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REVIEW – THE MISTERY OF HAMLET

THE MISTERY OF HAMLET
tratto dal film ‘Hamlet’ di Svend Gade, Heinz Schall

voce recitante Filippo Nigro

regia Fabrizio Arcuri

cura video Lorenzo Letizia
colonna sonora musiche composte ed eseguite da Stefano Pilia (Afterhours, Nokia Traoré, Mike Watt)
 chitarre Roberta Sammarelli (Verdena)
bassi Marcello Batelli (Non Voglio Che Clara, Bachi Da Pietra, Il Teatro Degli Orrori)
chitarre Kole Laca (Shkodra Elektronike, Il Teatro Degli Orrori, 2Pigeons) 
elettroniche Giulio Ragno Favero (Il Teatro Degli Orrori)
direzione musicale Giulio Ragno Favero
produzione CSS Teatro Stabile D’Innovazione del Friuli Venezia Giulia 

QUANDO IL CUORE DI ORAZIO PALPITAVA PER AMLETO E OFELIA ERA UNA TIBADE

di Sandro Avanzo

Nella stagione che ha visto trionfare al Piccolo di Milano il monumentale Hamlet di Antonio Latella in cui il ruolo del protagonista era affidato a un’attrice (la sorprendente Federica Rosellini) un altro Amleto al femminile approda sui palcoscenici italiani.

Il regista Fabrizio Arcuri recupera il classico film muto del 1921 di Svend Gade e Heinz Schall, interpretato dalla danese Asta Nielsen, e lo propone sonorizzato dal vivo in una forma originalissima che amalgama cinema, teatro e musica dal vivo, come già aveva fatto nel 2017 con Il castello di Vogelod, capolavoro espressionista di Murnau.

Lo spettacolo viene definito come “viaggio musicale, tra parole e immagine” o come “opera complessa” o “esperimento scenico” ma in realtà è l’impegnativa ricerca di una sintesi tra differenti forme espressive che in dialogo reciproco mirano a un utopico “teatro totale”. Al centro dell’evento è, come già detto, la sorprendente pellicola che creò scandalo un secolo fa per l’innovativa trasposizione di genere del Pallido Principe da maschile a femminile, anche se Asta Nielsen non era la prima a cimentarsi nell’impresa (prima di lei c’erano state in palcoscenico altre attrici – in specie britanniche – come Sarah Bernhardt, Charlotte Cushman, Alice Marriott, Julia Glover, Sarah Siddons).

La giustificazione cinematografica prendeva spunto dal controverso libro Il mistero di Amleto: un tentativo di risolvere un vecchio problema scritto nel 1881 dall’americano Edward P. Vining, in cui l’autore sosteneva la tesi che il principe Amleto è un personaggio storico nato femmina e fatto passare per maschio per preservare il lignaggio dinastico. Nel prologo del film viene mostrata proprio la sua nascita come bambina. Quando la madre viene a sapere della morte del marito in battaglia contro la Norvegia decide di annunciare la nascita di un nuovo erede maschio, perché solo i maschi possono ereditare la corona. Il marito torna però a casa vivo, con grande sorpresa di Gertrude, e insieme decidono che non possono più ritirare la proclamazione fatta della regina, e finiscono così per allevare Amleto come un ragazzo.

Da questa premessa prende l’avvio la tragedia che segue con numerose e libere varianti la nota narrazione del Bardo. Fondamentali risultano le sequenze degli studi giovanili a Wittenberg dove il principe si lega a Orazio e a Fortebraccio in un’amicizia dalle forti venature omosessuali. Nel corso della storia Orazio diventa via via sempre più evidentemente il rivale di Ofelia e le scene tra Amleto e Orazio, e in misura minore tra Amleto e Fortebraccio, risultano scene molto intense, vere e proprie scene di seduzione omosessuale. In questa transizione tra i generi anche la passione amorosa di Ofelia assume connotati lesbici più espliciti che ambigui. Gli equivoci sessuali si susseguono fino alle ultime immagini quando Amleto, ferito a morte, crolla tra le braccia di Orazio e questi, accarezzandolo ne scopre il seno femminile sotto il giubbotto e lo bacia tra le lacrime proclamando “Troppo tardi, amore mio, troppo tardi!”.

Gli elementi che rendono incredibilmente moderno questo film sono soprattutto il montaggio incrociato tra le scene e l’uso dei viraggi che colorano le sequenze in base ai sentimenti che si intendono esprimere (rulli di pellicola in blu, arancio, giallo, violetto…). Ma soprattutto impressiona l’interpretazione di Asta Nielsen, attrice di espressività totalmente essenziale in totale contrasto con i languori melodrammatici (alla Bertini) in voga nel periodo, modello innovativo riconosciuto e seguito anche dalla “divina” Garbo. Fabrizio Arcuri ha recuperato la copia della pellicola restaurata nel 2007 in occasione della 57ª edizione del Festival del Cinema di Berlino e ha operato con i tagli di tutti i cartelli delle didascalie e dei dialoghi, riducendo così gli originali 131 minuti fino a ottenere un “copione visivo” di un’ora e un quarto. Di quelle didascalie e dialoghi ne ha fatto un “copione/recital dialogato per attore solista” chiamato a dar voce a tutti i personaggi, doppiandoli in oversound via via che agivano sullo schermo.

In Filippo Nigro s’è trovato l’interprete ideale. L’attore si è infatti inventato una tonalità vocale tutta particolare, di una ricca neutralità espressiva di stampo brechtiano, in grado di rendere sia il senso di un’incolore lettura dei cartelli eliminati, sia i differenti modi di sentire delle varie figure.

Il “terzo copione” utilizzato è stato un “copione musicale” affidato a un gruppo di musicisti tra i più qualificati della scena rock alternativa. L’autore, Stefano Pilia, ha scritto la partitura di un concerto che può vivere e venir apprezzato anche autonomamente, ricco di citazioni ed elaborazioni di frasi classiche della storia del rock, con costanti e inaspettati scarti ritmici e stilistici, costantemente in linea con le immagini proiettate senza mai prevaricarle (aspetto spesso presente nelle sonorizzazioni delle pellicole mute).

Inoltre, per sottolineare i momenti più significativi dell’operazione, alcuni fotogrammi della pellicola sono stati proiettati espansi alle massime dimensioni su un invisibile velario trasparente posizionato attorno allo schermo che invece campeggiava al centro del boccascena. Enormi immagini fisse a incorniciare le sequenze che intanto continuavano a scorrere. L’intelligente intervento porta la firma di Lorenzo Letizia, da anni collaboratore di Arcuri, che si è ingegnato di trovare ogni volta soluzioni diverse, dal primo piano della protagonista, al dettaglio dell’arredo, all’enfasi delle architetture. Così si è potuta approfondire la scena della recita della Trappola per topi da parte dei comici, l’epica dell’assalto al palazzo reale o i debiti verso i primi film horror nella sequenza del groviglio dei serpenti velenosi, quando Claudio recupera la serpe per uccidere il fratello regnante.

Dopo un risultato di tale livello non ci resta che aspettare la realizzazione di un terzo capitolo “Arcuri-Cinema delle Origini” per chiudere un’ideale trilogia.

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