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EVITALIA!

di Erica Culliat

Oltre novemila presenze per otto recite. E sarebbero state di più, se a Trieste, città di mare, il sole non avesse irretito il pubblico. Una sostanziosa giornata in spiaggia è più appetibile di una sala teatrale buia. Anche se in quella sala buia danno Evita, uno dei capolavori di Andrew Lloyd Webber. Ma il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia non si lamenta. Tutto lo staff organizzativo è più che soddisfatto dell’esito di questo spettacolo, come affluenza di pubblico e come incasso. Soddisfatti anche il responsabile delle produzioni della Bill Kenwright, David Stothard, presente alla prima lo scorso 8 giugno, «bellissimo teatro e bellissimo risultato di pubblico», e il direttore d’orchestra nonché arrangiatore, David Steadman che ha aggiunto, «non abbiamo mai ricevuto così tanti applausi! La gente si fermava in sala ad applaudire finchè anche l’orchestra non usciva». E così a Trieste si è consumata la prima nazionale (dalla fredda Albione sono arrivati anche lo scenografo dello spettacolo, Matthew Wright e il general mangar della David Ian Productions, una delle principali produzioni del West End, Max Finbow), di questo famosissimo musical prodotto da Kenwright, anche regista assieme a Bob Tomson (regia cinematografica), in collaborazione con la Really Useful Group e la Great Leap Forward. Edizione originale inglese che poi è migrata a Firenze per l’Opera Festival e al Ravenna Festival cheap jordans on sale. Venti artisti in scena, dieci elementi d’orchestra e trenta ragazzini triestini, divisi in due gruppi che si alternavano, selezionati in loco per Santa Evita (a Ravenna invece è stato preso un coro). Alla fine di ogni replica, gente con il sorriso a trentadue denti. Tanto ma tanto pubblico giovane. Nel foyer, commenti, tipo, «entusiasmante», «emozionante», «che festa!», «ma perché i musical italiani non toccano così?»…  Davide Calabrese degli Oblivion (ma anche tutto il quintetto non ha perso l’occasione di assistere allo spettacolo) è venuto a vederlo quattro volte, Franco Travaglio due. Si è dunque chiuso in bellezza il cartellone Musical/Grandi Eventi del Politeama Rossetti che, con Thriller Live, Chicago e West Side Story, ha in certo senso creato un ciclo d’eccellenza puntando sulle produzioni internazionali, spesso proposte in esclusiva per l’Italia. Che dire di questo evergreen della coppia Webber/Rice? Rimandando a wikipedia o ancora meglio, così i ragazzi prendono confidenza con i libri, al Dizionario del Musical di Gabriele Bonsignori per tutte le note di carattere storico, vogliamo innanzitutto sottolineare l’attualità di questo musical, forse il più celebre di quel filone che si interessava alla vita di personaggi storici (in passato ricordiamo, ma è stato un flop, quello su Martin Luter King e in tempi più recenti i musical su Elisabeth, Ludwig, Rudolf, Marie Antoniette). Sempre in sala più di qualcuno ha commentato, «ma questa Evita è come il nostro premier!».

Le similitudini svaporano sotto gli occhi. Eva Duarte per esempio capì l’importanza dei mass media, sfruttando a proprio vantaggio soprattutto la radio, per tutta la sua non lunga vita. Poi c’è il modo in cui curò la sua immagine attraverso la stampa (e ognuno lo fa nella propria maniera). Lei per esempio si definiva una donna tranquilla, amante della famiglia, del valzer e dei film sentimentali. Donna fedele agli odi, ma anche agli affetti, sistemò tutta la sua famiglia in posti di rilievo cheap air jordan retro shoes. Insomma, la Duarte fu una superlativa press agent di se stessa, dando il là a un culto della personalità che le sarebbe sopravvissuto a lungo. E per mantenere intatta la fede nei suoi seguaci, 30 anni milioni di contadini infatti la veneravano come una santa, nel giro di cinque anni chiuse un centinaio tra quotidiani e settimanali (la nostra spada di Damocle invece è la legge-Bavaglio) dove scrivevano i suoi super-critici, come li chiamava lei bonariamente. Una battuta di Oh, What a Circus cantata a inizio spettacolo dal Che rimbalza pericolosamente vivida alle nostre orecchie «… instead of government we had a stage, instead of ideas, a prima donna’s rage…», «al posto di un governo abbiamo un palcoscenico, al posto delle idee abbiamo le isterie di una primadonna». Ma le battute del musical a dire il vero accontentano un po’ tutti. In A new Argentina si canta, «How annoying that they have to fight elections for their cause the incovenience, having to get a majority…». (che detto in soldoni, è fastidioso per vincere le elezioni avere la maggioranza). E ancora: la scintilla fatale tra Eva Duarte e il colonnello Juan Peron sapete dove scoccò? A una raccolta di fondi per le vittime di un terremoto che nel 1944 distrusse la città di San Juan. Oh, what a circus, oh what a show Italia!

Il pubblico comunque ha applaudito, anzi ha tifato, soprattutto la bravura del cast. Nessuno degli attori è stato inferiore all’altro per capacità vocali e interpretative. Ci ha colpiti molto il modo di recitare, vero, appassionato, espressivo – ricordiamo che questo musical è interamente cantato -. Abigail Jaye per esempio è un’Evita dura, sicura nell’obiettivo che si è prefissa e via via che le viene diagnosticata la malattia, devastata nell’impotenza di perseguire il suo obiettivo. L’interpretazione che offre di You must love è una delle più belle mai viste e sentite, così pure quella di Don’t Cry for Me, Argentina. Voce in certi passaggi leggermente acuta, ma nel complesso possente, pulita, che non si lascia intimidire dall’orchestra. Unico appunto, l’Evita adolescente è già un po’ troppo matura per la sua età, manca di candore e ingenuità. E visto che stiamo facendo la punta alla matita, gli inglesi che sono così precisi e perfetti nei loro allestimenti, qui fanno dei cambi a vista con i macchinisti vestiti con i loro abiti di lavoro, che ci hanno lasciti un po’ stupiti. La scena fatta da colonne e balconate, semplice, ma di grande effetto con quella illuminazione fatta con gli spot (Mark Howett), poteva essere spostata meccanicamente, visti i mezzi odierni. Attori. Fantastico il Che di Mark Powell, non il semplice narratore, ma quasi il grillo parlante di Eva, con scatti di insofferenza, ma anche di dolcezza come in High, Flying Adored. Insomma, un po’ la sua buona/cattiva coscienza New Balance 373 Outlet. A parte un’amplificazione perfetta (Ben Harrison) lo si sentiva in maniera perfetta anche a fondo sala. Voce profonda e avvolgente quella di Mark Heenenhan, un Peron soggiogato dalla bionda Evita. Applausi a non finire anche a Stephen Carlile, ottimo Magaldi e voce celestiale per Abigail Matthews che canta soltanto Another Suitcase in Another Hall, ma il teatro ogni volta viene giù Un’occasione unica per i due piccoli triestini, rispettivamente di nove e dieci anni, Matilde Martino e Francesco Felician che hanno intonato Santa Evita, alternandosi nelle varie recite, con voci da angelo e in un perfetto inglese. Fresche le coreografie di Bill Deamer, danzate da un ensemble in piena forma, su cui spiccava fra tutti Andrew Gordon-Watkins, ex Rocky nel Rocky Horror Show visto e recensito per voi l’anno scorso. Un’ultima nota, la nuova orchestrazione di Webber e David Cullen è ancora più bella dell’originale. Concludendo: un trionfo.

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