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TAKARAZUKA: IL TEATRO GIAPPONESE TUTTO AL FEMMINILE

Da oltre 100 anni le attrici del Takarazuka incantano il Giappone

di Jessica Consalvi

La Takarazuka Revue (Takarazuka Kagekidan) è una storica compagnia teatrale nipponica caratterizzata dalla peculiarità di essere composta da sole donne, dove le attrici interpretano dunque anche i ruoli maschili.

La compagnia è attiva sin dal 1914 nella cittadina da cui prende nome, Takarazuka, che è situata su un declivio collinare nei dintorni di Osaka. Ad oggi, il ben famoso teatro di Takarazuka non è ancora stato oggetto di studio nel nostro Paese, anche se presentato all’interno del libro di Benito Ortolani Il teatro giapponese nell’ormai 1998, dove l’autore si riferisce alla “compagnia di rivista” inserendola in un capitolo dedicato alla musica moderna e alla danza contemporanea giapponese.

Si sono invece susseguiti molti studi accademici nella patria nipponica, divenendo oggetto di studio presente in diverse branche del sapere, soprattutto dal secondo dopoguerra, mentre per quanto riguarda gli studi esteri, negli Stati Uniti sono stati portati avanti soprattutto da Jennifer Robertson, mentre in l’Europa spiccano quelli condotti dalla polacca Monica Lecińska-Ruchniewicz.

La fondazione della compagnia

«Con purezza, con onestà, con bellezza»: questo il motto delle interpreti della compagnia teatrale, che fu lasciato dal fondatore Kobayashi Ichizou (1873 – 1957), un famoso industriale giapponese, nonché ministro del commercio, che insieme a svariate aziende aveva fondato anche le eleganti linee ferroviarie Hankyuu, le stesse che conducono alla città di Takarazuka e che sono tuttora in piena attività (con tanto di annessi centri commerciali di lusso).

Nel 1911, l’imprenditore aveva anche creato a Takarazuka una struttura termale simile a un centro benessere, che nel 1912 prese il nome di Paradise e che arrivò ad ospitare più di duemila clienti giornalieri. Fu così che nacque poco dopo un teatro all’interno della struttura, in modo da creare una curiosa attrazione turistica che spingesse sempre più persone fino a quella città posta alla sommità di una collina.

Kobayashi aveva radunato nella nuova sede teatrale sedici ragazzine addestrate per cantare e ballare, scrivendo egli stesso alcuni primi copioni e celato sotto lo pseudonimo di Ikeda Hatao. Il primo spettacolo del Coro di Takarazuka (Takarazuka Shoukatai) si tenne nel mese di aprile del 1914, e dopo soli cinque mesi Kobayashi volle cambiare il nome della compagnia in Associazione di Addestramento delle Ragazze della Rivista di Takarazuka (Takarazuka Shoujo Kageki Youseikai), aggiungendo al coro altre quattro giovani.

Già nel 1918 uno spettacolo della compagnia di Takarazuka venne eseguito al Teatro Imperiale di Tokyo. Nel 1919 venne poi fondata una scuola annessa al teatro originale, sempre voluta dallo stesso Kobayashi: la Takarazuka Music Academy, articolata in due annualità.

A seguito di un incendio, nel 1923 gli spazi dedicati alla compagnia vennero ricostruiti e ampliati, cosicché l’anno successivo il nuovo teatro di Takarazuka poté ospitare sino a 4.000 spettatori. Si trattava ormai del più grande edificio teatrale giapponese dell’epoca, fornito di un palco girevole, come nel teatro kabuki, a cui dal 1924 si sarebbe aggiunta anche un’intera orchestra, la quale ancora oggi accompagna gli spettacoli delle ballerine.

A seguito della storica apertura attuata dal Giappone verso l’estero, la piccola compagnia teatrale di Takarazuka si andava a connotare sul modello dei teatri di rivista di stampo occidentale, volendosi rivolgere dichiaratamente a un pubblico familiare, il più ampio possibile.

