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CAVALLERIA A TAORMINA: IL COVID NON HA AMMAZZATO COMPARE TURIDDU

La Cavalleria Rusticana apre il Festival dei Teatri di pietra tra emozione e grande musica.

di Paolo D.M. Vitale

Una Cavalleria Rusticana essenziale ma emozionante quella andata in scena l’1 agosto al Teatro Antico di Taormina per inaugurare l’edizione 2020 del Festival Teatri di pietra. Edizione che, come si può ben immaginare, è stata duramente condizionata dall’emergenza sanitaria globale ma che, seppur tra mille limitazioni, ha fortunatamente alzato il sipario.

A firmare la regia a prova di covid del capolavoro mascagnano è stato Salvo Dolce, giovane regista siciliano, mentre a dirigere la sempre ottima Orchestra Sinfonica Siciliana è stato il M° Lorenzo Tazzieri.

Nel ruolo di Santuzza una lodevole Elena Lo Forte che fu già Santuzza ne il Il Padrino parte III di Francis Ford Coppola; Angelo Villari è stato invece un convincente Turiddu, mentre a dare corpo al geloso e passionale Alfio è stato un purtroppo non-in-voce Alberto Mastromarino. Hanno completato il buon cast, la Lucia di Maria Motta e Leonora Sofia, Lola.

Ma il vero protagonista della serata è stato senza dubbio l’eccellente Coro Lirico Siciliano diretto dal M° Francesco Costa, ormai una solida certezza. La regia di Dolce, infatti, lo ha voluto costantemente in scena, è così è diventato – alla maniera tragica greca – ora spettatore dell’azione, ora attore agente, ora presenza giudicante, ora scenografia muta, ora incarnazione dei sentimenti dei protagonisti… L’idea è stata giusta e d’effetto, vista e considerata anche l’assenza totale di scenografia, ma la statica scacchiera dovuta al distanziamento covid ha un po’ imbalsamato questa buona intuizione rendendola eccessivamente monotona. Ci piacerebbe ritrovare questa proposta maggiormente approfondita in un futuro prossimo più propizio e senza limitazioni dovute al distanziamento sociale.

Discorso analogo anche per quanto riguarda i costumi – non degni di nota – sempre curati da Dolce, ma impreziositi dalle raffinate creazioni artistiche di David Brancato S.: reinterpretazioni in chiave contemporanea dei tradizionali ex voto a forma di cuore tipici della cultura religiosa siciliana. Anche in questo caso si sarebbe potuto osare di più traslando questa presenza artistica dal piano meramente ornamentale a quello più propriamente registico, sfruttando così al massimo il potere evocativo e semantico delle opere di Brancato. Insomma, buona l’idea, ma ci sarebbe piaciuto vederla sviluppata fino in fondo e con più coraggio.

Ultima nota: la morte in scena di Turiddu – subito dopo il celebre urlo “hanno ammazzato compare turiddu!” – ci è sembrata francamente sbagliata e ha fatto storcere il naso ai più.

Ad ogni modo la Cavalleria di Taormina e, più in generale, l’intero Festival dei Teatri di pietra hanno il grandissimo merito di aver dimostrato che, almeno in Sicilia, l’arte, il teatro e la musica non sono morti di covid-19. La preziosa tanacia di Alberto Munafò-Siragusa, Presidente del Coro Lirico Siciliano (promotore del Festival), ha infatti permesso un piccolo grande miracolo portando in giro per l’Isola tanta bellezza in uno dei momenti più cupi che la recente storia teatrale ricordi.

Per questo motivo abbiamo voluto approfondire con Munafò-Siragusa alcuni aspetti di questa coraggiosa avventura.

P.V.: In una stagione così difficile per il teatro, cosa vi ha spinto a voler organizzare ugualmente il Festival rappresentando addirittura in forma scenica completa un titolo come Cavalleria?

