La rondine: un volo catartico nel cielo tempestoso del cuore umano
di Paolo D. M. Vitale
Un interno domestico. Otto mobili coperti da teli bianchi: due librerie, una credenza, una panca, una poltrona, un tavolino, una piantana e un pianoforte. Non è servito altro a Francesco Randazzo per mettere in scena “La Rondine” di Guillem Clua, un atto unico potente e illuminante.
Due i personaggi in scena scritti da Clua: Marta, insegnante di canto, e Matteo, giovane allievo alla prima lezione. I due non si conoscono. Iniziano a dialogare e piano piano nello spettatore nasce il dubbio: Matteo non è chi dice di essere e la sua presenza in casa di Marta non può essere casuale.
A metà spettacolo si giunge finalmente alla verità e sarà proprio questa verità a far sprofondare i due personaggi in quella che potremmo definire una “tragedia greca contemporanea”.
Motore primo della vicenda è un fatto di cronaca realmente accaduto: l’attentato terroristico nel gay bar Pulse di Orlando del 2016. Marta vi ha perso il figlio, Matteo il fidanzato. Inutile specificare che si tratti della stessa persona: Daniele.
Clua scrive così un dialogo destabilizzante alla fine del quale le certezze dello spettatore crollano, tanto che non è più possibile stabilire chi ha torto e chi ha ragione. E proprio in questo si manifesta il senso del tragico di matrice classica: la reazione di Marta al dolore è umanamente comprensibile tanto quanto quella opposta di Matteo. Apollineo e dionisiaco si confrontano su un tema universale e irrisolvibile: il dolore.
L’animo umano viene scandagliato toccando tutte le corde della psiche: il senso di colpa, la voglia di vendetta, l’accettazione, il perdono… E poi si scende ancora più in profondità nell’abisso dei rapporti tra madre e figlio, vita e morte, presenza e assenza, verità e apparenza, essere e dover essere.
Ma la catarsi, infine, sopraggiunge liberatoria e la tensione tra i due opposti viene risolta grazie all’amore (inteso qui come il greco “agape“), unica cura al dolore.
Clua si dimostra un fine conoscitore delle relazioni umane e “La rondine” è una perla di rara bellezza.
Prodotto dal Teatro Stabile di Catania, in prima nazionale per la rassegna contemporanea Altrove, “La rondine” non è solo uno spettacolo sulla diversità di genere, anche se questo ne è il tema fondante, ma è uno spettacolo sull’Uomo: “che cos’è che ci rende umani?” si domanda (e ci domanda) Clua tentando di fornire una risposta.
La rappresentazione a cui abbiamo assistito, nel Coro di Notte del Monastero dei Benedettini di Catania, ha visto Lucia Sardo, in evidente stato di grazia, vestire i panni di Marta e Luigi Tabita indossare in maniera altrettanto impeccabile quelli di Matteo.
Due attori con la A maiuscola che hanno saputo restituire tutta la sconcertante umanità di questo testo, portanto più volte il pubblico attonito alla commozione, senza mai rallentarne il ritmo. Merito anche della direzione attenta e delicata di Francesco Randazzo.
Gli applausi finali, meritatissimi, arrivano quasi ad infastidire: spento l’ultimo riflettore si vorrebbe soltanto restare in silenzio per lasciarsi andare in un pianto liberatorio.