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REVIEW – BIT. MAGUY MARIN TRENT’ANNO DOPO

Pièce pour 6 interprètes – Création 2014 Conception : Maguy Marin Avec : Ulises Alvarez, Kaïs Chouibi, Laura Frigato, Daphné Koutsafti, Mayalen Otondo / Cathy Polo, Ennio Sammarco- Coproduction : Théâtre de la ville / Festival d’automne à Paris, Monaco Dance Forum - Les ballets de Monte-Carlo, Opéra de Lille,La Filature, Scène nationale de Mulhouse, Théâtre Garonne de Toulouse, Centre Chorégraphique National Roubaix Nord-Pas de Calais, Charleroi Danses - Le Centre chorégraphique de la Fédération Wallonie-Bruxelles, Compagnie Maguy Marin-La Compagnie Maguy Marin est subventionnée par le Ministère de la Culture et de la Communication, la Ville de Toulouse, la Région Midi-Pyrénées et reçoit l’aide de l’Institut français pour ses projets à l’étranger. Accueil : TNP, Biennale de la danse
Ritorna al CRT di Milano, dopo una lunghissima assenza, la coreografa francese con il lavoro BiT

MaguyMarin_BiT_Crea_Toulouse20140915_phGrappe-9185di Barbara Palumbo
Il palco è occupato da sei grandi piani inclinati che mostrano i danzatori sopra di essi, rendendoli ben visibili alla platea o celandoli dietro di essi, così che l’audience possa immaginare storie che vengono suggerite da prologhi o da epiloghi di movimenti.

I danzatori in scena sono sei, salvo in un quadro dove vengono integrati da due figuranti. Lo spettacolo, a detta della stessa coreografa, vuole denunciare le decadenze di questa società, apparentemente perfetta,  ma che nasconde un’anima profondamente marcia.

Lo spettacolo si apre con i ballerini che danzano una sorta di Sirtaki, prima uniti in salde strette di mano e poi anche in un lavoro a coppie con continui scambi. La sequenza coreografia è ripetuta fino a diventare un mantra coreutico. Salgono sui piani inclinati, senza alcuna esitazione e senza perdere un solo passo. Dalla scena di festa la situazione muta radicalmente e con grande maestria, senza staccare in maniera repentina il flusso di immagini, si passa a una scena dove i corpi nudi dei danzatori, coperti talvolta da panneggi rotolano dal piano inclinato, fino a raggiungere la superficie del palco,  dove di consuma un’orgia collettiva.

Poi la scena cambia e siamo catapultati nel Medioevo, dove monaci incappucciati violentano in scena una giovane. L’interpretazione ci sembra chiara, il paragone con il secolo dell’oscurità, a significare la profonda corruzione dell’uomo e gli orrori che è in grado di perpetrare, è lampante. Al termine dello spettacolo l’ordine viene ristabilito in una  sorta di finta apparenza dove però il marcio è, questa volta, ben noto. I ballerini si lasciano cadere nel vuoto dietro i piani inclinati verso un ignoto dove.

Il messaggio è chiaro e assolutamente condivisibile, ma dal punto di vista della realizzazione si poteva pensare a qualcosa di più.

La danza iniziale ricorda diverse sequenze di Pina Baush; volerci stupire o scuotere con certe scene di violenza ci pare, oramai, poco innovativo, insomma ci aspettavamo qualcosina di più.

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