A.M.: L’emergenza sanitaria ha certamente influito negativamente – quando non li ha distrutti – su tutti i settori produttivi, ma quello della cultura e dello spettacolo figura a pieno titolo tra gli ambiti più battuti dalla crisi, che si aggiunge alla precedente recessione economica che attanaglia il nostro paese e non solo già da oltre 10 anni.

Il teatro, in particolare, vive un “periodo” molto difficile almeno dal 2008, per cui siamo abituati a lottare giornalmente per sopravvivere in una condizione di emergenza che si sta facendo pericolosamente sempre più cronica. Al contrario di quanto hanno fatto molti altri enti, sigillando le proprie porte per riaprirle Dio solo sa quando, noi abbiamo voluto sfidare questo periodo, regalando emozioni a tutti gli affezionati che ci hanno dato il privilegio di seguirci, cercando di alleviare le pene, di dare qualche ora di spensieratezza, di commuovere, toccare le anime.

D’altro canto, qual è la missione di un artista, se non quella di mettere in evidenza, sostenere, denunciare, allietare, far riflettere? Anzi, ti dirò di più, per assurdo il festival ha preso una piega nuova, se possibile con una programmazione anche superiore a quella prevista o – per lo meno – diversa, particolare, innovativa, fresca, frizzante. Accanto a titoli della grande tradizione, come Cavalleria Rusticana, Carmina Burana, i gala lirici, operettistici, abbiamo ideato un format per noi completamente nuovo, la contaminazione tra generi diversi, tra pop e lirica, con la straordinaria partecipazione di artisti come Antonella Ruggiero o Mario Venuti, che presteranno la loro voce interpretando titoli per loro meno battuti o mai scrutati, creando una forma di contagio tra generi, che è l’unico che ci piace.

Le normative anti Covid prevedono uno spettacolo di massimo 70 minuti, pertanto la scelta è caduta naturalmente su un titolo come Cavalleria Rusticana, che prevede e racchiude, in un solo atto, tutta la bellezza e l’arte che si può desiderare in una partitura. Inoltre, Cavalleria è il titolo col quale abbiamo debuttato in teatro ed è, certamente, il titolo cui maggiormente è legata la nostra terra, che <<olezza di aranci sui verdi margini>> per fare una citazione del capolavoro mascagnano. Quanto alla scelta di rappresentarlo in forma scenica completa, noi siamo dell’avviso che non si può dire spettacolo se non viene rappresentato nella sua forma completa.

La forma di concerto è una configurazione interessante, per carità, anzi serve magari a fare risaltare ancora di più la musica, magari, però l’opera lirica trova la sua massima espressione nella rappresentazione nella forma completa e abbiamo fatto veramente tutto ciò che era possibile per poter raggiungere questo obiettivo. Credo che l’obiettivo sia stato centrato, visto il successo di pubblico e critica che la rappresentazione ha avuto; ti dirò di più, ho visto una commozione e una partecipazione da parte degli artisti solisti, degli artisti del coro, del pubblico, che non vedevo da tempo. E’ stata come una liberazione, una esplosione di sentimenti, anime, impulsi, emozioni, sensazioni, percezioni.

Vorrei mettere anche l’accento sulla pratica che si sta diffondendo di rappresentare le opere in forma di concerto, con pianoforte, senza coro, senza scene, attrezzeria, costumi, luci, etc… Questa è una pratica che non condivido, o, per lo meno, la condivido nel momento in cui viene ben chiarito al pubblico che l’opera sarà fatta in forma ridotta, quando non solo una selezione. Pratiche di questo tipo altro non fanno che allontanare la gente dai nostri teatri, perché – giustamente – il pubblico si sente preso in giro, truffato, e questo non è giusto prima di tutto nei confronti dei geni che hanno composto queste magnifiche pagine; certamente non è corretto nemmeno nei confronti della gente che ci dà fiducia e che “investe” su di noi, né nei confronti del luogo sacro dove ci esibiamo.

P.V.: Non deve esser stato facile rispettare la nebulosa normativa anti-covid [normativa evidentemente scritta da chi dietro le quinte non ci ha mai messo piede, ndr]. Quanto ha influenzato tutto questo sulle scelte registiche di Salvo Dolce e sulla messa in scena generale?

