha versato l’obolo, la cifra raccolta viene girata all’associazione dei cancellati, se ne torna a casa con un senso di malessere e anche di vergogna.

Cancellare la possibilità di identificarsi è la peggior perdita, viene detto subito all’inizio; il senso di appartenenza ci rende umani. Siamo nudi senza questo. Come Maja Franceskin, Bojan Stojanov e Tina Vlasic, tre veri cancellati che alla fine vengono fatti entrare sul palcoscenico. Stanno lì, davanti a tutti, silenziosi. La camicia bianca della ragazza giovane si solleva come se il respiro fosse affannoso. Una signora davanti a me si alza. Va verso di loro. Li abbraccia uno a uno e piange e così si forma spontaneamente una coda di persone che fa lo stesso.

Colpo di teatro che non può lasciare indifferente. È lì, l’hai vissuto o subìto ed era questo l’obiettivo, pienamente riuscito, di Frljic.

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