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ARCHI-SCENICI. BENEDETTA TAGLIABUE.

Benedetta Tagliabue EMBT: la struttura  adamantina per Merce Cunningham

di Silvia Cattiodoro

Aprile 2009. Villa Necchi, riaperta da pochi mesi grazie al FAI, ospitava la mostra dei disegni di architetti grazie all’asta dei quali si era reso possibile il restauro della meravigliosa dimora progettata negli anni ’30 da Piero Portaluppi (“La mano dell’architetto”, 18 aprile – 10 maggio 2009).

I 400 segni si affidavano alle tecniche e ai supporti più diversi, dal pennino all’acquerello, dalla carta velina al post-it: tra il fascino grafico di Aymonino e la poesia di Canali, mi colpì “Struttura” di Benedetta Tagliabue, milanese laureata a Venezia, storica guida dello studio spagnolo EMBT dopo la scomparsa del compagno Eric Miralles nel 2000.

La didascalia autografa recitava: «Modello per la scenografia per i 90 anni di Merce Cunningham al BAM di N.Y., 16.04.2009» svelando uno spettacolo di balletto che aveva debuttato quasi in contemporanea con la mostra, ma di cui in Europa non si era sentito nulla.

Una rapida ricerca sulla programmazione del BAM mi indicò che il titolo dello spettacolo era “Nearly Ninety”, non “Struttura” come avevo inizialmente creduto, e celebrava i 90 anni del grande coreografo Merce Cunningham, uno dei più influenti artisti del XX secolo, allievo di Marta Graham e fondatore della Post Modern Dance. Era lui ad aver prospettato sotto forma di coreografia i valori della modernità futura quali il rapporto diretto ma non asservito del corpo con le tecnologie, l’inserimento dei mass media nel dialogo con l’arte e soprattutto il concetto di istantaneità.

Tutte queste intenzioni si ritrovano nel procedere dello spettacolo e sono state condivise dal team creativo nonostante coreografo, musicisti, architetto, costumista e video-artist in fase di progetto abbiano lavorato separatamente e, dopo i primi incontri teorici, si siano confrontati solo nel momento conclusivo.

Tagliabue aveva probabilmente inviato per l’asta benefica degli schizzi di quando l’idea di scenografia non era che un abbozzo – e per questo il titolo del progetto non corrisponde a quello dello spettacolo – ma già vi si poteva distinguere perfettamente l’idea progettuale. Il suo dono di compleanno al coreografo era un enorme scultura-diamante che arricchiva lo spettacolo, benché il critico Alastair Macaulay lo avesse definito dalle pagine del New York Times «un brutto incrocio fantascientifico tra i lavori di Marcel Duchamp e una nave spaziale di Star Wars».

Memore dell’esperienza fatta nel 2000 con la scenografia dello spettacolo “D. Q. Don Quixote in Barcelona” per la Fura del Baus – altrettanto oggetto di attacchi feroci da una critica talvolta immotivatamente reazionaria – Benedetta Tagliabue progettò un oggetto abitabile in metallo, nuovamente riproposto poi anche per la “Caseta de Bendetta”, sorta di cabina-cinema individuale realizzata in collaborazione con il regista Bigas Luna per la proiezione del film “Collar de moscas” tratto da un testo di Misia Sert, zia del famoso architetto modernista Losè Luis Sert.

Le linee costruttive erano volutamente a vista, come una sorta di roccia in wireframe. I tre livelli di questa sorta di torre d’acciaio, collegati da scale, erano occupati ciascuno da uno o più musicisti: i Sonic Youth, il chitarrista dei Led Zeppelin John Paul Jones e il violinista compositore giapponese Takehisa Kosugi, storico membro di Fluxus, che insieme avevano creato le musiche per lo spettacolo.

Al livello intermedio si innestava la piattaforma triangolare dedicata agli assoli di danza di una dei ballerini della Merce Cunningham Dance Company. Quando la coreografia prevedeva invece scene corali la piattaforma veniva richiusa come un ponte levatoio mettendo in luce la stereometria dell’intera struttura.

La scelta di avere una scenografia completamente mobile e flessibile che poteva ruotare a seconda delle necessità in 4 posizioni differenti, determinando altrettanti punti di vista, nasceva dall’esigenza del coreografo e dal suo lavoro sul concetto di casualità e sull’improvvisazione come metodo alternativo alla ripetizione: non vi era alcuna idea precostituita su come lo spettacolo – che non ha infatti una trama precisa, ma è composto da 4 movimenti in cui si alternano assoli a parti corali – si sarebbe evoluto.

Per lo stesso motivo la scenografia prevedeva la possibilità di un’ascesa attraverso le scale sfruttando non solo il piano del palcoscenico ma anche la verticalità, dimensione non scontata quando si tratta di architetture sceniche per balletto a causa delle indubbie difficoltà che essa determina.

La torre era parzialmente rivestita di un tessuto traslucido e iridescente che faceva della struttura, a seconda della luce, un grande diamante o una roccia affilata per la proiezione degli affascinanti video dell’artista catalano Franc Aleu.

Se nella prima parte dello spettacolo la struttura restava nella semi oscurità o nei flash della luce intermittente come un incubo incombente sui danzatori, a poco a poco essa avanzava inserendosi letteralmente nella coreografia che si concentra sull’interazione umana e sull’indipendenza (una delle parti più significative era il passo a due, in cui i protagonisti si incontrano di spalle o lateralmente, senza mai fronteggiarsi, sovvertendo le consuetudini di questa tipologia).

I costumi realizzati per l’occasione da Romeo Gigli, richiamavano da un lato la nascita della danza contemporanea ispirandosi a “L’après-midi d’un faune” interpretato da Nijinsky, ma dichiaravano anche con ironia l’informalità dell’evento presentando nell’ultimo movimento grandi mazzi di fiori blu dipinti sul petto dei ballerini in omaggio al compleanno di Mr. Cunningham.

Certo, il brivido di “Nearly Ninety” – che Macaulay definì comunque «una delle più poetiche cornucopie di Mr. Cunningham» nonostante le critiche al progetto scenico – sta nell’abilità, nell’inventiva e nel flusso della sua danza. E nella bellezza dei suoi movimenti: il resto sembra quasi marginale confermandoci che, come diceva il coreografo, la danza ha raggiunto l’autonomia per fronteggiare le altre arti da pari a pari.

Solo tre mesi più tardi, il 26 luglio 2009 Merce Cunningham lasciò il mondo dell’arte orfano di quella vivacità e maturità nella ricerca che aveva dimostrato con “Nearly Ninety”. A Benedetta Tagliabue l’onore di aver accompagnato il maestro con una gemma architettonica nella sua ultima danza.

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