Meta Solar, Duality, 100×180 cm, Slovenia, 2011

Le takarasiennes

Il termine takarasiennes, usato per designare le attrici, richiama quello di parisiennes, a prova dell’influenza del teatro di rivista francese.

Nell’ottobre del 1927 fu messo in scena il primo spettacolo teatrale della compagnia in stile pienamente occidentale, intitolato Mon Paris, di Kishida Tatsuya, drammaturgo di provenienza operistica di grande rilievo ed esperienza. L’autore aveva personalmente viaggiato in Europa e in America, e partendo dalla drammatizzazione della sua stessa esperienza personale mise in scena il viaggio di un protagonista quasi suo omonimo, Kushida, che salpando dal porto di Kobe giunge fino alla capitale francese tramite collegamento ferroviario.

Lo spettacolo riscosse in patria un eclatante successo, tanto che in Giappone si vennero a creare delle compagnie affini a quella del Takarazuka, ovvero completamente al femminile; la rivale più famosa è stata la Shouchiku Revue ad Asakusa, un quartiere di Tokyo, e nel 1934 la stessa città vide l’apertura di una succursale del Takarazuka, tutt’oggi di grande successo.

Alla fine degli anni Trenta, alcune allieve del teatro vennero condotte in tour americani ed europei, rendendosi testimonial internazionali per la propaganda imperiale giapponese. Le interpreti si esibirono anche nell’Italia sotto il regime mussoliniano, più precisamente a Napoli e a Roma.

Con l’infuocarsi dei tragici avvenimenti bellici, dal 1944 al 1946, i teatri nipponici del Takarazuka vennero poi occupati dai soldati americani, per i quali furono messi in scena gli spettacoli. Nel 1954 si data anche uno spettacolo alle Hawaii, mentre nel 1958 l’imperatore giapponese assiste a una performance del Teatro Takarazuka a Tokyo e nel 1959 le takarasiennes sbarcano nuovamente nel continente americano, dove presentano spettacoli moderni alternati a quelli tradizionali giapponesi.

Le giovani attrici portarono i loro spettacoli a Vancouver, Seattle, Portland, Los Angeles, Chicago, New York, Minneapolis, San Francisco, e per raggiungere il continente straniero dovettero affrontare viaggi transoceanici a bordo della Hikawa Maru, lussuosa nave che solcava il Pacifico collegando il Giappone all’America.

Al 1957 si data un film americano di Jousha Logan, tratto da un romanzo di James Michener, intitolato Sayonara, in cui l’attore Marlon Brando interpreta un soldato americano del dopoguerra che durante l’occupazione del Giappone si innamora di un’attrice di una compagnia teatrale che allude al Takarazuka, ma resta non dichiarato (mentre nel libro se ne fa esplicito riferimento), forse per il discutibile finale in cui l’attrice decide di scappare via con il protagonista e quindi di abbandonare il teatro, a cui doveva il suo successo. Una mentalità giapponese conservatrice avrebbe forse preferito il finale del libro, dove, al contrario, il soldato si congeda dall’attrice, rimasta fedele al teatro che l’aveva cresciuta

Nel 1960 il parco Paradise di Takarazuka cambiò nome in Familyland. In questo spazio ludico si trovano una biblioteca, un parco dei divertimenti, uno zoo famoso per le sue tigri bianche, e al contempo rimaneva attivo il centro benessere.

Agli anni Settanta, si data il grandioso boom dello spettacolo teatrale di Ueda Shinji tratto da La Rosa di Versailles, celebre manga dell’autrice Ikeda Riyoko, il quale ambientato nella Francia rivoluzionaria presentava uno stile estremamente rococò. Lo spettacolo venne seguito da milioni di spettatori giapponesi. Ancora oggi in Giappone resta maggiormente nota la trasposizione teatrale che il manga originario.