A.M.: Muoversi attraverso la incredibile sequela di norme – talvolta anche contrastanti tra di loro – è stato tutt’altro che facile. A parte il fatto che per un ensemble dover cantare e suonare distanziati di 1 metro lateralmente e addirittura 2 metri davanti a dietro è veramente una sfida, perché non ci si sente l’uno con l’altro e si deve lavorare molto per creare comunque quell’amalgama che distingue i complessi professionali da quelli raccolti in occasione degli spettacoli.

Proprio per questo, abbiamo iniziato a fare le prove musicali un mese prima, per abituarci a cantare e suonare distanziati senza particolari problemi. In questo ci ha dato una grossa mano la bellissima sede prescelta per le prove, visto che era impossibile mantenere il distanziamento nella sala coro, cioè il Lido Le Palme di Catania, della famiglia Saffo che approfitto per ringraziare ancora.

Dispiace e si fatica a capire, poi, come e perché si possa viaggiare in aereo o bus tutti attaccati senza alcuna distanza, mentre sembra che, nella mente dei legislatori, il virus viaggi quasi esclusivamente nei teatri. Nel nostro caso, poi, la cosa assume i contorni del ridicolo, quando non del grottesco, se consideriamo che parliamo di teatri all’aperto ed enormi: dai 4.500 posti di Taormina fino ai 7.000 di Siracusa. E’ chiaro che chi scrive le norme non ha idea della vita di tutti i giorni e di come si svolgano le varie attività.

Il regista Salvo Dolce è stato bravissimo, perché è riuscito a rispettare tutte le norme, pur dando uno spettacolo completo, mantenendo sempre il coro in scena come nella tragedia greca, dalla quale evidentemente l’opera lirica trae la sua origine. Ha dovuto far si che nessuno degli artisti – sia i personaggi principali che il coro – si toccasse mai sulla scena, e che mantenessimo tutti la distanza di almeno 1 metro.

Ti assicuro che è una impresa tutt’altro che facile, per chi è abituato da decenni a fare regia potendosi avvicinare, toccare, spingere, abbracciare, baciare, etc. Togli almeno il 50% delle possibilità, e devi trovare soluzioni diverse per esprimere i medesimi stati d’animo ma in maniera totalmente nuova. Se parliamo, poi, di una opera verista per eccellenza, come Cavalleria Rusticana, la difficoltà si moltiplica ancora di più. Le luci di Gabriele Circo, i gioielli di David Brancato S. hanno fatto il resto, contribuendo – a mio avviso – a riempire di colori e forme la scena.

P.V.: Il calendario del Teatro Antico di Taormina è molto fitto anche in questa strana stagione teatrale. Soltanto due sere prima della vostra Cavalleria c’è stato stato un concerto del Teatro Massimo Bellini di Catania. Questi tempi di montaggio e di prova sul palco così ristretti non vanno a discapito della qualità del prodotto finale?

A.M.: Il calendario, a Taormina, è sempre abbastanza pieno, e certo questo crea ulteriori difficoltà a chi organizza gli eventi, a chi sta sul palcoscenico e in buca, a chi deve realizzare la scenografia, la regia e le luci. Diciamo che, col tempo, abbiamo cercato di creare un sistema abbastanza rodato che consente di arrivare sul palcoscenico pronti e di offrire al pubblico un prodotto professionale e di qualità. E’ chiaro che maggiore è il numero di prove che si fanno sul palcoscenico, migliore è la qualità finale, difatti noi ogni volta che ci dobbiamo esibire a Taormina, iniziamo le prove musicali e di regia in altri spazi per poi dirigerci verso Taormina una volta che lo spettacolo è montato e finito. A quel punto le ultime prove e le prove generali si fanno direttamente a Taormina e così si riesce a mantenere uno standard qualitativo alto.

