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IL TEATRO DI MARCELLO MASCHERINI IN MOSTRA ALLO SCHMIDL

Scultore, illustratore, organizzatore, ma anche scenografo e costumista: il teatro di Mascherini in mostra a Trieste e a Pordenone

Trieste: Teatro Verdi, Teatro Stabile della Città di Trieste, il club privato La Cantina. Roma: Teatro dell’Opera. Si può stigmatizzare così l’attività teatrale di Marcello Mascherini che copre un arco temporale che va dal 1948 al 1974.

Questo artista, nato a Udine nel 1906, ma triestino d’adozione – dopo aver trascorso l’infanzia a Fagnigola, paesino natio della madre in provincia di Azzano Decimo (Pn), nel 1912 si stabilirà a Trieste – è conosciuto soprattutto come scultore. Le sue opere sono sparse un po’ dappertutto. In Italia, ma anche negli Stati Uniti, in Germania, nel Regno Unito, nei Paesi Bassi, in Belgio, in Brasile, in Giappone.

Mascherini però è stato anche illustratore, organizzatore culturale, come per le celebri Cavalchine degli anni Cinquanta al Teatro Verdi, e uomo di teatro nelle vesti di scenografo, costumista e anche regista. Quest’ultimo aspetto, finora poco indagato, è oggi oggetto di una mostra che si può visitare fino al 5 settembre a Trieste, nella Sala “Attilio Selva” di Palazzo Gopcevich, sede del Civico Museo Teatrale “Carlo Schmidl” e dal 15 ottobre al 28 novembre 2021 al Museo Civico d’Arte di Pordenone.

Un progetto nato cinque anni fa, quando Nerina Pancino, nipote dell’artista, e Francesco Bordin dell’Associazione culturale Archivio Marcello Mascherini, rispettivamente presidente e curatore dell’archivio, lo hanno presentato al professor Paolo Quazzolo, docente di Storia del teatro nel Dipartimento di studi umanistici dell’Università di Trieste.
“Siamo partiti con idee grandiose”, ci ha confidato Quazzolo, responsabile del progetto scientifico, “volevamo addirittura ricostruire gli spettacoli della Cantina…, ma poi bisogna fare i conti con l’oste e quindi ci siamo ridimensionati. Causa Covid abbiamo dovuto rimandare la mostra ben tre volte”.

Grazie al Comitato di Pordenone della FITA che, dal 2011 organizza il Festival Internazionale del Teatro Amatoriale presso il Teatro Comunale di Azzano Decimo, entrambi intitolati a Mascherini, attraverso il quale è stato ottenuto il finanziamento regionale, grazie al Circolo della Cultura e delle Arti di Trieste, al Comune di Trieste, a quello di Pordenone e a tanti altri partner, si è potuta allestire la mostra e indagare l’aspetto teatrale del lavoro dell’artista.

Al riguardo, segnaliamo l’ottimo catalogo edito da Allemandi, Marcello Mascherini. Il Teatro, curato da Paolo Quazzolo e Francesco Bordin con i saggi di Cristina Benussi, Massimo De Sabbata, Lorenzo Nuovo e lo stesso Quazzolo che, a tappeto, ricostruiscono la sua attività sulle tavole del palcoscenico.

Il primo incontro con il teatro Mascherini ce l’ha nel 1928, quando gli viene proposto di decorare il foyer del Politeama Rossetti ristrutturato in quegli anni da Umberto Nordio. Ancora oggi si possono ammirare i mascheroni della Tragedia e della Commedia – ripresi nella fontana all’inizio del Viale XX Settembre dove si trova anche il teatro – e quattro bassorilievi in gesso di nudi femminili che reinterpretano Musica, Teatro, Canto e Danza.
L’estro poliedrico di Mascherini si espliciterà nell’immediato dopoguerra: con Giani Stuparich e altri soci fonderà nel 1946 il Circolo della Cultura e delle Arti, ricoprendo fino al 1983, anno della sua morte, la carica di direttore della Sezione Arti figurative. Proprio qui, assecondando il proprio spirito organizzativo darà vita nella sala principale del Circolo, il Ridotto del Teatro Verdi, a feste, mostre e happening culturali.