L’odierna struttura della sede teatrale di Takarazuka si data al 2001, e uno dei suoi successi più recenti, risalente al 1996, è una riproposizione del musical viennese Elisabeth di Michael Kunze e di Sylvester Levay. La Takarazuka Revue ha raggiunto nel tempo un’altissima notorietà nazionale, da cui un profondo impatto sulla cultura popolare giapponese, e arriva oggi a vantare un intero canale televisivo dedicato, nonché un’ampia produzione di DVD, CD e merchandising di genere vario.

Tuttavia, il grande successo riscosso in patria si caratterizzò secondo un ulteriore aspetto nuovamente curioso e tutto al femminile: la quasi totalità del fandom delle takarasiennes è infatti costituita da donne, probabilmente per lo stile romantico che contraddistingue gli spettacoli, proprio al contrario del kabuki. Per le interpreti, il bizzarro teatro di Takarazuka rappresenta oggi un trampolino per conquistare la notorietà nazionale e diventare eventualmente attrici a tutto tondo.

Cosplayer italiana del Takarazuka, compagnia Baragumi

Accompagnate in ogni singolo spettacolo da un’orchestra dal vivo, le attrici-ballerine del Takarazuka combinano come in ogni vero musical il canto, la danza e la recitazione, esibendosi principalmente al Gran Teatro di Takarazuka e presso la sua filiale stabile di Tokyo.

L’accademia del Takarazuka

Diventare un’interprete del Takarazuka prevede un apposito percorso che parte sin dal percorso scolastico, una carriera ambitissima da giovani ragazze provenienti da tutto il Giappone. Ancora oggi la scuola annessa al teatro è fortemente attiva, e ogni anno vi accedono circa quaranta ragazze, che devono superare un esame di ingresso che prevede la valutazione della loro persona, delle capacità coreutiche e canore, nonché un accertamento medico. Le richieste di ammissione alla scuola sono in numero esagerato, dunque l’esame comporta obbligatoriamente una dura selezione, per la quale numerose ragazze dell’intera nazione si preparano a lungo.

Agli esami di ingresso alla Takarazuka Music School (TMS), di durata biennale, vengono tenuti in considerazione l’impostazione vocale, il portamento, nonché l’altezza di statura, che deve essere almeno intorno al metro e sessanta. Superato il tanto agognato accesso alla scuola, riservato alle ragazze più promettenti, durante il primo anno di studi le allieve vengono già divise tra otokoyaku (ballerine che vestono abiti maschili) e musumeyaku (ballerine che vestono abiti femminili). Le otokoyaku vengono scelte soprattutto in base alle loro caratteristiche fisiche: oltre all’altezza, si considera se abbiano le labbra sottili e un viso squadrato, in negazione dei tratti femminili, tipicamente più morbidi.

Negli anni Venti, in Giappone vi era stata la preoccupazione di una “mascolinizzazione della donna” connessa al fenomeno dell’occidentalizzazione, infatti erano i tempi in cui le donne incominciavano a tagliarsi i capelli corti, e le otokoyaku incominciarono a seguire questa moda la decade successiva.

Tutte le attrici di questo teatro di rivista hanno necessariamente studiato alla TMS, dove le aspiranti takarasienne si dividono in Junior Class e Senior Class. Più specificatamente, le ragazze seguono lezioni di pilates, di coro, di danza (classica, moderna e giapponese), di tap-dance, di canto (classico, a prima vista e a solfeggio), di recitazione ed esercizio vocale, e infine di pianoforte.

Una volta in scena, le interpreti si divideranno più precisamente in cinque troupe: Fiore (dal 1921), Luna (dal 1921), Neve (dal 1924), Stella (dal 1933) e la più recente Cosmo (dal 1998), con l’aggiunta di un ulteriore gruppo speciale costituito dalle veterane. Le cinque troupe sono capeggiate ciascuna da due top-star, una coppia di prime attrici molto spesso considerate come delle vere e proprie idol, rispettivamente una otokoyaku e una musumeyaku.

