Home / PROSA / RECENSIONE – RE LEAR (regia di G. Lavia)

RECENSIONE – RE LEAR (regia di G. Lavia)

DOPO 53 ANNI, LAVIA TORNA AL RE LEAR FIRMANDONE UNA REGIA LUCIDA E SPIETATA

di Paolo D. M. Vitale

Come si può spiegare cos’è l’oceano a chi non ha mai visto il mare?
Quali parole si possono usare per spiegarne la grandezza, la bellezza, la potenza annientante?
E’ questo lo stesso sconforto che prende chi ha l’onere di recensire Re Lear.
Quali parole usare? Quali parole non usare? Cosa dire? Cosa tacere?

Il Re Lear più che un mare è un oceano, più che un oceano è un universo.
L’universo che si espande e contrare con la stessa forza delle onde, come il respiro di un essere vivente. Ogni onda è un tema, un livello di lettura, una riflessione primitiva, una domanda spiazzante.
Cosa è un re? Cosa è un padre? Cosa sono una figlia, un figlio? Cosa è un matto? Cos’è un cieco? Cos’è la ragione? Chi è Lear?

Nel Re Lear, Shakespeare, fa esplodere la stella dei doveri sociali e dell’ipocrisia familiare e la nebulosa che ne deriva è fatta di sangue, odio e vendetta. Smantellata “l’usanza” restano solo la barbarie e la follia. Ma è proprio nella follia in cui sprofonda che Lear da “re” diventa “uomo”, da “cieco” diventa “vedente”. Una catarsi tragica di euripidea memoria.

Una profondità frattale quella del Re Lear, quasi insondabile e che provoca vertigini. Le stesse vertigini che deve avere provato Gabriele Lavia quando ha accettato l’impresa di dirigerlo e recitarlo. E allora Lavia è andato per sottrazione: se Re Lear è la storia di una caduta, che caduta sia! Una caduta senza rete, senza funi di sicurezza, senza appigli. Lavia compie il balzo verso l’abisso della follia di Lear trascinando con se lo spettatore affinché la sua caduta diventi la caduta di ciascuno di noi.

Lo spazio scenico fisso disegnato da Alessandro Camera è un “non spazio”: un po’ magazzino teatrale e un po’ il dietro le quinte di un palcoscenico. Il messaggio è chiaro nella sua semplicità cristallina: la vicenda del Re Lear è una vicenda privata, familiare. Non è la storia di grandi guerre tra sovrani o di personaggi epici dalle gesta eroiche. No, Re Lear è la storia di quelle storie piccole che la Storia grande non racconta. Una Storia fatta di meschinità, di debolezze umane, di bieche ambizioni, ma anche di lealtà, di perdono e di redenzione. Ecco quindi il suggerimento visivo del “dietro le quinte”: lo spettatore diventa il testimone privilegiato, quasi un voyeur, della parabola di Lear proprio nel momento in cui il sipario pubblico è chiuso e sul palcoscenico privato della vita si recita la verità. L’atmosfera è cupa, le luci di Giuseppe Filipponio sono presagio di tragedia. In un angolo, in proscenio, giace un teatrino delle marionette, quasi come memento di transitorietà: tutto è teatro, tutti siamo maschere, tutti recitiamo una o mille parti. 

Gli attori entrano in scena in abiti moderni, aprono delle casse, indossano i costumi di Andrea Viotti, diventano altro. In ultimo Lavia diventa Lear, in una metamorfosi quasi rituale e sacra. Da un’altra cassa esce il Matto, inizia la caduta che “trasformerà tutti in pazzi e matti”.

Lavia dirige con crudele lucidità ogni singolo gesto, ogni singola sillaba. Sembra portare su di se tutto il peso di 500 anni di “sono io Lear?”. La voce è carica di vita e di morte. Non capiamo come possa reggere una tale fatica fisica ed emotiva per 3 ore e mezza di spettacolo. Più si annienta e più, ai nostri occhi, diventa un gigante.
Tutta la compagnia è un cronometro che segna il conto alla rovescia verso il finale, verso la fine. Su tutti i meravigliosi Luca Lazzareschi in Gloester e Mauro Mandolini in Kent. Ottime anche Federica di Martino, Silvia Siravo e Eleonora Bernazza nei ruoli di Goneril, Regan e Cordelia. Menzione speciale per il Matto di Andrea Nicolini. Fisici e tesi come corde di violino Giuseppe Benvegna e Ian Gualdani, rispettivamente i fratellastri Edgar e Edmund.
Completano il cast Giovanni Arezzo (Cornovaglia), Giuseppe Pestillo (Scozia), Beatrice Ceccherini (Oswald), Gianluca Scaccia (Francia e Servo), Lorenzo Tomazzoni (Borgogna e Servo) e Alessandro Pizzuto (servo).

La caduta finisce, “la ruota ha compiuto il giro completo”. Lear – e noi con lui – ha toccato il fondo del dolore, della miseria, dell’impotenza e sul corpo senza vita di Cordelia urla verso di noi, testimoni muti: “Siete uomini o pietre? Avessi io le vostre gole e i vostri occhi, urlerei e piangerei fino a mandare in frantumi la volta del cielo…”.

Questa recensione si riferisce alla recita del 4 novembre 2025 al Piccolo Teatro di Milano.

About Central Palc

Central Palc nasce nel 2010 come portale ufficiale delle riviste cartacee L'Opera e Musical!. Dal febbraio 2014 ha allargato i suoi orizzonti abbracciando tutti gli altri generi teatrali affermandosi così come il portale web più aggiornato del panorama teatrale italiano.
Scroll To Top