Nel 1952 sarà tra i firmatari dell’Associazione per il Teatro di Prosa Stabile e dal marzo 1955 Mascherini legherà il suo nome al Teatro Stabile sia come scenografo e costumista, sia come membro del Consiglio direttivo e della Commissione artistica cui era affidata la programmazione delle stagioni di prosa. A tutto questo ovviamente affiancava la sua attività di scultore, inanellando i primi premi, come quello, un ex aequo, alla XXV Biennale di Venezia del 1950 o vincendo l’anno seguente il primo premio alla Mostra Nazionale Premio Parigi.

Il vero incontro con il teatro avviene però nel 1948, quando il sovrintendente del Verdi, Cesare Barison, gli affida la realizzazione di scene e costumi per il balletto Cartoni animati musicato da Mario Bugamelli. Ed ecco che le prima sala è dedicata per buona parte ai bozzetti e ai figurini per questa novità assoluta presentata assieme all’Haensel e Gretel la sera del 29 dicembre.

È un’esplosione di colori: i figurini dei costumi, tratteggiati con l’acquarello, alternano il verde del ballerino zucca, il rosa acceso della ballerina minuetto, i blu dei ballerini. Pochi tratti che regalano il senso del movimento e permettono di identificare subito il personaggio. Un accenno alla scena, all’epoca molto innovativa e totalmente anti naturalistica. Mascherini aveva collegato i dodici numeri musicali sul tema dell’illusione e l’illusione chi la regala? Il cinema. Ecco quindi che al centro della scena vediamo uno schermo cinematografico davanti al quale un ballerino si predisponeva ad assistere a una proiezione, i numeri del balletto; ai suoi lati, da una parte grattacieli come scheletri che richiamavano la recente guerra e dall’altro il mondo della fantasia. Una forte rottura con il passato, se pensiamo alle tradizionali scenografie dipinte. Infatti, proprio nel dopoguerra, grazie all’intervento di registi come Luchino Visconti e Giorgio Strehler, la scenografia avrà un nuovo impulso, sottolineata anche dalla critica. Nel caso di Mascherini costante sarà la sua ricerca di uno spazio scenico plastico e dall’impronta scultorea, come ha ben evidenziato Quazzolo nel suo saggio.

Mascherini era un prolifico organizzatore e nella memoria dei triestini rimangono indelebili le sue Cavalchine, le feste che originariamente si facevano a Venezia a Carnevale agli inizi dell’Ottocento. Una tradizione che poi aveva superato i confini veneti, giungendo fino a Trieste. Dopo la prima guerra mondiale il coordinamento delle Cavalchine al Teatro Verdi venne presa in consegna dal comitato locale della Croce Rossa Italiana che ne fece un evento benefico. L’allestimento era affidato agli scenografi del teatro, ma nel 1948 la palla passa a Mascherini fino al 1960, il quale, come organizzatore e regista, ne firmerà molte di più rispetto a quanto si pensava.
Le Cavalchine erano l’evento mondano dell’anno, con il popolino che si accalcava fuori dal teatro per vedere la Trieste bene che sfilava sul red carpet.
Ogni Cavalchina aveva un suo tema; Mascherini però riciclò più di qualche elemento. Per esempio nel Sogno di Carnevale, il grande Arlecchino viene usato anche per Il Circo. La più famosa è Rapsodia in blu del 21 febbraio 1955, ma soltanto perché l’ospite d’onore era stata l’attrice Sophia Loren – in mostra tutte le foto in bianco e nero che la immortalano in varie pose -.

Costumi e scene per dodici spettacoli sono documentate anche per il Teatro Stabile di Trieste. Dal 1957 al 1968 Mascherini impiegò il suo estro su testi contemporanei come quelli di Diego Fabbri (Inquisizione) e Massimo Dursi (La giostra), su quelli di repertorio come La dodicesima notte di Shakespeare o i classici come l’Elettra di Sofocle o Le donne a parlamento di Aristofane. Spettacoli allestiti nella sala antecedente al Politeama Rossetti, vale a dire quella del Teatro Nuovo in via Giustiniano, poi demolito per ingrandire la sede Rai regionale, ma anche in quella dell’Auditorium, oggi non più agibile, e al Teatro Romano.

Attori in abiti medievali1970 ca.