Il ruolo più divertente pare essere proprio quello delle otokoyaku, per il quale si richiede di mantenere un marcato aspetto androgino. Se le interpreti dei ruoli femminili rimangono saldamente all’interno dei canoni più consoni agli atteggiamenti di una società conservatrice e chiusa, tutto all’opposto le ballerine che vestono abiti maschili dovranno atteggiarsi in comportamenti più spavaldi. L’ideale romantico di una fan giapponese si rispecchia proprio nella otokoyaku, che è considerata come un canone maschile, dalle caratteristiche virili ma cortesi.

Le attrici del Takarazuka che ricoprono i ruoli maschili raggiungono una libertà dei costumi che è assente nel mondo femminile giapponese, potendo così ridere ampiamente, borbottare e condurre la scena, anche mantenendo sempre uno sguardo diretto e accogliente nei confronti del pubblico. Le otokoyaku vengono addirittura indotte a camminare con un’andatura da uomo nella maniera più credibile possibile, in modo opposto dell’onnagata (lett: “forma femminile”), ovvero gli interpreti uomini che nel kabuki si calano nei ruoli e nelle sembianze femminili. Le otokoyaku devono inoltre essere forti abbastanza per poter condurre la musumeyaku nei balli, che tradizionalmente prevedono anche dei passi in cui il personaggio femminile viene sollevato da quello maschile.

Per quanto riguarda il linguaggio del corpo, gli otokoyaku hanno un portamento meno fluido delle musumeyaku e usano delle movenze a volte scattanti, che ricordano quelle di Michael Jackson, il quale ebbe un’ampia influenza in Giappone. La femminilità della musumeyaku viene per contro accentuata, e l’attrice che riveste questo ruolo indossa spesso abiti lunghi e dai colori dolci. Deve inoltre esprimersi in un giapponese elegante e formale, che prevede persino l’uso dell’antico pronome personale “atashi”, che in passato veniva usato dalle donne nobiliari invece del neutro e odierno “watashi”.

Alle otokoyaku si richiede invece di usare il “boku”, pronome personale da giovane uomo, e quindi fare uso di un registro linguistico maschile, che nella lingua giapponese si distingue nettamente da quello femminile. Le otokoyaku sono inoltre state sempre contraddistinte da un trucco molto marcato e pressoché eccessivo, che nel tempo è mutato, ma che ha sempre cercato di ingrandire gli occhi, forse a causa della estetica occidentalizzante.

Anche l’impostazione vocale delle takarasiennes “maschili” è fortemente impostata e molto riconoscibile, in una tradizione che si rinnova da ormai più di un secolo. Dunque per le otokoyaku si attua una vera e propria trasformazione a imitazione dell’atteggiamento maschile: la gestualità diviene enfatica e ampia, con l’assunzione di pose che accentuano il pathos della scena, soprattutto quando questa si ferma, similmente a quanto accade nei momenti più intensi del kabuki.

Da parte del teatro non si rileva una volontà di trasformazione di personalità per queste interpreti, ma si consolida piuttosto una riscoperta della propria femminilità anche nei panni maschili, in quanto tutto lo spettacolo viene relegato all’interno di un mondo fantastico, pieno di sogni.

Anche i costumi sgargianti delle attrici appartengono a quella “eccessività”, che appartiene a un mondo di fantasia e che Robertson ricollega alla cultura popolare giapponese in generale.

Bibliografia

  • M. Sugiyama, F. Kanjūrō, An Outline History of the Japanese Dance, Tokyo, The Society for International Cultural Relations, 1937.
  • H. Hagiwara, Takarazuka Kageki 40 nen shi, Takarazuka, Takarazuka Kageki Shuppanbu, 1954.
  • A Short History of Ballet in Japan. Tokyo, The Association, 1976.
  • Y. Ueda, Takarazuka Ongaku Gakkou (La scuola di musica Takarazuka), Osaka, Yomiuri-Life, 1976.
  • J. A. Michener, Sayonara, New York, Random House, 1983.
  • Z. Berlin, The Takarazuka Touch, in “Asian Theatre Journal”, 8, 1991, pp. 35-47.

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