Molto complesso è anche realizzare le luci, perché in un normale teatro, al chiuso, è possibile farle per 24 ore al giorno, col buio dell’interno della sala, mentre a Taormina, come in qualsiasi spazio all’aperto, le luci possono essere provate solo di notte, quando è perfettamente buio, e questo riduce notevolmente le ore che è possibile dedicare alla regia luci e, di conseguenza, moltiplica il lavoro del disegnatore luci, che, fortunatamente, con i mezzi tecnologici di oggi riesce a creare tutto il progetto luci al pc con la simulazione.

P.V.: Il Festival dei Teatri di Pietra è ormai diventato una realtà consolidata sul territorio siciliano, ma ancora poco conosciuta al livello nazionale e internazionale. Quale potrebbe essere il prossimo step per oltrepassare lo Stretto?

A.M.: Chiaramente il Festival dei Teatri di pietra ha una forte connotazione geografica in Sicilia, terra che noi amiamo, tanto è vero che abbiamo scelto come nome Coro Lirico Siciliano, dando un forte e chiaro tratto distintivo alla nostra attività, alla provenienza, alla storia personale e artistica e alla caratterizzazione del nostro operato. Quale terra potevamo scegliere, al mondo, se non la Sicilia, con le sue decine di magnifici teatri greci, romani, dell’antichità, con la sua storia, con le straordinarie testimonianze che i numerosi popoli ci hanno regalato, con la sua arte, cultura, col popolo meraviglioso che la abita?

Fortunatamente, già dal suo debutto, lo scorso anno, abbiamo notato un certo interesse nei confronti del Festival, essendo finiti su quotidiani, riviste specializzate, articoli che parlano dei più grandi festival italiani, e questo ci onora e ci spinge a fare sempre di più. Quest’anno, infatti, abbiamo potuto notare l’attenzione anche di una parte della stampa internazionale, europea nello specifico (francese, spagnola, tedesca, …) e anche d’oltreoceano, con articoli che parlano di noi anche di quotidiani che hanno sede in estremo oriente.

Certo, giova anche il fatto che il Coro Lirico Siciliano ogni anno ormai da 6 anni porta alto il nome dell’Italia e della Sicilia in giro per il mondo, e in particolare in estremo oriente, dove ha contribuito a creare un festival sinfonico e operistico che ormai si svolge con cadenza annuale nei maggiori teatri.

Il progetto del Festival Lirico dei Teatri di Pietra nasce in Sicilia, ma certamente la sua vocazione è quella di raggiungere e mettere in rete i maggiori teatri di pietra a livello internazionale, partendo da questa splendida terra e raggiungendo ogni parte del globo.

P.V.: La contaminazione tra le arti è sempre più presente in questa edizione: basti pensare alle creazioni artistiche di David Brancato S. indossate dai protagonisti di Cavalleria e alle incursioni pop nei concerti con Antonella Ruggiero e Mario Venuti… Pensi che questa visione olistica e inclusiva dell’arte possa aiutare il pubblico dell’opera a rinnovarsi e ampliarsi?

A.M.: Io sono stato – e sono tutt’ora – tra coloro che non credono che la lirica e la classica abbiano bisogno di svecchiarsi o di creare chissà quali alchimie per rendersi più appetibile ai giovani e alle nuove generazioni. Noi, nel nostro piccolo, rappresentiamo una realtà che parla di un complesso corale che vanta un’età media molto bassa, di circa 30 anni. Questo significa che ancora ci sono centinaia di giovani capaci di appassionarsi e di darsi anima e corpo per l’arte delle arti, che è l’opera, la summa di tutti i talenti e gli ingegni: musica, canto, recitazione, balletto, pittura, scultura, etc…

Bisognerebbe aprire una parentesi enorme – e andrei fuori tema – dicendo che la tv, la politica, la scuola, ha creato una (voluta) crisi di valori e di cultura che ci porta ad avere, oggi, soprattutto in Italia, una delle classi più ignoranti del mondo. Non è stato forse il nostro Premier a dire, in calce a qualsiasi altra categoria: .”e poi ci sono i nostri artisti, che ci fanno tanto divertire”? Di cosa ci possiamo lamentare, quando da decenni abbiamo classi dirigenti ignoranti sotto qualsiasi aspetto?

