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REVIEW – LA VITA CRONICA

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AL TEATRO ELFO PUCCINI UN ODIN TEATRET IN GRANDE STILE

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di Davide Garattini

LA VITA CRONICA, al Teatro Elfo Puccini di Milano, è l’ultimo lavoro teatrale dell’Odin Teatret, dedicato a Anna Politkovskaya e Natalia Estemirova giornaliste e scrittrici russe in difesa dei diritti umani, assassinate da sicari nel 2006 e 2009 per la loro opposizione al conflitto ceceno.

Già dal titolo e dalla dedica chiunque può capire che le tematiche trattate non sono delle più spensierate, anzi anche questa volta la ricerca ed il linguaggio non edulcorato di Eugenio Barba, che firma la regia e la drammaturgia, va a proporre immagini e suggestioni forti al pubblico, non esageratamente violente o di scontata crudeltà, ma di forte impatto emotivo e dalle suggestioni evocative che portano inevitabilmente lo spettatore a riflettere.

odin-1Eugenio Barba e l’Odin Teatret sono tra le poche realtà mondiali di un certo spessore, parliamo di “istituzioni” di un certo genere teatrale e di “Maestri”, come quelli che si studiano sui libri, perchè hanno segnato e continuano a farlo la storia del Teatro; artisti di levatura tale che a volte si distaccano talmente tanto dal “consueto teatrale” che diventano incomprensibili: sicuramente non è facile seguire o capire il loro linguaggio e forse è sbagliato cercare di osservarlo come tutti gli altri generi, ma in questo caso bisogna lasciarsi trasportare come quando si guarda una mostra d’arte (alcune cose si comprendono ed altre si conoscono, ma ci si lascia coinvolgere lo stesso e poi altre ancora si assaporano per l’emozione che creano. L’importante è fidarsi e lasciarsi andare.

arts-entertainment_06_temp-1339418707-4fd5e853-620x348Un caleidoscopio di personaggi che va da una Madonna Nera ad una vedova di un combattente basco, da una rifugiata cecena ad una casalinga rumena, da un avvocato danese ad un musicista rock delle isole Faroe, da un ragazzo colombiano che cerca suo padre scomparso in Europa ad una violinista di strada italiana e, per finire in bellezza questo meltingpot umano, non potevano mancare due mercenari. Personaggi apparentemente distantissimi, quasi impensabile una drammaturgia che unisca questa bizzarra carovana umana, eppure sono tutti cuciti tra loro ed interagiscono e vivono di fronte al pubblico con una “particolare” naturalezza!

Consapevoli che molte parole che stiamo scrivendo non sono facili da capire cercheremo di spiegare qualcosa in più raccontando in parte la vita cronica che si svolge contemporaneamente in Danimarca ed in altri paesi d’Europa nel 2031, dopo la terza guerra civile. Individui e gruppi con retroterra diversi si ritrovano insieme e si confrontano spinti da sogni, disillusioni e attese divergenti. Un ragazzo approda dall’America Latina in cerca di suo padre scomparso. “Smettila di cercare tuo padre”, gli sussurrano mentre lo accompagnano di porta in porta. Non sono né l’innocenza né la conoscenza a salvare il ragazzo. Sarà l’ignoranza a fargli scoprire la sua porta. Tra lo sconcerto di noi tutti che non crediamo all’incredibile: che una vittima valga, da sola, più di ogni valore. Più di Dio.

0I testi di Ursula Andkjær Olsen assieme a Odin Teatret sono in diverse lingue, ma in questa babilonia di lingue tutto è comprensibile, non si capisce la parola, ma l’intenzione è chiarissima, merito anche della recitazioni di ogni attore: Kai Bredholt, Roberta Carreri, Jan Ferslev, Elena Floris, Donald Kitt, Tage Larsen, Sofia Monsalve, Iben Nagel Rasmussen, Fausto Pro, Julia Varley.

Tutte le volte che si assiste ad un lavoro dell’Odin se ne esce arricchiti in questo caso colpisce particolarmente il preciso disegno luci, così come scontato è citare il lavoro sugli oggetti come il ghiaccio o il pane, le monete o le carte da gioco, si entra in un campo minato dove la ricerca e lo studio di ogni scena sono ore ed ore di lavoro, dove nulla è da dare per scontato così come tutto è stato più volte provato e verificato. 
Altro elemento fondamentale è lo spazio scenico vero ring così come da esso tutto si crea e tu si trasforma; ogni volta è interessante come una zona od un oggetto con Odin possano mutare od evolversi, mostrarsi in un modo e poche scene dopo mostrarsi in un’altra forma.

Ogni costume è uno studio ed una ricerca, un’armatura, ma al tempo stesso un’arma, esattamente come dovrebbe essere concepito il costume. Queste creazioni spaziano in diverse direzioni, a secondo dei diversi percorsi di ogni personaggio, ma sempre con un certo stile che non li fa stridere tra loro.

È molto difficile far capire ad un lettore uno spettacolo dell’Odin,  infatti la cosa più sensata che si può fare non è commentare, ma è invitare ad andare a vederlo e solamente con i propri occhi si può giudicare un lavoro di questo genere; c’è sicuramente chi non capirà nulla e chi ne resterà folgorato, ma vale sempre la pena provarlo!

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