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REVIEW – BEDDA MAKI

Bedda Maki: una commedia al fosforo

di Lucio Leone

È giunto alla quinta edizione il concorso “Una Commedia in cerca d’autore“, che premia opere inedite di giovani drammaturghi (fino ai 40 anni di età) grazie agli sforzi congiunti del Teatro Martinitt di Milano e quello De’ Servi di Roma.

Il termine ultimo per presentare il proprio lavoro è il prossimo 24 aprile (i riferimenti per partecipare sono alla pagina ufficiale della manifestazione che si può trovare QUI) e, nel frattempo, anche quest’anno è arrivato il momento di applaudire la vincitrice dello scorso anno.

Central Palc del resto aveva già recensito il titolo che aveva vinto l’edizione 2015 (qui la nostra review) ritenendo questa iniziativa di promozione e salvaguardia della commedia brillante una delle più lungimiranti tra quelle offerte dall’attuale panorama teatrale italiano che ha disperatamente bisogno di nuovi autori.

Bedda Maki (questo è il titolo incoronato nel 2016) ha dunque debuttato anche a Milano lo scorso 23 febbraio e qui resterà in scena per tre settimane, prima di affrontare una tournée che lo porterà a Torino ed in seguito in numerose altre piazze.

Scritta a 4 mani da Marco Di Stefano e Chiara Boscaro è, solo apparentemente, la storia di una piccola trattoria di cucina regionale aperta all’ombra della Madunina da un immigrato siciliano che deve fare i conti con una clientela che latita, una cameriera affezionata e bisbetica, un figlio naturalizzato meneghino che ha cambiato il suo nome da Calogero in Kalòs per impressionare i propri compagni d’università, e soprattutto con la proposta del rampollo di casa di mascherare i capisaldi della gastronomia isolana facendoli passare per piatti sushi-fusion, così da attirare una nuova generazione di clienti.

Ecco quindi che il carpaccio di tonno diventa “sashimi di Taormina”, gli spaghettoni allo scoglio si trasformano -sul menù, non certo in cucina- in “udon di grano duro”, lo zibibbo viene chiamato “sakè di Lampedusa” (più o meno, il critico ammette di aver riso molto in sala ma di non aver preso appunti) e, soprattutto, vede la luce il “Bedda Maki”, che usa la melanzana fritta al posto dell’alga nori e finirà per dare il nome al nuovo locale nato sulle ceneri della “Tonnara di Toni”.

Il meccanismo comico è evidente: l’incontro-scontro tra due mentalità, due mondi, due generazioni, mettendo in luce pregi e difetti di ogni singolo elemento grazie alla comparazione.

Di Stefano e Boscaro sono stati capaci di dosare gli elementi con molta grazia ed ironia, costruendo una realtà teatrale che funziona perché permette a ognuno di noi, amante in egual misura di sushi e arancini col ragù, di riconoscersi nelle tipologie umane raccontate. I dialoghi sono intelligenti e briosi, e soprattutto possono contare sulla regia essenziale e di grande mestiere di Roberto Marafante che ha saputo costruire dinamiche solide negli scambi ed un ritmo che segue ed asseconda la drammaturgia, aiutando i cinque validi attori nel rendere verosimili anche le battute più teatrali.

Roberta Azzarone, Lorenzo Parrotto e Arturo Scognamiglio, insieme ai due fuoriclasse Caterina Gramaglia e Franco Mirabella, compongono un cast che, come detto, è un piacere vedere all’opera e per cui gli applausi a scena aperta non si contavano più.

Al centro dell’ispirazione della commedia, leggera ma non banale, è comunque e soprattutto il concetto di cambiamento, insito nella vita, universale com’è. Adattarsi per sopravvivere o, meglio, come diceva Giuseppe Tomasi di Lampedusa genialmente inserito in uno dei momenti topici dello spettacolo, “tutto deve cambiare affinché tutto resti come prima“. Valeva allora e vale anche oggi.

Unica piccola, marginale annotazione è che in un testo già così divertente, riuscito e maturo, i personaggi del figlio e della di lui fidanzata algida (o “stitica”, ma in questo caso si tratta di sinonimi) sono purtroppo più funzionali allo sviluppo della storia che approfonditi, e di conseguenza paiono forzature, dal punto di vista drammaturgico, le loro prese di coscienza e relative ammende. Un pelo di cinismo in più avrebbe forse aggiunto del pepe… oh, pardon, volevo dire del wasabi al copione.

Ma è un peccato assolutamente veniale, visto che un autore dovrebbe sempre considerare che le commedie, perché valga la pena siano ricordate, dopo aver fatto ridere devono anche far pensare. E qui si ride, ci si ritrova, si considerano le cose in prospettiva. La comicità muscolare non fa bene al cervello, la comicità di Bedda Maki ha invece sicuramente la stessa quantità di fosforo del pesce del quale parla.

Che sia sashimi o carpaccio di spada poco importa, che tanto il fosforo… sempre quello è.

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