Italia, patria dei più grandi scienziati, artisti, pittori, scultori, musicisti e compositori, cantanti e attori, culla della cultura, del belcanto, luogo di nascita della musica, della notazione musicale, patrimonio culturale di inestimabile valore a cielo aperto, sede dei più importanti teatri del mondo, dei più antichi, dei più belli… la stessa Italia che una politica scellerata e ignorante ha trascinato nel baratro della televisione della più bassa lega.

Mia nonna, che fa parte di una famiglia di origini nobili e che oggi ha la splendida età di 90 anni compiuti, mi racconta che svolgeva le faccende domestiche cantando “Casta diva”, dalla Norma di Bellini. Mio nonno, che – al contrario – proveniva da una famiglia di umili origini e da giovane faceva di professione il camionista, mentre lavorava cantava “Di quella pira” dal Trovatore di Verdi. Questo per significare come la bellezza e l’opera, un tempo, facesse parte della cultura popolare, al di là del ceto sociale cui si apparteneva.

Oggi questo è sempre più difficile, ma non bisogna fare un errore molto grave che ogni tanto capita di compiere: non è l’arte che deve avvicinarsi alla gente, ma è la gente che deve avvicinarsi all’arte: il nostro compito non deve essere quello di relegare l’arte a mero intrattenimento, al fine di avvicinare quanta più gente possibile, ma, semmai, quello di elevare gli animi, i cuori, le menti del popolo, attraverso l’arte e la bellezza. Altrimenti faremmo esattamente il contrario di quello che è il nostro compito.

Fatta questa grossa (e doverosa) premessa, le contaminazioni, se fatte con gusto e con criterio, sono molto interessanti. Mario Venuti è un bravissimo cantautore siciliano, dotato di una bella vena compositiva, un ottimo musicista e anche un artista dalla rara sensibilità espressiva. Antonella Ruggiero non è nuova agli accostamenti con la musica colta e ha già regalato, in un recente passato, interpretazioni bellissime, a cavallo tra pop d’autore e musica colta. Con la signora Ruggiero c’è anche un bellissimo progetto e avremo l’onore di tenerla a battesimo nella Misa Criolla di Ariel Ramirez, partitura affascinante e facente parte proprio della musica colta popolare del nostro tempo.

Entrambi gli artisti, invece, terranno a battesimo noi, che debutteremo in brani molto noti e acclamati dal pubblico come Echi d’infinito, Ti sento, Vacanze romane, … Sarà un bellissimo scambio di emozioni e di bellezza, nel quale ciascuno porterà il proprio bagaglio di esperienze e cercherà di “contagiare” positivamente l’altro, nel rispetto dei ruoli e delle diverse tipologie di repertorio, ma convinti e consapevoli che la musica è una sola e può solo essere bella o brutta, al di là delle tipologie.

Sempre in questa ottica si inseriscono le belle creazioni di David Brancato S., particolari, innovative ma sempre nel solco della tradizione, che coi loro colori hanno contribuito alla ottima riuscita dello spettacolo e hanno conferito classe e uniformità all’intera rappresentazione. E che in quest’ottica di innovazione nel solco della tradizione si inseriscono la regia di Salvo Dolce e le luci di Gabriele Circo, che hanno regalato una versione un po’ più “pop” dell’opera, pur nel massimo e pieno rispetto della tradizione, della partitura e del libretto, cosa sempre più difficile oggi, momento in cui alcune regie hanno rovinato e insozzato partiture splendide probabilmente per il solo gusto di primeggiare rispetto alla musica e avendo avuto come risultato finale solo quello di aver creato spettacoli irrimediabilmente brutti e che non piacciono a nessuno.

Chiudo con una frase che – da siciliani innamorati della propria terra e della propria cultura – non possiamo trascurare: potete girare il mondo, oppure venire a visitarlo, in Sicilia!

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