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REVIEW – OPERETTA BURLESCA

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Lo spogliarello di un’anima

di Alberto Raimondi

Operetta Burlesca di Emma Dante, che firma praticamente tutto in questo lavoro, dai testi alla regia, per passare alle scenografie eD i costumi, va in scena al Teatro Sociale di Como tra lo stupore iniziale del pubblico, così come le ovazioni finali per uno spettacolo tanto forte quanto toccante, grottesco e divertente, ma al tempo stesso amaro e crudo.

Come al solito la Dante ci porta nel suo mondo, fatto di eccessi e verità sbattute in faccia, dove non si ha mai la paura di dire le cose come stanno ed il coraggio per alcune scelte teatrali violente non è mai un problema, anzi si afferra il toro per le corna e gli si da una testata in piena fronte. Questo è quello che viviamo tutte le volte che ci troviamo difronte ad un lavoro della regista palermitana e ci piace il suo modo di raccontare queste tragedie moderne, dove il limite con la favola è solamente una nostra scusa per non credere che la realtà è veramente così come ci appare.

Pietro racconta la sua storia, un ragazzo della provincia meridionale, con genitori siciliani e lui partenopeo, nato in un corpo maschio, ma  con l’unico desiderio di essere femmina;  ha un corpo sbagliato e un animo passionale, vive coi genitori, è figlio unico, il padre l’ha messo a lavorare in una pompa di benzina, s’innamora infelicemente un sacco di volte, è buono e gentile, ma non è sereno, non lo è mai perchè imprigionato in una “salopette da benzinaio” quando sogna tacchi a spillo e parrucche.  L’ unica sua libertà è scappare di mercoledì a Napoli: per far shopping e ballare, ma soprattutto per camminare: che bello camminare quando tutti sono troppo indaffarati per guardarti, già il camminare per strada è un problema per chi nasce in un paesino. A dir la verità, le libertà che Pietro riesce a ritagliarsi sono due; perché a volte, di sera, si chiude nella sua cameretta, che è ancora quella di quand’era bambino, coi poster attaccati con lo scotch, si traveste da donna, si mette gli abiti che si è comprato in via Duomo, calza le décolletés tacco 12 e numero 42, sposta i mobili, allarga il suo spazio, impila il comodino sul letto, spinge nell’angolo l’armadio. E poi balla.
 Pietro cresce ballando da solo. A 40 anni incontra il grande amore. Corrisposto. Ma resta lì paziente al paese, a casa dei genitori, e il sabato va a ballare a Napoli. Per due anni dura la storia, finché una sera Pietro conosce la verità e per salvare il suo amore prende una decisione difficile, in nome dell’amore si esalta, intravede un futuro, fa la valigia, maltratta la madre che non l’ha mai capito. Ma non ha un epilogo felice la sua storia. Finisce male. Pietro invecchia al paese, continua a lavorare alla pompa di benzina, la madre gli ha detto che gli amori vanno e vengono.

Bellissimo quello che fa la Dante con questo spettacolo, sottolineare e dare l’attenzione ad una condizione reale,  alle diversità e alla marginalità, poco importa se al sud o al nord esse siano vissute, così come  l’attenzione ai corpi, e se “sbagliati” anzi sono anche più interessanti perchè sono naturali e sono veri e non hanno paura di mostrarsi. In particolare troviamo “geniale” il modo in cui si affronta con un unico attore i ruoli della mamma e del papà del protagonista, dove un ventaglio ed una camicia aperta possono marcare due personaggi in modo così incisivo.

Dice la Dante: «Ho scritto questa storia perché spero che sulle unioni omosessuali l’Italia colmi il ritardo con l’Europa. Perché detesto la repressione del vero desiderio, del talento. E non vorrei tutto questo disincanto, Pietro non ci prova neanche a scappare, del resto a 40 anni è difficile, il suo passato sfuoca, il suo futuro si accorcia. Ho scritto questa storia perché ho conosciuto tanti Pietro. Ma non li ho mai visti ballare. Li ho sentiti monchi, stretti dalla morsa delle loro camerette condominiali. Io vorrei vederli ballare, vorrei più spazio per loro. Questo spettacolo s’intitola Operetta Burlesca. È un varietà ma anche uno spogliarello dell’anima».

I quattro interpreti in scena non potevano che essere convincenti, con un lavoro così non puoi prenderti il lusso di recitare e basta, qui c’è da mettere il cuore sul palco e lo fanno in ogni istante, dalla scena più surreale fino a quella più toccante riescono a far passare al pubblico delle emozioni fortissime nonostante i dialetti in scena non rendano tutto perfettamente comprensibile al pubblico comasco; eppure alla fine grandi applausi testimonianza che al di là della lingua parlata la “vera” recitazione arriva comunque, applausi scroscianti e ci piace concludere l’articolo con i loro nomi come una specie di standing ovation, per:  Viola Carinci, Roberto Galbo, Francesco Guida, Carmine Maringola.

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