Tante le cose di cui si potrebbe scrivere. Per Assassinio alla cattedrale di Beckett l’allestimento visivo era monumentale e ricco. La scenografia usciva dal palcoscenico per avvolgere il boccascena, trasformandolo nella facciata della cattedrale di Canterbury. Componenti dipinte e alcune tridimensionali come la statua del Cristo deriso. La scultura in realtà non era stata ideata per questa scenografia. Anni prima, l’architetto Arduino Berlam dovendo tagliare il ciliegio del suo giardino, aveva donato a Mascherini il tronco perché ne facesse un’opera d’arte. Dopo dodici anni in cui metaforicamente era stato chiuso in un cassetto, Mascherini realizzò il Cristo che dal 1961 è conservato presso la Galleria d’Arte contemporanea Pro Civitate Christiana di Assisi.

Notevole la collaborazione, anche come regista, con La Cantina, una delle esperienze culturali più originali a Trieste tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Sei intellettuali triestine – Valeria Bombaci, Hansi Cominotti, Alma Dorfles, Lina Galli, Nera Gnoli Fuzzi e Lina Marzano – innamorate del teatro e delle avanguardie che a livello internazionale sbocciavano un po’ ovunque, avevano incominciato a viaggiare per assistere alle ultime novità. Per gli spettacoli che piacevano, acquisivano i diritti, li traducevano e li mettevano in scena. Ecco che a Trieste abbiamo, per esempio, la prima assoluta in Italia di Finale di partita di Beckett. Questa avventura era iniziata nel 1957 proprio in una cantina, per poi spostarsi in un appartamento. Il periodo più fecondo? Quello con lo Stabile che metteva a disposizione attori e materiali, consentendo la realizzazione di veri e propri spettacoli. Alla Cantina sono passati Gian Maria Volontè, Anna Proclemer, Aldo Trionfo, Dario Fo, Franca Rame, Julian Beck e Judith Malina del Living Theatre – in mostra il quaderno delle firma aperto proprio su questi ultimi quattro nomi -.

Mascherini per La Cantina ha realizzato una decina di spettacoli, scegliendo testi che spesso suscitavano accesi dibattiti. Il suo impegno teatrale si concluderà proprio qui nel 1974 con Non io di Beckett.
L’ultima sala è dedicata all’Opera di Roma dove Mascherini era stato chiamato a collaborare tra il 1969 e il 1970 per il balletto Tautologos, una novità assoluta del coreografo Aurel Milloss su musiche elettroniche di Luc Ferrari e per il Don Giovanni di Mozart. Anche qui colpisce l’esplosione di colori dei figurini; tra l’altro, i costumi del balletto erano stati molto elogiati dalla critica. La scena, vuota, presentava alcuni elementi scultorei, dal significato allegorico, intrecciati tra di loro.

Meno fortunata l’esperienza del melodramma, più che altro perché il pubblico allora molto tradizionalista, non era aperto alle novità, soprattutto per le opere del grande repertorio. I materiali che l’Archivio storico del Teatro dell’Opera di Roma ha dato in prestito, permettono di confrontare l’idea originale con quello che poi è stato messo in scena. Ci sono i figurini per i costumi, in inchiostro e pastello o acquarello o semplicemente in inchiostro, i bozzetti per le scene, le foto dei modellini plastici (tutti i suoi modellini li abbiamo persi), alcuni disegni tecnici, foto di scena… Qual è la novità dello scenografo? Le opere settecentesche di solito hanno due atti, ma ogni atto presenta molte scene, quindi Mascherini aveva disegnato due spazi scenici, uno per atto, con un impianto fisso costituito da un praticabile sul quale di volta in volta venivano collocati i diversi elementi scenici, evitando così i siparietti senza nessuna interruzione tra un cambio di scena e l’altro.

Abbiamo detto che la sua carriera teatrale si conclude nel 1974, ma Mascherini non si isolerà nella sua villa di Sistiana, oggi casa-museo aperta agli studiosi. Continuerà a esporre, a firmare opere d’occasione come medaglie, a forgiare i suoi bronzetti, a dedicarsi alla realizzazione di opere sacre e di sculture funerarie, a dedicarsi alle opere monumentali, come quella del duca d’Aosta nel Parco di Miramare, a illustrare libri… Certo è che per Mascherini fare teatro, come ricordava un altro scenografo-architetto triestino, Sergio D’Osmo, «era una necessità. Si rigenerava, gli era necessario per riscoprirsi e riproporsi. Amava l’espressionismo, ascoltando avidamente la lettura di quel teatro. Ha materializzato quell’urlo nelle sue scene e nel suo operare. Non era uno scenografo. Era molto di più. Un poeta».

Orario: 10-17 da martedì a domenica con biglietto d’ingresso al Museo (intero 4 euro, ridotto 3).

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